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La necessità dei sogni. Intervista a Lorenzo Sassoli de Bianchi
Personaggi
di Milene Mucci
Ci sono storie che vanno raccontate e una di queste è quella dell’uscita di “La Luna rossa”, romanzo per i tipi di Sperling & Kumpfer, e del suo autore, Lorenzo Sassoli de Bianchi.
Storia che incuriosisce dato che a scrivere il suddetto romanzo è uno dei più riservati ed importanti imprenditori i italiani, già neurologo con studi sul sonno e critico d’arte che ha studiato con Ragghianti. Sassoli de Bianchi è stato anche uno tra i primi studiosi a portare l’arte contemporanea cinese all’attenzione dell’Occidente scrivendone saggi e curando, per esempio, nel 2009 la personale di Pu Jiè a Pechino; Presidente dell’UPA (Utenti di Pubblicità Associati), per anni dei Musei Bolognesi e fondatore anche di ICA (Fondazione per le arti e la cultura) a Milano.
Se tutto questo vi avesse travolto sappiate che vi comprendo e che la prima cosa che ho detto a Sassoli de Bianchi per parlare del suo primo romanzo è proprio che l’ho iniziato a leggere aspettandomi fosse brutto e prevedendo di trovare qualcosa che ne avesse giustificato la pubblicazione nel luogo comune di piaggeria editoriale verso un personaggio così speciale.
Aggiungendo che, poi, con sorpresa non è stato cosi abbattendosi ogni possibile luogo comune fin dalle prime pagine.
Ne è scaturita, ovviamente, una sonora risata ed è iniziata così una conversazione che, dal romanzo appena edito, ha toccato i temi dell’arte, della comunicazione, del valore delle parole e anche dell’importanza dei sogni nella nostra vita…e dei sogni condivisi .
“La luna rossa” sorprende fin da subito per essere un romanzo scritto con una prosa limpida, per il piacere di vocabolario ricco, di parole cesellate e scelte come in un cloisonné. Con tempi scanditi come fosse uno spartito.
E, infatti, la musica ne è filo conduttore, trama e sostegno come fosse un music hall. «Ho cercato, infatti, di lavorare molto sulla ricerca delle parole – mi dice Sassoli – Era una storia che avevo dentro da tempo e di cui ad un certo punto mi sono liberato. L’idea era duplice, da un lato qualcosa che desse la sensazione che nella vita ci sono sempre delle sorprese, delle opportunità e dall’altro l’importanza del fatto che se i sogni si condividono le sorprese si moltiplicano,le opportunità si ampliano. Durante il lockdown ci siamo scoperti tutti fragili imparando che abbiamo tutti bisogno l’uno dell’altro e che, per fortuna, non sappiamo ancora tutto della nostra vita. Così ache anche se i sogni sono condivisi è più probabile che si realizzino. Persino la mia azienda è un sogno condiviso. Non ho nemmeno la sensazione di averla fatta io. Io avevo l’utopia di contribuire alla salute attraverso l’alimentazione e, piano piano, ho messo insieme dei pezzi. Ma poi l’azienda l’hanno fatta le persone che ci hanno lavorato e gli esempi potrebbero essere tantissimi».
“La Luna rossa” è la storia di un musicista, un racconto che vive fra Napoli e New York, con prefazione non caso di Renzo Arbore perché completata da una play list ascoltabile su Spotify mentre si legge, perché colonna sonora parte integrante dello svolgersi del racconto.
«Napoli e New York sono due città di mare, mitiche e sullo stesso parallelo – racconta Sassoli – Napoli scelta perché funzionale alla storia di un musicista, di un sognatore, perché è una città musicale. Una città complessa, certo difficile, ma concordo con Frank Lloyd Wright quando diceva che Napoli è l’unica città cosmopolita, l’unica metropoli europea. Quando si racconta Napoli si racconta il mondo intero. È una enciclopedia dell’umano».
Le parole scorrono veloci nel romanzo di Sassoli e, a chi le usa nei campi più diversi come la medicina, l’arte, la pubblicità e l’imprenditoria, è impossibile non chiedere che valore abbiano, oggi.
