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Opere e archivi della galleria Arco d’Alibert. Intervista a Ilaria Bernardi
Personaggi
Mara Coccia e Daniela Ferraria sono due donne legate alla vita della storica galleria romana Arco d’Alibert. Negli spazi della Sala Aldrovandi della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea vanno in scena le due mostre, distinte ma complementari, dedicate alle due galleriste. Abbiamo approfondito quella dedicata a Daniela Ferraria intervistandone la curatrice Ilaria Bernardi.
L’intervista a Ilaria Bernardi
Allo scopo di rendere nota la donazione alla Galleria Nazionale del prezioso archivio di Daniela Ferraria, legata alla galleria romana Arco d’Alibert dal 1975 al 2006, la mostra rende omaggio all’intenso lavoro per l’arte svolto dalla gallerista nel corso della sua attività. Partiamo dall’inizio. Come definiresti Daniela Ferraria?
«Una donna che ha fatto del suo mestiere la vita stessa, e ha considerato l’arte contemporanea parte integrante della sua quotidianità».
Ci puoi tracciare un suo breve identikit umano e professionale?
«L’identikit umano e professionale corrisponde alla sua storia. Daniela Ferraria nasce a Roma nel 1943. Nel 1968 aiuta un suo compagno di studi dell’Accademia di Belle Arti di Roma, Rolando Canfora, nell’allestimento della sua personale allo Studio Arco d’Alibert, fondato nel 1964 da Coccia in una parte dello storico Teatro delle Dame. È durante l’allestimento di questa mostra che Coccia propone a Ferraria di divenire sua collaboratrice. Dopo aver chiuso la galleria nel 1970, Coccia la apre di nuovo nel 1975, in via Alibert 18, in società con Ferraria, per poi ritirarsi dalla società nel 1977. Ferraria ne diviene così unica titolare e conferisce uno specifico taglio curatoriale caratterizzato sia da un’attenzione verso l’opera su carta e verso gli artisti suoi coetanei, sia da un’attitudine a lavorare con lo spazio, sia dal desiderio di collaborazione con gallerie, istituzioni e musei italiani e internazionali».
Quali sono, a tuo avviso, le tappe principali (mostre, ecc.) di Daniela Ferraria come gallerista autonoma, dal 1975 al 2006?
«Escludendo le tappe relative alla storia della galleria già menzionate, per quanto concerne le numerose mostre organizzate da Ferraria dal 1975 al 2006, mi limito a citarne quattro, due delle quali, sono state fonte di ispirazione per la mostra da me curata alla Galleria Nazionale.
La personale “L’arco d’oro e il continente analogo” (1979) di Paolo Cotani al quale Ferraria è stata legata da un intenso rapporto umano e professionale e al quale ha dedicato altre quattro mostre personali.
Tridente Dieci (1986), ovvero la prima delle otto edizioni della storica rassegna annuale Tridente, ideata insieme ad altre gallerie ubicate nella zona romana definita ‘Tridente’, unite nell’omonima associazione della quale Ferraia assunse il ruolo di presidente.
La mostra-omaggio a Pino Pascali, “Disegni per la pubblicità” (1991), dedicata alla pressoché inedita grafica pubblicitaria e produzione di video dell’artista.
Infine, la personale di Hidetoshi Nagasawa, “Stanza di carta” (2004), che inaugurò la nuova sede della galleria in via Capodiferro, aperta a seguito dell’invito da parte di Maurizio Calvesi e Augusta Monferini a gestire un piccolo spazio nei locali della sede della Cam Editrice che pubblicava la rivista “Storia dell’arte”».
Quali sono gli artisti con cui, nel corso della sua professione, Daniela Ferraria ha maggiormente intessuto un rapporto di collaborazione?
«Vorrei ricordare alcuni degli artisti più cari a Ferraria attraverso le sue stesse parole tratte dal catalogo della mostra alla Galleria Nazionale.
“Per molti anni sono stata la compagna di Paolo Cotani, e questo favoriva i contatti con artisti e galleristi. Oggi ricordo di aver fatto tanta strada con lui, è stato per me un alleato e a volte anche un avversario, sempre con grande lealtà”.
