A volte dimentichiamo che la cultura è fatta da uomini. Gli eventi che si avvicendano possono sembrare grosse macchine auto-generanti che producono cultura per il solo fatto che gli apparati dell’informazione ce li descrivono come tali. Molte delle manifestazioni propinate al grande pubblico si consumano con la fine dell’evento, altre (poche) resistono al tempo che passa e si rinnovano di anno in anno. Dietro e dentro a queste ultime, ci sono uomini che cercano il filo rosso che sorregge, per mezzo della qualità, il manifestarsi della cultura. Sono uomini il cui operato passerà alla storia, personaggi che creano la Storia nel momento in cui agiscono sul magma ancora informe del contemporaneo.
Angelo Dragone (Torino, 1921-2004) è indubbiamente un uomo che ha fatto la cultura della Torino del secondo dopoguerra. Un uomo appartenente a quella generazione capace di conservare ogni manifestazione del reale come possibile dato catalogabile. “
Si arrivava ad un punto in cui i documenti, i libri, le carte ci sommergevano”, racconta Piergiorgio, il figlio che ha seguito le orme paterne divenendo docente di Arte Moderna e Contemporanea all’Università di Torino, “
perciò eravamo costretti a traslocare con una certa frequenza”.
I molteplici interessi di Dragone, principalmente conosciuto come critico d’arte e giornalista, spaziavano a 360° nel campo aperto della cultura e del pensiero:
“
Mio padre ha lasciato uno studio colmo di documenti perlopiù ordinati secondo dossier tematici che raggruppano fotografie, pubblicazioni, documenti e appunti vari raccolti con una sistematicità puntuale, ma poi in parte perduta a causa di questi spostamenti”. Perciò, insieme al fratello Alberto, Piergiorgio ha donato questo patrimonio documentario alla Fondazione San Paolo, con la condizione che fosse reso consultabile presso un’istituzione pubblica torinese. Oggi, dopo oltre un anno di lavori d’inventario, la cospicua biblioteca (oltre 40mila titoli) e l’archivio personale (composto da oltre 3mila elementi) di Angelo Dragone sono divenuti il Fondo Angelo e Jolanda Dragone, custodito all’Archivio di Stato di Torino.
Si tratta di un patrimonio straordinario, attraverso il quale si disegna la storia della cultura non solo piemontese del Novecento che interessa gli studiosi di diverse discipline (numerosi i volumi della biblioteca su archeologia, mitologia, musica, cinema, teatro, geografia e cartografia, storia, letteratura, in alcune edizioni rare) come il grande pubblico curioso di rivivere la storia del costume dal dopoguerra a oggi (da collezioni di riviste, fotografie, cartoline a biglietti pubblicitari o d’ingresso ai musei) .
È chiaro che i materiali più consistenti concernono l’ambito della storia e della critica d’arte: importanti scambi epistolari con personalità di spicco della cultura italiana e internazionale -Argan, Longhi,
Tapié,
Fautrier– legati a eventi da lui stesso promossi (mostre, cataloghi, convegni), relativi all’Aica (l’Associazione Internazionale Critici d’Arte) o attinenti a questioni cruciali circa i beni culturali e l’urbanistica (con raccolte tematiche di stralci d’articoli, per esempio).
Insomma, una piccola Warburg torinese disegnata sul profilo di un uomo integro, la cui idea di cultura rispecchiava un’impostazione scientifica nell’approccio ai materiali (l’idea che il risultato vada comunque dimostrato, un dato dopo l’altro), come la passione per la ricerca, nel sostenere i valori e gli artisti in cui credeva. Elementi, questi, messi in luce nella mostra allestita presso la sede di via Piave dell’Archivio di Stato. Dove spicca anche la figura della moglie
Jolanda Conti (Piacenza, 1919 – Torino, 1997), laureata in storia dell’arte e con cui Angelo cominciò la carriera professionale (rivedendo, ampliando e pubblicando la tesi di laurea
I Paesisti Piemontesi dell’Ottocento, testo che rimane ancora oggi il punto di riferimento per la storiografia sull’argomento).
Dedicandosi soprattutto all’insegnamento, Jolanda continuò a sostenere l’attività del marito (emozionante il loro carteggio, tra faccende quotidiane e questioni intellettuali), collaborando assiduamente alla stesura di monografie e nell’organizzazione di mostre. “
Due sposi diligenti” li definiva Marco Valsecchi su “Oggi” nel 1948: due personaggi che -si può affermare senza timore, ora- rappresentano pienamente l’impegno culturale di qualità nel panorama storico-artistico del Novecento piemontese e nazionale.