Non conoscevo Lea Vergine, la “vedevo”.
Immaginavo anche che sarebbe andata a finire così: le unioni se ne vanno insieme.
Lea Vergine la vedevo, e la imitavo pure: la sua voce roca, la sua permanente sigaretta accesa.
Lea Vergine l’ho “conosciuta” attraverso Francesca Alfano Miglietti, mia amata docente all’Accademia; attraverso Lea Vergine ho “conosciuto” Francesca Alinovi, che ha trovato posto in un volume realizzato “colpevolmente” (ha detto qualcuno) per passione.
Bisognerebbe lavorare “per” passione o “con” passione? Questa poteva essere una domanda che avrei potuto fare a Lea Vergine, rispetto al lavoro della critica dell’arte, e che invece non le ho mai posto. Avrei potuto anche beccarmi una delle sue risposte taglienti, che avrebbero annientato la possibilità di qualsiasi successiva domanda.
E allora, un po’ per timidezza un po’ per mancanza di intelligenza, non ho mai fatto domande a Lea Vergine: mi sono limitato a leggerla, ad ascoltarla ammaliato…quando parlava di Carol Rama, quando interloquiva con Gillo Dorfles, con Fabio Mauri, a metà degli anni anni 2000, in quella Galleria Milano che oggi ha trovato – per fortuna – nuova linfa, e che dovrebbe essere considerata patrimonio culturale della città.
Con Lea Vergine – chi non è concorde si faccia avanti – scompare l’ultima grande critica d’arte italiana: una critica pura, incredibile, sensazionale.
Sensazionale perché la scrittura di Lea Vergine era impareggiabile, e della “sensazione” tangibile: con le sue parole Lea Vergine riusciva a scavare, a far brillare il pensiero, a illuminare le “cose” dell’arte, come Michelangelo scavava la materia della scultura.
L’eloquio, sensazionale, di Lea Vergine: il suo raccontare calmo e distinto, usando la punteggiatura anche nella voce.
Gli aggettivi, di Lea Vergine: eleganti, puntigliosi, mai a sproposito, mai riempitivi. Un barocco per sottrazione. E il carattere di Lea Vergine, di cui sono leggendarie le asperità: una condizione che la critica liquidava lapidaria: “Chi ha carattere viene tacciato di avere pessimo carattere”.
La critica d’arte italiana, oggi, perde carattere. Avvincenti, come i suoi resoconti dell’arte, le stroncature che Lea Vergine metteva nero su bianco sui quotidiani, quando la stampa era ancora spazio di libertà e di pensiero e non una foliazione di orchestrata e compulsiva follia collettiva.
Ma come ogni mito che si rispetti, ovviamente, Lea Vergine aveva una figura che si prestava alla caricatura: il suo caschetto dal ciuffo bianco che l’accompagnava, i cappellini, i guanti, quello stile assolutamente inconfondibile e fuori dal tempo che costruiscono l’icona.
Con i Vegetali Ignoti, duo fluttuante del contemporaneo, composto da Luca Scarabelli e Riccardo Paracchini, nel 2009, Lea Vergine rilasciò un’intervista memorabile (raccolta in Vegetali Ignoti, postmedia books) che solamente una vera auto-ironica avrebbe accettato di realizzare, parlando di yogurt e sigarette. Con la stessa profondità e acume con cui Vergine parlava di arte.
Le sigarette ancora, quel vizio del fumo sul quale Lea Vergine scherzava sempre seriamente: “Io sono la mia sigaretta”, aveva detto.
Inutile, e superfluo, affermare che Lea Vergine è stata – e sarà sempre – per il sottoscritto, una devozione professionale, un’aspirazione di meravigliosa scrittura costruita leggendo l’arte.
Arrivederci Lea. Magari un giorno riuscirò a farle le domande che avevo in mente.
Il corpo come linguaggio. Body art e storie simili, Prearo editore, 1974
L’altra metà dell’avanguardia. 1910-1940, Mazzotta editore, 1980
Capri. Frammenti postumi con Emanuela Fermani e Sergio Lambiase, Feltrinelli, 1983
L’arte in trincea. Lessico delle tendenze artistiche 1960-1990, Skira, 1996
Ininterrotti transiti, Rizzoli, 2001
Schegge. Ester Coen intervista Lea Vergine sull’arte e la critica contemporanea, Skira, 2001
Parole sull’arte. 1965-2007, il Saggiatore, 2008
La vita, forse l’arte, Archinto, 2014
L’arte non è faccenda di persone perbene. Conversazione con Chiara Gatti, Rizzoli, 2016 Necessario è solo il superfluo, intervista a Lea Vergine, Sartoria Editoriale, 2019
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Ho avuto il privilegio di un testo di Lea per una mia mostra a Ravenna nel 1989. Conservo quel testo come un bene da tramandare. Cito l'amico artista Giuseppe Maraniello: "Grazie,Signora". Davide Benati