“Land of tomorrow” è il titolo della mostra del Padiglione Perù all’interno della 57esima Biennale di Venezia, e dedicata all’artista Juan Javier Salazar (Lima, 1955-2016). La sua avventura “Inizia come parte di una generazione di artisti formatisi nel contesto dell’emergenza dei movimenti sociali che ha fortemente segnato la scena culturale e politica del Perù nella seconda metà degli anni ’70”, spiega nel testo del catalogo Rodrigo Quijano che, insieme alla curatrice Rossana del Solar, ha presentato la proposta vincitrice all’ente privato che gestisce la partecipazione del Paese a Venezia: il Patronato Culturale del Perù. Ma soltanto tre giorni dopo l’apertura al pubblico della Biennale, Quijano ha sollevato delle controversie e ha pubblicamente rinunciato all’incarico, formalizzando la scelta prima ancora dell’opening, e scatenando in patria un acceso dibattito. In questa disputa piuttosto vivace, l’ormai “ex-curatore” sottolinea i conflitti tra interessi dell’artista – da poco scomparso – la proposta curatoriale e le responsabilità della produzione dell’allestimento, mettendo al centro la scarsa presenza dello Stato in una manifestazione di grande rilevo come la Biennale più antica del mondo.
Land of Tomorrow, Venice Biennale. Photos by Italo Rondinella
Questa stessa polemica era in gran parte il cuore del lavoro di Salazar che dai suoi esordi ha guardato criticamente alle istituzioni – non soltanto del sistema dell’arte – dedicandosi ad indagare le problematiche storico-sociali che ancora oggi trovano eco nella società peruviana. Residui, rimanenze, tracce di un passato coloniale che condividono i Paesi dell’America Latina e che si riattualizzano in carne ed ossa nelle geografie economiche e sociali che ancora oggi sono espressione di profonde fratture anche di classe. Attraverso l’ironia e la parodia, ma con un profondo senso della storia e della dimensione complessa del presente, Salazar restituisce attraverso le sue opere, dalle sculture ai dipinti, dalle performance ai video, domande fondamentali che obbligano a guardare con occhi critici dilemmi mai risolti e riconosciuti dall’artista come fondanti della Repubblica del Perù. In questo senso, sono particolarmente significative le opere esposte al padiglione tra cui spicca Perú, país del mañana [Land of Tomorrow] (2006), un dipinto di grandi dimensioni in acrilico su cartone di fibra in cui i governanti locali, dall’indipendenza dal governo coloniale nel 1821 in poi, pospongono per domani i grandi progetti del Paese. Di un tono ancora più sarcastico è il video di sei minuti Perú Express (2006) in cui l’artista stesso proclama a viva voce: «Non voglio interrompere il vostro viaggio né la vostra gradevole conversazione…ma così come tutti i governi vendono il Perù a pezzettini io vorrei offrirvi un Perù…Quanto costerebbe in qualsiasi galleria d’arte? Oggi siccome è festa nazionale ve lo offro a ciò che volete darmi, non è un business, si tratta di una formula istantanea per mettere il Paese nelle mani dei suoi cittadini».
Abbiamo visitato la mostra insieme a Rossana del Solar, che condivide con noi i principi basilari dell’indagine dell’artista.
Land of Tomorrow, Venice Biennale. Photos by Italo Rondinella
Perchè Land of Tomorrow (2006)?
«Perché è la storia del nostro Paese (ride). Quest’opera è particolarmente speciale. Qui nel padiglione troviamo la più recente, del 2006, anche si esistono altre due versione precedenti, una in particolare realizzata da Juan Javier in collaborazione con altri artisti. L’idea di Javier è che da sempre i progetti per costruire un grande Paese sono stati rimandati. Tutti i governanti della storia della Repubblica hanno sempre lasciato per “domani” questa permanente lotta per raggiungere i grandi obiettivi. Alla fine rimangono soltanto progetti enunciati, mai portati a compimento».
Quale è la complessità di allestire e curare una mostra di un’artista che non c’è più, ma che soprattutto è venuto a mancare da poco?
«È stato molto complesso. Per fortuna abbiamo avuto la massima collaborazione della sua famiglia e anche dei collezionisti. Tutte le opere qui esposte appartengo infatti a collezioni private che hanno lavorato accanto a noi durante questo percorso che finalmente ci ha portato verso l’allestimento definitivo di “Land of Tomorrow”. Il lavoro di Juan Javier è molto radicato nel contesto del Perù e dialoga in forma permanente con episodi particolari della nostra storia e del nostro presente. Sebbene le problematiche possano essere comuni a tante altre realtà, i suoi interventi, le sue performance, le sue opere, rimango sempre in modo molto specifico legate ai diversi capitoli della nostra storia. Infatti, una delle nostre preoccupazioni all’inizio era come si sarebbe potuto tradurre il lavoro di Javier all’estero e in questo contesto della Biennale. Ma credo che alla fine la mostra ci sia riuscita».
Land of Tomorrow, Venice Biennale. Photos by Italo Rondinella
Come definiresti la ricerca artistica di Salazar?
«Il centro della investigazione di Salazar lo definirei come un lavoro che parte di un’esperienza personale e da un modo molto attento di osservare come si sono svolti i fatti che coinvolgono la politica del Perù. L’artista era molto critico riguardo a come si sviluppa la vita pubblica nel nostro Paese, e senza attingere a una ideologia comunista esplicita credeva nella necessità di rimettere la repubblica in mano ai cittadini. Una delle opere qui in esposizione, Perù Express (2006), riassume molto bene il pensiero dell’artista. Si tratta di un breve video di sei minuti in cui l’artista sale su un autobus in veste di venditore ambulante, pratica molto comune a Lima, e offre ai viaggiatori un piccolo gadget in tessuto con la forma del Perù».
Come vedi l’arte dell’America Latina nel contesto più ampio del sistema dell’arte contemporaneo?
«Credo che l’arte latinoamericana abbia ottenuto uno spazio, e questo è sicuramente positivo, ma credo anche che questo spazio sia legato a un certo “esotismo” stereotipato. Riprendendo le idee di Immanuel Wallerstein e la sua teoria sul sistema-mondo, dobbiamo pensare alla coesistenza dei Paesi centrali e dei Paesi periferici. Noi siamo parte di questa “periferia” e il Perù, nel bene e nel male, ha saputo trarre beneficio di questo certo “esotismo”. Si potrebbe pensare ad un primo sguardo che la mostra di Juan Javier si presta a questo stereotipo, ma in realtà una volta che si guardano le opere nel loro insieme si percepisce subito questa permanente ironia è più una parodia di quella visione che vuole esaltare l’esotico. Questi luoghi comuni esistono, ma è importante guardarli con occhio critico. L’arte deve essere critica e allo stesso tempo mettersi in gioco. Come nelle arti marziali: devi sapere utilizzare la forza dell’opponente per abbatterlo».
Ana Laura Espósito