Categorie: Personaggi

LA SPUGNA CREATIVA

di - 20 Maggio 2010

Come riesci a “controllare” I tuoi lavori? A volte il
legame tra passato e presente sembra esplodere in maniera quasi casuale; a
tratti, invece, sorprende il senso di misura, di padronanza materica e
compositiva…

In origine partivo con un piano preciso, soprattutto per
quanto riguarda le nature morte. E buona parte di questo modo di operare deve
avere a che vedere con il mio bagaglio culturale, con l’essere olandese. Questa
tradizione è profondamente radicata negli olandesi, è un carattere determinante
della loro identità culturale. Ad ogni modo: più lavoravo con gli oggetti, più
opzioni differenti mi apparivano davanti. Le cose hanno cominciato ad accadere
in maniera diversa rispetto a come le avevo pensate all’inizio, ma cadevano
bene all’interno del contesto di cosa stavo facendo. Per molto tempo “bellezza”
è stata una brutta parola quando si parlava di arte; ma sento che oggi, con lo
stato dell’economia globale e le condizioni dell’ambiente, ci sia la sensazione
di un ritorno a talento, qualità e bellezza.

Hai fatto aperto riferimento al peso quasi subliminale
che la tua cultura madre, quella olandese, ha avuto nel modo di pensare, ideare
e organizzare il tuo lavoro. Un dato che davvero emerge potente quando tocchi
il tema della natura morta. Ma è impossibile pensarti in una dinamica diversa
da quella del cosmopolita, considerato che da anni vivi e lavori a Londra, e
che hai avuto – e hai tuttora – un contatto molto stretto con tecniche e
linguaggi artistici di provenienze culturali, temporali e spaziali davvero
senza confini. In questo senso la tua capacità di legare culture differenti
senza perdere un senso di armonia generale è molto british
e tradisce, se non
un’assimilazione completa, certo una profonda e matura aderenza alla
multiculturalità. La tua arte parla anglosassone, molto. Ma sembra parli anche
un po’ italiano: ironia, freschezza, satira… e cattolicesimo!

Sfortunatamente non parlo italiano, ma quando mi sono
trasferito in Inghilterra mi sono comportato come una gazza ladra, ansioso di
imparare i molti aspetti della lingua: come l’ironia, i doppi sensi e le espressioni
più colloquiali. La riflessione sul cattolicesimo in realtà va ricondotta alla
mia educazione, da cattolico appunto. Benché ora mi riesca difficile credere a
molto dell’ortodossia della chiesa. Proprio l’altro giorno ho letto una
citazione del poeta russo Esenin, che diceva: “Mi vergognavo di credere in
Dio, un tempo; ora rimpiango di non credere più
”, che risponde pressappoco a come
mi sento io. Così nel mio lavoro a volte esprimo la grandiosa bellezza dell’arte
sacra e a volte, invece, ne traggo una visione distorta. L’aspetto più “italiano”
dei miei lavori recenti è legato al modo in cui ho guardato all’arte italiana:
come un nord-europeo impegnato in un “Grand Tour”, che raccoglie parti di
questa abbondante cultura.

E il tema del Grand Tour, non a caso, è alla base della
tua esperienza espositiva – la prima – nel nostro paese: una collezione di
opere ideate pensando all’Italia, dove feticci recenti si innestano con satira
garbata sugli antichi ceppi di piante culturali sanissime e ancora fruttuose.
Osservando certi tuoi lavori ho pensato a Pistoletto e alla sua riflessione sul
tempo dell’arte e il tempo nell’arte: mi riferisco a opere come L’etrusco
, chiaramente, ma soprattutto
alla Venere degli stracci
, che mi sembra affine per drammatica ironia al gioco
sensuale dei tuoi lavori.

È sempre interessante guardare all’arte classica con occhi
moderni; ma ciò che è ancora più interessante del lavoro di Pistoletto è il suo
guardare all’arte moderna con un occhio classico. La venere nuda contempla un
mucchio gigantesco di abiti: ma non ha scelto di indossarne nessuno. Mi ci
ritrovo.

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Pistoletto a Villa Panza

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a cura di francesco sala

[exibart]


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