«La parola è l’elemento fondante nella nostra vita. Tutto inizia dal verbo. Dare importanza alle parole è quasi una ascesi. Utilizzare le parole per quello che veramente sono è uno sforzo costante perché il linguaggio oggi rischia di diventare anche magia nera perché si possono ingannare gli altri, perché ci sono trappole in cui non dobbiamo cadere. Il grande sforzo, oggi, è far corrispondere la parola alla realtà ed è uno sforzo molto difficile non solo nella scrittura ma anche nella quotidianità. Soprattutto nella pubblicità che è uno specchio molto preciso del tempo in cui viviamo».
Sassoli racconta che proprio per i suoi interessi in più ambiti molti si sarebbero si sarebbero aspettati, a questo punto della vita, l’autobiografia di un imprenditore o di storie legate alla sua vita.
Arriva, invece, e forse non per caso un romanzo in cui il deus ex machina è un personaggio eclettico come Tom Waits.
«Si,Tom Waits è il mito che scioglie la trama, il deus ex machina della storia. Figura che parla di emarginazione, di solitudine, l’uomo dai mille travestimenti ma che, soprattutto, comunica sentimenti sinceri. Quello che si rigenera e si reinventa sempre. Anche io ho bisogno di rigenerarmi, non identificandomi mai in quello che faccio. Penso che ogni giorno cambi tutto e ci regali la capacità di sorprenderci».
Cosi come, nel 2019, dopo l’esperienza della presidenza di Bologna Musei ha deciso di fondare ICA a Milano?
«Si , io me ne sono occupato per 23 anni e, finita questa esperienza, con Alberto Salvadori ci chiedemmo cosa ipotizzare ancora che avesse un senso nel campo dell’Arte,scegliendo Milano che ritenevamo la città più viva dal punto di vista culturale in Italia. Volevamo creare qualcosa che non ci fosse. Un centro sperimentale dove si potesse fare di tutto. Filosofia, musica, dove si potesse sperimentare, fare dibattiti».
Cosa è l’Arte, oggi ?
«Certamente uno strumento per comprendere sé stessi. A partire dall’artista certo, ma anche per chi la frequenta. Questo vale sia per l’arte antica che per il contemporaneo».
Arte per Sassoli come zeitgeist, spirito culturale che informa un’epoca e si riflette nella letteratura,nella filosofia, nelle arti. «Se qualcuno vuole capire lo spirito del proprio tempo si deve avvicinare agli artisti più interessanti. Io mi occupo di arte contemporanea da sempre ma non smetto mai, comunque, di guardare all’arte antica ai classici. Oggi, con qualche eccezione alla fine sono più interessato a quelli. L’eccezione, per esempio,è per me un artista ormai storicizzato e molto discusso come Damien Hirst. Ecco io credo che lui meglio di chiunque altro abbia saputo interpretare lo spirito del proprio tempo. Il ‘900 è un secolo che nasce sulle grandi utopie e innovazioni, in cui si pensava che proprio queste avrebbero risolto i problemi dell’essere umano. Poi ci siamo ritrovati alla fine del secolo in una grande depressione, con i miti caduti quasi tutti. Che fossero le ideologie politiche o tecnologiche. Ecco, secondo me, Hirst meglio di nessun altro interpreta questa cosa. Il senso di disfacimento dei sogni, che sia attraverso il cadavere degli squali piuttosto che i gabinetti di farmaci. Con un eclettismo disturbante esattamente come lo era Caravaggio all’inizio del 600».
Eclettismo che ritroviamo, allora, naturale anche nel romanzo di questo autore. «“La luna rossa” – conclude Sassoli mentre ci salutiamo – è un libro sui due temi di cui si è sempre occupata la letteratura. L’amore e la morte. Una favola in cui trovare dei significati senza necessariamente voler dare messaggi salvo che i sogni vale sempre coltivarli e condividerli».
Non ho mai visto il mattino finché non sono rimasto sveglio tutta la notte, Non ho mai visto il sole finché non hai spento la luce, Non ho mai sentito la melodia fino a quando non ho avuto bisogno della canzone…canta Waits in San Diego Serenade mentre chiudiamo questa intervista .
Bisognosi tutti, oggi, di sogni, di musica e di parole che ricompongano la trama, sempre più complessa e ogni giorno spiazzante, delle nostre vite.