Costantino D’Orazio, classe 1974, critico d’arte e saggista, da oltre vent’anni racconta la storia dell’arte italiana anche in radio e in Tv. Ha pubblicato con successo numerosi libri nei quali spiega agli appassionati le vite dei più grandi artisti e i segreti nascosti nelle loro opere. Tra gli altri, ha scritto “Caravaggio segreto”, “Leonardo svelato”, “Raffaello segreto”, “Michelangelo. Io sono fuoco”, “Il mistero Van Gogh”, tutti pubblicati da Sperling & Kupfer. Per saperne di più sulla sua attività di divulgatore culturale sul piccolo schermo lo abbiamo intervistato.
Come ti definiresti?
«Un narratore di storie dell’arte».
Dove sei nato e dove vivi?
«A Roma».
Ci puoi tracciare un tuo breve identikit professionale?
«Ho percorso la storia dell’arte al contrario, partendo dal contemporaneo e attraversando poi l’antico: ne scrivo, ne parlo, lo presento in mostre ideate e curate da me».
Come ti sei avvicinato al mondo dell’arte?
«Attraverso il cinema, mio primo amore. Quando ho capito che avevo bisogno di essere sfidato di continuo, sono passato all’arte visiva, che è molto più enigmatica e non si preoccupa di farsi capire».
Quando e come è entrata la televisione nel tuo percorso professionale?
«Dodici anni fa ho deciso che avrei messo a disposizione la mia capacità di far parlare le pietre e le tele a un pubblico più ampio. Dopo essere cresciuto di fronte allo schermo televisivo, come un qualsiasi ragazzo degli anni Ottanta, ho pensato che avrei potuto entrarvi».
A quale modello televisivo, di divulgazione culturale ti ispiri?
«Alla BBC, maestra nella comunicazione di emozioni attraverso la conoscenza».
Oggi in quale programma tv sei impegnato?
«”AR Frammenti d’Arte”, rubrica su Rainews24. E poi ci sono “Unomattina in famiglia” e “Linea verde”».
Ci descrivi il format di AR Frammenti d’Arte?
«Sono ideatore, autore e conduttore di questo format che presenta in ogni episodio (tra i 6 e i 10 minuti) un luogo: prendo per mano i telespettatori e li conduco attraverso stanze, angoli nascosti, porte chiuse, condividendo informazioni storiche e curiosità».
Qual è la tua giornata tipo?
«Iniziano tutte con il tragitto da casa alla scuola di mia figlia. Poi sono sempre diverse, anche se in realtà pagherei per avere una routine…».
Hai dei riti particolari quando lavori?
«Non direi, a parte indossare le matite colorate nel taschino della giacca».
Qual è l’ospite o l’incontro nel tuo programma che più ti ha colpito? Perché?
«Rimango sempre stupito dalla passione dei restauratori: svolgono un lavoro prezioso, difficile, delicato, e spesso non appaiono mai, perché sono gli storici dell’arte a prendere la parola. Non dimenticherò mai la passione e l’umiltà di Gianluigi Colalucci, il restauratore del Giudizio Universale di Michelangelo. Aveva messo le sue mai su un capolavoro assoluto, ma ne parlava con una semplicità disarmante, come avrebbe fatto Michelangelo stesso».
Qual è l’ospite che ancora non hai avuto che vorresti?
«Vorrei parlare con uno dei custodi del Louvre, per sapere cosa si prova a fare la guardia alla Gioconda, di notte, da soli».
Quale protagonista dell’arte del passato avresti voluto intervistare e perché?
«Orazio Gentileschi, per sapere tutta la verità sulla violenza subita dalla figlia, un fatto ancora pieno di lati oscuri».
Qual è la critica più forte che senti di fare al sistema della cultura e dell’arte di oggi?
«Anche se molto è cambiato negli ultimi anni, si respira ancora molta autoreferenzialità, che è l’anticamera dell’oblio».
Individuo e società: cosa ti affascina di questi due mondi? In che rapporto sono tra di loro e con il tuo lavoro?
«La rete tra gli individui è l’unico atteggiamento che può garantire la sopravvivenza della società. Io faccio rete continuamente, cercando di essere generoso e aperto con tutti».
Cos’è per te oggi veramente contemporaneo?
«Due parole riassumono il nostro tempo è sono la chiave per l’immediato futuro: quantistico e sostenibile. Molti artisti, per fortuna, riflettono su questi temi».
L’attuale esperienza dell’emergenza sanitaria del Covid-19 quale riflessione ti ha fatto maturare sul tuo lavoro, sul senso dell’arte e della vita più in generale?
«Ero già piuttosto convinto della precarietà della nostra esistenza e della difficoltà di costruire qualcosa di duraturo e solido nel nostro Paese. Ora questa convinzione si è allargata a livello globale. Ma la precarietà può essere uno stimolo alla creatività».
Il tuo sogno nel cassetto?
«Parlare d’arte col Dalai Lama».
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