Quando sulla scena dell’arte europea si affacciano le Avanguardie, ad Ascona, centro del neutrale Canton Ticino, esattamente sulla collina di Monte Verità, si mettono in discussione le certezze fino a quel momento accettate. Sopra i cieli della città e del mondo intero, nel 1957, sorvola lo Sputnik, e dentro ogni essere umano e artista qualcosa cambia, la verità si rompe in frantumi. Sulla superficie lucente di uno di questi frammenti volanti arriva in Svizzera Luigi Pericle. E trascina con sé un carico di esperienze, passioni e letture, oltre che il suo universo di libri sapienziali e cataloghi d’arte.
Pittore, illustratore, studioso di teosofia e di dottrine esoteriche, Luigi Pericle (Basilea, 1916-Ascona, 2001) è stato un protagonista della storia dell’arte del secondo Novecento. Stimato da figure di spicco del panorama internazionale, come Sir Herbert Read, trustee della Tate Gallery, Pericle espone accanto a maestri come Pablo Picasso, Karel Appel, Antoni Tàpies o Jean Dubuffet. Dalla fine del 1965 però, Pericle sorprende tutti e sceglie di abbandonare il sistema dell’arte per dedicarsi alla propria ricerca, immerso nella tranquillità della sua villetta ad Ascona. Dopo 55 anni di oblìo le sue opere vengono finalmente alla luce e sono ora esposte nella mostra permanente visitabile presso l’Archivio Luigi Pericle situato sulla collina di Monte Verità ad Ascona, località turistica sulle sponde del Lago Maggiore in Svizzera.
Ad Ascona (dove da qualche anno Andrea e Greta Biasca-Caroni, eccezionali scopritori dell’artista, ne hanno fondato l’archivio) dal 1958 fino al suo abbandono delle scene negli anni Ottanta, Pericle si dedica a decine di discipline diverse, dalla filosofia orientale, alla religione, dall’esoterismo, alla teosofia e all’astrologia, in cerca di una verità che lui sembra aver rinvenuto nella pratica di un lavoro quotidiano fatto di chine e opere simboliche. In realtà, il terreno era già pronto, l’humus culturale e naturale preesistente al suo arrivo, quello delle capanne aria-luce, creato dal 1900 da alcuni giovani vegetariani provenienti da ogni dove, come Henry Oedenkoven, Ida Hofmann, e Karl Graser, concorre a un innesto propizio tra l’arte e la vita. Quell’atmosfera frizzante da Europa libera, dove hanno trovato riparo intellettuali e filosofi, anarchici, poeti ed emigrati del calibro di Peter Kropotkin, Otto Gross, Hermann Hesse e Isadora Duncan, non è cambiata di molto.
Nonostante le mille difficoltà, le attese e adesso, un “ostacolo” grande come il Covid-19, Andrea e Greta Biasca-Caroni hanno continuato a lavorare alacremente all’archivio e a una serie di clips d’arte per farlo ripartire non appena, il 15 giugno scorso, le autorità svizzere lo hanno consentito. La riapertura si è svolta in chiave elegante (nell’hotel di proprietà dove si trova l’archivio) ma sommessa, come il momento richiede. Come Pericle insegna con i suoi silenzi e i suoi studi. Sulle tracce di una verità o meglio, delle verità che possano comporre un contorno meno sfumato a questo misterioso personaggio, si sono adoperati durante il lockdown decine di studiosi, critici e giornalisti. Una “chiamata alle armi” o meglio “alle arti” insomma, a cui hanno risposto in tanti, da Chiara Gatti, già curatrice della mostra veneziana, alla sottoscritta, da Marco Pasi a Luca Bochicchio, Fabio Merlini e Nicoletta Mongini. Tutti hanno scomposto e ricomposto la figura di Pericle, ruotando le proprie conoscenze di qualche grado, hanno osservato Pericle da ogni punto di vista, dall’ottica della filosofia, allo studio delle chine, dalla ricerca spirituale all’esoterismo, mettendo virtualmente a soqquadro l’archivio. L’operosità dettata in prima linea dai Biasca-Caroni ha tracciato la strada per avviare di fatto, un aggiornamento su Pericle. Uno studio che, visti i tempi lunghi della chiusura e la drammaticità del momento (qualcosa che ha avuto forse ricadute come un altro Sputnik?) ha prodotto un totale ripensamento, un pensiero più meditato su ciò che ha rappresentato una personalità luminosa come Pericle in quegli anni, e non solo per Ascona. Una delle parole chiave emersa è appunto, “verità”, perché la sua ricerca di vita autentica e di un’arte che sapesse darne conto, si è spinta oltre il velo di Maia, “beyond the visible” (come tuttavia, già indicava il titolo della mostra alla Fondazione Querini Stampalia), oltre il già noto, il già detto. Ecco perché si è parlato di un’altra avanguardia che Pericle ha concorso a formalizzare. Un’idea di arte che non fosse per forza ricerca ossessiva di originalità, moda tanto diffusa in ogni tempo. Ed è questa la ragione per cui, dopo un’iniziale fase figurativa, si rivolge, proprio al suo arrivo ad Ascona, a un’altra dimensione artistica informale, più spirituale, che si avvicina allo Spazialismo di Lucio Fontana, agli squarci nella superficie delle cose, producendo un’arte quasi ipnotica e seriale che indaga le soglie, i passaggi, le simbologie dei portali scintoisti e, per giunta, tecnicamente immateriale. Indagine affilata sulla forma, la pittura e l’opera “calligrafica” di Pericle guarda la tela come una superficie da conquistare. Sperimenta, come Hans Hartung moduli dell’arte zen, mettendo così in discussione l’eccessivo eurocentrismo delle formulazioni artistiche del suo tempo, e in definitiva quel mondo al quale aveva partecipato attivamente fino a quel momento. Fino al suo arrivo ad Ascona, appunto, luogo dove come il passaggio di una meteora, ha brillato illuminandone i cieli.
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