“Conoscevo da sempre Uncini, lui mi ricordava studentessa nello studio di Colla, era per me una presenza familiare e rassicurante”.
“Ancor prima di aprire la galleria gli artisti con cui feci amicizia furono i Poirier, li seguivo nei siti archeologici dai quali erano attratti”.
“Mattiacci mi consigliò di invitare Nagasawa. Andai a conoscerlo a Sesto San Giovanni, vicino Milano, non era ancora famoso, non parlava bene l’italiano, ma entrammo subito in sintonia”».
Come è stato concepito il percorso espositivo, e come si articola?
«Al fine di sottolineare quanto l’esperienza dell’arte resti viva nella quotidianità di Ferraria, nella prima sala è esposta una parte delle opere che ancora oggi le fanno compagnia, provenendo dalla sua collezione. Si tratta di opere, molte delle quali esposte all’Arco d’Alibert, che nel tempo sono diventate per lei “oggetti d’affezione”. Nella stessa sala, è esposta anche una selezione dei documenti d’archivio, corredata da un’ampia cronologia che ricostruisce per la prima volta in modo esaustivo la sua attività dal 1975 al 2006.
La seconda sala propone un reenactment di una delle prime mostre organizzate da Ferraria, dedicata a uno degli artisti con cui maggiormente ha intessuto un rapporto di collaborazione: la già citata personale di Paolo Cotani del 1979.
Conclude il percorso espositivo un nucleo di disegni per la pubblicità di Pino Pascali che Ferraria propose prima nella già citata mostra nel 1991 e, poi, alla Biennale di Venezia nel 1993, come esempio dei molteplici eventi dal lei promossi anche al di fuori della galleria».
Da dove provengono i documenti e le opere esposte?
«I documenti esposti fanno parte dell’ampio archivio costituito da Ferraria nel corso della sua attività e recentemente donato alla Galleria Nazionale. Tutte le opere provengono dalla collezione di Ferraria con l’unica eccezione dell’opera Sole nero di Paolo Cotani, che è invece di proprietà di Evelina Cotani, figlia dell’artista».
Tra le opere trattate da Daniela Ferraria esposte, quali sono quelle che più ti hanno colpito e perché?
«Le opere che mi hanno maggiormente colpito sono quelle che costituiscono il reenactment della personale di Cotani del 1979, sulle quali frammenti di carta, d’oro o nera, sono accostati e incollati sul supporto a delineare un’orditura di segni che si incrociano formando ombre e rilievi. A mio avviso, Cotani è un artista che meriterebbe di essere maggiormente valorizzato, portando in luce il suo contributo originale alla riflessione sulla percezione e sul rapporto tra opera, spazio e spettatore».
Continuiamo a parlare di archivi, ma allarghiamo il discorso. Tu sei docente del corso per curatori d’archivio organizzato da AitArt-Associazione Italiana Archivi d’Artista. Qual è la situazione degli archivi d’artista in Italia?
«L’attuale situazione degli archivi in Italia è varia e, dunque, difficile da sintetizzare in quanto ci sono molteplici tipologie di archivi (chiusi o aperti al pubblico, ‘istituzionalizzati’ o meno in associazioni o fondazioni, privati oppure acquisiti o donati a musei e istituzioni pubbliche…); alcuni archivi sono già perfettamente organizzati e consultabili, altri molto meno.
L’aspetto positivo da rilevare è l’ormai raggiunta consapevolezza dell’importanza dell’archivio d’artista allo scopo non solo di conservare la memoria della sua attività, ma anche di valorizzarla nel presente e nel futuro».
A tuo avviso, quali sono i problemi più annosi che riguardano gli archivi d’artista nel nostro Paese e come affrontarli per risolverli?
«Una questione oggi cruciale è la digitalizzazione degli archivi: sarebbe necessario incentivare, anche con fondi e finanziamenti specifici, non solo il relativo riordino ma soprattutto la digitalizzazione, in quanto rende più agevolmente consultabili i documenti, anche da remoto, e permette di conservare al meglio gli originali cartacei che, una volta digitalizzati, possono essere riposti e non più maneggiati per la relativa consultazione».