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LA FRANCIA A MILANO
Personaggi
Una certa idea della Francia. Da De Gaulle alla contemporaneità milanese. Del primo anno di direzione del Centre Culturel Français abbiamo parlato con Olivier Descotes. Dalla rassegna di mostre d’arte contemporanea ai Frac, passando per gli investimenti in cultura, una chiacchierata a tutto tondo...
francesi è quello di una certa eterea eleganza nei modi, che non a caso puoi
definire compiutamente solo usando quell’espressione tutta loro che è savoir faire; un modo d’essere istintivo
che tante volte, al di qua delle Alpi, bolliamo come presunzione o supponenza, ma
che in realtà si rivela spesso essere il più ammirevole dei cliché.
È con raffinato esercizio di questa atavica nonchalance che Olivier Descotes, da un
anno alla guida del Centre Culturel Français di Milano dopo quattro anni
passati come responsabile della cultura per l’Ambasciata di Francia in Roma,
(non) risponde alla più ovvia e pruriginosa delle domande: meglio l’una o l’altra?
Dove il torace si apre più convinto nel respirare arte e cultura? Nicchia,
Descotes; come nicchia quando gli si chiede della sua prossima destinazione,
considerato che – per sua stessa mezza ammissione – l’esperienza all’ombra
della Madonnina si concluderà nel 2011 senza, al momento, l’ipotesi di un
rilancio.
Veni,
vidi… quanto al vici, le somme si tireranno alla fine. Nel
frattempo meglio concentrarsi sul programma che contrassegna la sua esperienza
a Milano, dove ha scelto di portare Una
certa idea della Francia, programma di incontri con artisti transalpini
mediati da curatele italiane. Un titolo evocativo: cita De Gaulle, quasi in
omaggio alla formazione eterogenea di Descotes, laureato in storia all’Institut
d’études politiques in Sorbona; ma soprattutto un titolo programmatico: perché il
senso di questo mandato sta tutto nel tentativo di creare davvero le possibilità
d’incontro fra artisti francesi e panorama italiano.
Artisti
francesi, curatori italiani. Con quale “orientamento”?
I curatori sono stati assolutamente liberi nella
scelta degli artisti e della proposta che intendevano fare. È singolare, ma del
tutto casuale, che sia Smarrelli con Raphael Zarka sia Menegoi con la
collettiva Scavi abbiano affrontato
percorsi creativi che in qualche modo hanno subito l’influenza dell’Arte
Povera.
Spesso
ci si fa l’idea che i centri di cultura all’estero siano una superfetazione del
tessuto creativo del Paese d’origine, carrozzoni superficiali gestiti da
burocrati che perpetuano progetti stantii, lontani dalle evoluzioni reali. È
davvero così? A cosa serve un Centro Culturale Francese in Italia? E a cosa
servono i suoi omologhi (anche italiani, chiaramente!) sparsi in giro per il
mondo?
Fuori dalla nostra sede non trovi la bandiera della
Francia, come invece accade per i centri culturali di altre nazioni. Né ci
interessa far venire il romanziere francese che presenta il suo libro davanti a
una schiera ristretta di appassionati e chiude così la sua esperienza in
Italia. Il nostro compito non è fare propaganda fine a se stessa, ma essere
vetrina per la cultura francese nel vostro Paese. Una vetrina che sia utile per
i nostri artisti, che crei contatti spendibili, che accenda interesse.
L’immagine
della vetrina, insomma, è davvero calzante. Attraverso i centri culturali lo
Stato offre visibilità con l’obiettivo che gli artisti ne approfittino e la traducano
in occasioni di lavoro…
L’Italia resta un mercato importante per l’arte, e
Milano si conferma un punto di riferimento imprescindibile. Ci sono molte realtà
che lavorano bene anche al Sud – penso a certe situazioni interessanti a Napoli
– ma il 70% dei grandi galleristi e collezionisti è qui. I nostri artisti
devono capirlo e guardare con interesse a Milano: lo stanno facendo,
soprattutto i giovani. Le ultime generazioni sono molto “profit oriented” e si
muovono con attenzione sul mercato
La
nostra idea della Francia è ferma a quella di un Paese dal nazionalismo
centripeto, con Parigi che ingoia attenzioni e risorse. Un quadro che
corrisponde alla realtà?
Parigi resta un naturale punto di riferimento, ma
negli ultimi anni c’è stata la delocalizzazione di molte esperienze importanti,
che hanno portato cultura anche fuori dalla capitale e anche grazie all’intervento
dei grandi musei parigini. Le mostre “in trasferta” del Louvre a Lens e del
Centre Pompidou a Metz hanno dato attenzione a città altrimenti ai margini del
circuito dell’arte che conta, dimostrando come la Francia non sia solo Parigi.
E come per gli artisti non sia necessario avere casa a Parigi per essere “nel
giro”: molti nomi interessanti vengono e vivono tuttora nella banlieu;
raggiungere per il carico delle opere certi artisti che abbiamo portato a
Milano è stata un’impresa, perché abitano in zone di campagna sperdute e da lì
non si muovono!
Dal
punto di vista puramente organizzativo e di indirizzo un ruolo importante è
giocato dai FRAC – Fondi Regionali per l’Arte Contemporanea, che in effetti
gestiscono politiche autonome nei diversi angoli del Paese. Forse troppo
autonome? Questo sistema, per quanto potenzialmente virtuoso, non soffre di un’assenza
di coordinamento?
Non credo. Penso che il modello funzioni e il suo
successo stia proprio nell’indipendenza gestionale delle diverse realtà. C’è
stato un passato, anche recente, in cui i direttori di molti musei non avevano
la possibilità di disporre liberamente nemmeno del personale a loro servizio,
perché ciò non era di loro competenza: una situazione assurda! Oggi il responsabile
di un centro culturale presenta un progetto e lo discute: se viene accettato ha
la possibilità di condurlo in porto con tutti gli strumenti necessari, e ha la
possibilità di essere valutato alla fine del lavoro.
Se
parliamo di arte e cultura cosa c’è nel futuro della Francia?
Un aumento da parte del governo del budget previsto
per il 2011 del 2,1%; in buona parte necessario per realizzare il Museo delle
Civiltà d’Europa e del Mediterraneo di Marsiglia entro la data prefissata del
2013.
La
recensione della collettiva Scavi
a cura di francesco
sala
[exibart]