Categorie: Personaggi

La Grecia di Maria Papadimitriou

di - 18 Marzo 2015
Come sarà il padiglione della Grecia? E come sarà proprio quest’anno in cui il motto nazionale del paese di Ulisse sembra essere diventato “si salvi chi può!”? Lo abbiamo chiesto a Maria Papadimitriou, cui quest’anno va l’onore e l’onere, di rappresentare la Grecia.
Strano, ma l’arte della Papadimitriou sembra proprio nata per questa Grecia affannata, assediata dalla crisi sociale, politica, economica più cupa di sempre, e foriera di sinistri presagi su scala europea. Da sempre un interesse sociale e multiculturale, conforma i progetti e gli allestimenti ideati dall’artista, in cui l’interazione di persone comuni e l’innesto in specifici contesti geosociali diventano elementi fondamentali (vedi su tutti il progetto T.A.M.A. e il recente Souzy Tros, Art Canteen). Ripartire dalle relazioni umane, e dalle basilari questioni etiche con cui l’uomo dovrebbe confrontarsi è forse l’approccio che potrebbe trasformare la crisi in opportunità, sembra suggerirci l’artista.
Quale progetto hai preparato per il padiglione della Grecia alla 56a Biennale di Venezia?
«Il mio progetto si intitola “AGRIMIKÁ – Why look at animals?” ed è sviluppato intorno a questa domanda che riguarda il nostro rapporto con gli animali. “AGRIMIKÁ” è un negozio realmente esistente, che vende pelli e pellicce di animali, trasferito a Venezia dalla città di Volos, nella Grecia centrale. Questa presentazione della relazione tra uomini e animali suscita una serie di riflessioni, che vanno dalla politica e dalla storia all’economia e alle tradizioni: etica e estetica, paura dello straniero e dell’incomprensibile, e il nostro profondo antropocentrismo che ci permette di autodefinirci come non-selvaggi, e differenti da tutti gli altri animali. Il piccolo negozio a Volos è un objet trouvé ricollocato dentro il Padiglione greco. La realtà del negozio, che appare non modificato dal tempo e dallo spazio, è analoga allo spazio circostante il padiglione Greco neoclassico. Il curatore è Gabi Scardi e il vice curatore Alexios Papazacharias».
Il tuo lavoro per la Biennale sarà connesso in qualche modo con il tema dell’angelus novus che caratterizza questa edizione?
«Ho lavorato a questo progetto insieme al mio collega Yorgos Tzirtzilakis, che è anche il consigliere della squadra della Biennale e dei nostri studenti all’Università di Volos fino dallo scorso marzo. Ė un progetto che tratta le relazioni dialettiche tra cose che generalmente sono considerate come poli distintivi, come l’animale e l’umano, oppure l’urbano e il paesaggio naturale. Sicché mi pare una coincidenza molto felice che Okwui Enwezor abbia scelto come punto di riferimento questo saggio seminale di Benjamin che parla così profondamente del materialismo dialettico e del continuum della Storia. Il mio lavoro incorpora i resti di animali come anche rovine storiche e personali, e così incontra ciò che Benjamin afferma nella nona tesi della Filosofia della Storia, che “l’angelo vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi”».
La pesante crisi politica e finanziaria che sta attualmente attraversando la Grecia ha influenzato il tuo lavoro?
«Il mio lavoro è caratterizzato da un continuo impegno con elementi sociali e culturali che sono essenziali alla comprensione della nostra vita contemporanea, così come da una abilità a creare metafore tanto poetiche quanto potenti (come dicono di solito le persone), come mostrato dal progetto T.A.M.A. Temporary Autonomous Museum for All, in corso dal 1998 a oggi. Oggi possiamo vedere la società greca tornare a un modello di produzione preindustriale.
In questa cornice siamo tornati indietro ai vecchi metodi della vita di ogni giorno e alla produzione fai da te, a progetti collaborativi e a nuovi manifesti, di certo usando le nuove tecnologie. Non mi piace la parola “crisi”, perché crisi è il sintomo di una mancanza e fallimento dell’”Ethos”».
Come può l’arte contribuire a migliorare la società?
«L’arte molte volte non fugge dal simulacro e diventa la rappresentazione di una rappresentazione, e non avendo un altro soggetto, rappresenta e riproduce sé stessa. Perciò, se si possono usare i pensieri di Toni Negri, un artista deve lavorare come una talpa, deve scavare buchi e cercare l’inizio delle cose nello strato interno tra le crepe, non per scoprire narcisisticamente come sono venute in essere, ma per portarle indietro in ogni dato ora, e sollevare domande. L’arte non è attivismo».
Guardando ai tuoi progetti passati, come Souzy Tros, sembra che la partecipazione del pubblico abbia un ruolo importante nel tuo lavoro. Possiamo dire che la tua arte è relazionale nel senso dato a questo aggettivo da Nicolas Bourriaud?
«”Souzy Tros”, Art Canteen, è la riproposizione di un edificio del XIX secolo, appartenuto alla mia famiglia per generazioni. È situato in Votanikos (molto vicino alla fermata della metro Eleonas), uno dei quartieri più poveri nel centro industriale di Atene. Una volta casa modesta per i lavoratori locali e le loro famiglie, la sua architettura consiste in tre piccole stanze con un cortile centrale che aveva funzione di spazio comune per comunicazione sociale, solidarietà e unità. Fino a oggi abbiamo organizzato attività culturali significative ogni 1-2 mesi, ma abbiamo anche aperto lo spazio la domenica, per conversare e prenderci un caffé, soprattutto perché lì vicino c’è il più grande mercato all’aperto di Atene. In questo modo, attiriamo le persone a scoprire “Souzy Tros” e conoscere i nostri futuri programmi, allargando così il nostro pubblico (ora attiriamo solitamente 150-300 persone per evento). Tutti gli eventi sono collaborazioni e rispondono a questioni specifiche, eventi  tempestivi o desideri silenti nelle nostre vite collettive di ogni giorno. Noi creiamo insieme il nostro programma lavorando con altri artisti, curatori internazionali, gruppi di immigranti locali e professionisti multidisciplinari, ponendo l’enfasi sull’importanza di ritrovarsi intorno a un tavolo per dividersi cibo e sperimentare nuove prospettive multiculturali sulla socialità, sull’estetica e sulla vita urbana. Questo progetto a lungo termine, partito nel luglio 2012, è una fonte di ispirazione creativa per i residenti sia greci sia non greci, attraverso incontri per esprimere delle idee. Io invito ospiti da vari campi professionali e di tutti i ceti sociali. I partecipanti includono residenti del quartiere (molti dei quali sono immigranti che ora soffrono le pressioni dei fanatici di destra), artisti, studenti, e appassionati di cultura in genere. “Souzy Tros” fornisce un terreno comune dove le persone possono confrontare le loro differenze, lavorando insieme per produrre insieme eventi partecipativi. Il mio obiettivo è ispirare dialogo costruttivo e azione come alternative alla protesta violenta. Come un centro multidisciplinare che promuove cooperazione e scambio, lo spazio si evolverà in carattere con ogni attività successiva. “Souzy Tros” è molto più che “relazionale”, lo definirei piuttosto come terreno comune di “Simbiosi”».

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