Molte le sensazioni che affiorano a contatto con l’opera: Non ti fidar dei greci nemmeno quando portano doni recita un noto passo dell’Iliade; un senso di inquietudine ci coglie nell’entrare nell’installazione. Kounellis cattura la nostra esperienza in un ambiente avvolgente e plumbeo, penetrare nella sua opera ha un che di enigmatico, di inquietante, come entrare nel cavallo di Troia: lo spettatore vaga nelle viscere di un percorso della memoria, dove i materiali hanno una loro storia di peregrinazioni attraverso il mondo (Marisa Volpi).
Blocchi plumbei a prima vista chiusi e monolitici, si
In alcune zone narrative emerge la materia che da tempo è protagonista delle sue installazioni: il carbone, riverso in un perimetro bianco, in sacchi sospesi a metà altezza, incombente sulla sommità come cime di una catena montuosa annerita di fuliggine.
Paradossale è la scelta delle dimensioni gigantesche del progetto in una sala di un museo neorinascimentale come è la Galleria Nazionale di Roma; emblematica la scelta della materia e dei colori: si avverte un’eco lirica nella sproporzione visiva dell’opera. Lo spiazzamento è paragonabile a quello intellettivo che ci può cogliere difronte ad un’opera surrealista, sicura matrice delle sue ricerche artistiche.
L’attività di scenografo ha sicuramente influito sulla percezione e la progettazione dello spazio da parte dell’artista, non nel senso di arredare o decorare di un ambiente, quanto quello di riempirlo, saturarlo, stupirlo. Vale la pena di penetrare nel cavallo di Troia del terzo millennio e lasciarsi prendere per mano da uno dei più grandi protagonisti della scena artistica italiana contemporanea.
Stella Bottai
Ed è ancora protagonista a Roma, Iannis Kounellis: da ieri in mostra alla Nuova Pesa, ma questa volta con Rebecca Horn. Un piccolo allestimento in cui Kounellis propone un angolo del labirinto, una porzione di pareti plumbee e carbone, prelevata e posta in un altro luogo. Girando intorno, sul retro – rispetto al lato che vediamo entrando in sala – troviamo i lumi ad olio (ma l’odore del combustibile era stato un avvertimento) ed i vestiti appesi. L’atto unico esportato, ridotto nelle dimensioni evoca la medesima inquietudine, rivela la stessa atavica consapevolezza del dolore, della perdita, del ritrovamento. E ancora dialoga – seppur in un silenzio che non si può spezzare – con le strutture essenziali, scarnificate, semoventi di Rebecca Horn.
(maria cristina bastante)
articoli correlati
Arte all’Arte, un’opera di Kounellis a Montalcino
Arte Povera vs Sgarbi: una lettera aperta
Zero to Infinity: Arte Povera in mostra alla Tate Modern
A Villa Marigola un percorso tra arte contemporanea, suono e tensione materica, in mostra fino all’8 agosto
The GRAPA (Galería de Artistas Rebeldes y Arte Político) presenta il Padiglione di Valencia della Biennale di Gaza, una mostra…
L’artista presenta il suo più grande progetto espositivo diffuso tra Palazzo Reale, la Chiesa di San Gottardo in Corte e…
La notizia della sua morte giunge a poca distanza da quella dell'acquisizione del Fondo Luciano e Maud Giaccari, entrato nell’Archivio…
Annunciati i dieci curatori finalisti per il Padiglione Italia alla Biennale d'Arte di Venezia 2026: il Ministero della Cultura avvia…
Il Festival Caloma anima il borgo di Casamassella, in provincia di Lecce, con residenze d’artista, installazioni, performance e racconti visivi,…