Venezia non poteva non premiare Tim Burton (Burbank, 1958), il poeta delle tenebre. Troppo simili, troppo magici e misteriosi. Non è un caso che il nuovo Leone d’Oro alla carriera sia di casa alla Mostra (qui ha già presentato The nightmare before Christmas e La sposa cadavere): per una personalità eccentrica e raffinata, popolare e riservata come la sua, la kermesse veneziana è l’ideale. Mondana al punto giusto, col suo fascino un po’ retrò e l’atmosfera intellettual-chic che si respira in ogni molo, e con il tono che danno la tradizione e quelle parole in sequenza: “Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica”, non semplicemente “Festival del Cinema”. Se per alcuni film in concorso la parola arte può sembrare eccessiva, a Tim Burton si adatta perfettamente. La sua vocazione artistica, innovatrice in un mondo –quello della celluloide- ancora dominato dal realismo, è in realtà tradizionale: creare nuovi mondi, dare rappresentazione fedele ai propri sogni, accostare in modo non convenzionale personaggi, storie, colori e forme è il pane quotidiano di pittori (surrealisti), scultori gotici e architetti alla Gaudì (tra l’altro l’ex disegnatore della Disney ha una mano che per eleganza ed essenzialità richiama Fellini).
L’arte di Burton è chiaramente romantica: il mistero della sua visione del mondo scaturisce da un nucleo ristrettissimo di storie mitiche, di favole terrificanti nell’aspetto e rassicuranti nel messaggio. Tutto secondo il copione della teoria psicanalitica, che vuole la ricorrenza di paure e desideri nei sogni individuali e collettivi.
L’unica differenza è che mentre noi adulti e bambini prima ci spaventiamo e poi capiamo, Tim Burton prima ride e capisce e poi si preoccupa di farci almeno sorridere. E pensare che a Venezia ha dichiarato di non aver mai letto favole ma solo guardato film horror. The nightmare before Christmas, presentato al Lido nella nuova versione 3D a un pubblico armato di occhiali speciali (fin troppo “selezionato” nel numero se si escludono le delegazioni), accenna a questa diversa sensibilità: i giocattoli fabbricati in buona fede dal popolo di Halloween che voleva introdurre il Natale nella sua città spaventano i bambini. Ma Jack Skeletron & C. meritano il nostro perdono, perché hanno un’euforia trascinante, unita a un pizzico di sana riflessione. Discorso analogo per il mondo dei morti de La sposa cadavere: ispira più simpatia di quello dei vivi.
Tutte le opere di Tim Burton ruotano attorno a questi e a pochi altri temi, sviluppati in riferimento a storie “archetipiche” da tutti conosciute come Frankenstein, La Bella e la Bestia, Batman. I pregiudizi e le discriminazioni verso i diversi, la caricatura del mondo di provincia bigotto e pettegolo (le casalinghe disperate in Edward mani di forbice potrebbero aver ispirato il telefilm), la contrapposizione fra i vivi e i morti, simbolicamente presente anche in Batman, il rapporto tra padre e figlio che giunge a soluzione solo con Big Fish, il conflitto tra ragione e immaginazione incarnato da Ichabod Crane indagatore dell’incubo a Sleepy Hollow.
È fin troppo semplificata la rassegna di un lavoro costante di studio e approfondimento di poche ma cruciali tematiche che caratterizzano l’uomo nella sua totalità. “Indago le ragioni del Male” , ha confessato il regista con assoluta franchezza. Sì, ma non solo quelle. Come un poeta omerico, con la grazia del suo tratto di penna e la sua giocosa inventiva, Burton fonde storie da Roald Dahl a Edgar Allan Poe (è in prospettiva un film sullo scrittore di Boston) e le mette al servizio del messaggio prescelto. Attenzione quindi a non prenderlo troppo in parola: quando Jack Skeletron si sforza di comprendere la formula matematica del Natale, e Johnny Depp –ha consegnato lui il premio al suo regista preferito, garantendo così alla Mostra le attenzioni di un pubblico ancor più vasto e trasversale- cerca di scoprire il colpevole degli omicidi a Sleepy Hollow alla luce dell’imperativo positivista della ragione, finiscono entrambi fuori strada.
Per intuire il genio di Tim Burton non è così sbagliato estrarre le radici quadrate dei suoi film e sommarvi le potenze dei suoi disegni: la fantasia del maestro è ben disciplinata dalla ragione e il suo sistema di pensiero è “matematicamente” perfetto.
In due anni Venezia ha premiato due artisti visionari: David Lynch, immaginazione anarchica in veste realista, e Tim Burton, immaginazione lineare su sfondo fantastico. La magia del cinema, semplicemente.
marco d’egidio
[exibart]
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