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02
gennaio 2015
Le storie per immagini di Ishiuchi
Personaggi
Miyako Ishiuchi si è aggiudicata il prestigioso Hasselblad Foundation International Award in Photography. Eccone il ritratto
È Miyako Ishiuchi (distretto di Nitta, prefettura di Gunma, 1947, vive e lavora a Tokyo) – dopo Hiroshi Hamaya nel 1987 e Hiroshi Sugimoto nel 2011 – la terza giapponese ad aver conseguito nel 2014 il prestigiosissimo Hasselblad Foundation International Award in Photography. Un riconoscimento importante, accompagnato dal sostanzioso premio di circa 110mila euro, dalla mostra “Ishiuchi Miyako. The fabric of photography” organizzata all’Hasselblad Center di Gothenburg in Svezia (fino al 1 febbraio 2015), dal simposio e dalla pubblicazione del catalogo della mostra, soprattutto in considerazione del fatto che Ishiuchi è l’unica donna della sua generazione nello scenario della fotografia del Sol Levante.
Per lei fotografare è «un’affermazione del presente». Ad affascinarla è soprattutto la magia della camera oscura. In quell’ambiente intimo e sospeso il lavoro è una sorta di meditazione, favorito dal rapporto ravvicinato con l’opera.
Il bianco e nero è il linguaggio che usa dai primi anni Settanta, quando lascia l’Università di Tama, dove studiava materie tessili, per dedicarsi totalmente alla fotografia.
«Quando studiavo all’università ho scoperto che alcuni processi chimici del tessile erano molto vicini a quelli della fotografia, soprattutto nella fase della tintura.» – spiega la fotografa – «Il passaggio alla fotografia, quindi, è stato l’evoluzione naturale. Sono autodidatta e all’inizio non conoscevo il lavoro degli altri fotografi. Quando, nel 1975, ho partecipato con la serie Mukou no Yami alla collettiva “Shashin Kouka” 3 alla Gallery Shimizu di Tokyo, mi è stato detto che le mie foto sembravano quelle di Daido Moriyama, un autore che per me era sconosciuto. Qualcuno mi chiese anche se avevo studiato con lui. È stato allora che ho deciso di chiamarlo al telefono, invitandolo a vedere la mostra. Lui venne e da allora siamo diventati amici».
Come Moriyama, anche il coinvolgimento di Miyako Ishiuchi nel racconto del quotidiano è immediato, per certi versi impetuoso, travolgente, contestatario. Scatti veloci, interpretati attraverso l’uso dello sgranato che lascia l’osservatore in balia dell’incertezza, sono raccolti nelle serie Yokosuka Story (1976-77), Apartment (1977-78) e Endless Night (1978-79) che nel ’79 le valsero il Kimura Ihei Memorial Photography Award.
«Molte persone guardano al mio lavoro in chiave di fotografia documentaria, ma non è così. Il mio approccio è completamente diverso, perché voglio essere presente all’interno della fotografia».
La presenza del suo sguardo c’è, eccome. Delicato e tenacemente presente quando il soggetto è la memoria. Una memoria personale – come in Mother’s con cui nel 2005 ha rappresentato il Giappone alla Biennale di Venezia – che è appannaggio della collettività. In questa serie dedicata alla madre, il rapporto psicologico tra le due donne trova una sua riappacificazione attraverso l’elenco degli oggetti materni: il rossetto, la sottoveste, un paio di scarpe, la spazzola con la traccia di qualche capello… che dialogano con la pelle raggrinzita del corpo della figura femminile, del tutto anticonvenzionale, a cui sono appartenuti. Anche il colore entra nel racconto, così come nel successivo lavoro su Hiroshima: strings of time (2008) e poi su Frida Kahlo (Frida by Ishiuchi, 2013), realizzato nelle stanze di Casa Azul a Città del Messico.
La memoria può essere intima e personale, anonima o condizionata dalla notorietà, svela comunque tracce che per la fotografa non rimandano tanto al passato, piuttosto sono un modo per calarsi nel presente.
Manuela de Leonardis
In Home Page: Miyako Ishiuchi, Foto di Manuela de Leonardis