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La scomparsa di Claudio Poleschi: il ricordo di Fabio Cavallucci
Personaggi
Studi di farmacia precocemente abbandonati e una passione per l’arte che cresce lavorando per la Galleria Barsotti di Lucca. Quando, nel 1978, il titolare muore improvvisamente, tocca a lui prenderne le redini insieme al fratello. Gli inizi della storia di gallerista di Claudio Poleschi si perdono nei ricordi di un’Italia di altri tempi, un’Italia operosa in cui la ricchezza pian piano cresceva e l’arte si diffondeva nelle case. Il desiderio di acquistare un Burri, allora per lui dal prezzo quasi irraggiungibile, le mitiche aste in strada a Lido degli Estensi e Lido della Nazioni, la conoscenza di artisti illustri da cui resta affascinato, da Ennio Morlotti a Valerio Adami: sono gli elementi che caratterizzano le vicende di un uomo che si è fatto da solo, passo a passo, grazie alle sue capacità. Anni di attività di mercante, poi, dal 2000, l’apertura della storica galleria in via Santa Giustina a Lucca e poco dopo della Chiesa di San Matteo, sedi in cui si sono visti, spesso per la prima volta in Italia, progetti di artisti internazionali nel momento giusto della loro affermazione: Dubossarsky & Vinogradov (2001), Adrian Paci (2002), Pawel Althamer (2003), Carlos Amorales (2004), Santiago Sierra (2002 e 2004), Wael Shawky (2007). Artisti che poi in gran parte finivano per essere accolti nella politica di galleria della moglie Ida Pisani e della sua Prometeogallery, più volta alla ricerca, mantenendo lui, invece, perlopiù un approccio solido di mercato. Ma senza dimenticare gli artisti italiani che stimava e che ha continuato a supportare nel corso degli anni: Claudio Olivieri, Giuseppe Uncini, Pino Pinelli, Gian Marco Montesano, Vittorio Corsini, Bertozzi & Casoni. Nel 2008 l’apertura di uno spazio insieme a Renato Cardi a Pietrasanta, che ha significato anche il coinvolgimento di artisti dell’Arte Povera e della Transavanguardia. Negli anni recenti il rilancio della sua galleria, chiusa a Lucca e riaperta a San Marino, l’avvio della start up Art Share insieme all’amico Maurizio Fontanini, e ora un nuovo progetto a cui si è dedicato con determinazione negli ultimi mesi: una serie di mostre di artisti degli anni Novanta che si inaugurerà il 17 settembre con lavori di Stefano Arienti in galleria e in alcuni spazi istituzionali della Repubblica del Titano.
In mezzo a questi fatti più visibili, la continua, incessante, attività di mercante. Chi lo conosce non può non ricordare due aspetti del suo modo di lavorare: la fitta rete di collaborazioni, per la quale non c’è quasi opera che non venisse acquistata in società con altri galleristi o mercanti, e il continuo andare su e giù per l’Italia, con il suo fidato collaboratore Umberto Bianchi e l’auto piena di quadri per la consegna porta a porta.
Questi sono i dati relativi al metodo, a cui bisogna aggiungere anche l’intuito, l’abilità di businessman, la capacità di capire a quale prezzo vendere un lavoro, sostenendo il valore dell’artista senza necessariamente puntare a guadagni esagerati, nella convinzione che le cose funzionano meglio quando si guadagna in due, sia il venditore che il compratore. Ma ciò che proprio tutti coloro che l’hanno conosciuto non possono fare a meno di riconoscere è la profonda umanità, che si manifestava con piccole attenzioni personali, nello scomodarsi per accompagnare personalmente le persone a cui teneva, nell’invitare a cena amici e conoscenti senza mai lasciare loro la chance di pagare, nell’interessarsi ai problemi degli altri e cercare di aiutare per quanto poteva. Qualità e solidità del gallerista, generosità dell’uomo, fanno sì che chi l’ha conosciuto non possa ora non sentirne la mancanza. Il pensiero va a Ida, a Umberto, ai figli Giacomo e David ma anche a tutti i suoi più o meno vicini collaboratori, a chi ha avuto occasioni di amicizia e di lavoro, in una dimensione ormai di altri tempi, quando l’amicizia era un fatto profondo e il lavoro non era mai scisso dalle relazioni umane.