21 giugno 2016

L’intervista/Alexander Ponomarev

 
Una Biennale alla fine del mondo
Un padiglione nazionale che diventa una Biennale in uno dei luoghi più impervi del pianeta. Ecco l’ Antartide

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L’Antarctic Pavilion è sia un padiglione a Venezia, che ospita da qualche anno progetti d’arte e di architettura durante La Biennale, sia una nuova biennale la: Antarctic Biennial. Fondatore del trasversale progetto è l’artista russo Alexander Ponomarev, assiduo frequentatore del Continente ghiacciato, dove ha realizzato numerosi progetti. La Biennale è stata presentata, in varie sedi internazionali, nell’Aprile del 2016, e culminerà nel Marzo del 2017 solo con cento partecipanti: artisti, ricercatori, e visionari. 
L’esperienza di Ponomarev attinge dall’ingegneria nautica e dalla sua precedente carriera come sommergibilista. La sua ricerca artistica sviluppa principalmente tematiche legate ai viaggi in mare e alla scoperta di territori impervi, contesti nei quali esplorare il rapporto tra illusione e realtà, l’utilità dell’arte, e rileggere la storia da altre angolazioni. Ponomarev nel 2007 ha rappresentato la Federazione Russa alla 52 ° Biennale d’Arte Contemporanea di Venezia.
L’antipode finale, dove tutte le longitudini conducono, dove il sud non può essere trovato su una bussola, il suo ago instabile diventa come una vela al vento. La fine congelata del mondo e la portata più esterna del pensiero geografico. Qui nasce la Biennale Antartica, puoi introdurcela?
«La fine o l’inizio, dipende dal punto di vista. Il polo sud geografico si localizza alla latitudine di 90° S, dove convergono tutti i meridiani. È definito come il luogo in cui l’asse di rotazione terrestre interseca la superficie e sono applicabili le stesse osservazioni per il polo nord. La perfezione dello Zero offre uno spettro di nuove opportunità. È la fine e l’inizio contemporaneamente, e tra questi punti voglio gettare la mia strada! Sono impressionato dall’ipotesi dell’Atlantide di Platone sia dall’Antartide stessa. Lo spostamento precedente dell’asse, magari ha salvato questa civiltà fiorita sotto il ghiaccio. A Einstein piaceva la frase: “Ci sono solo due modi di vivere la vita. La prima: non ci sono meraviglie per tutti. La seconda: la vita è piena di meraviglie”. È per questo che reputo sia fondamentale il viaggio, per trovare le meraviglie».
Mary Denman, Fady Haddad, Matthias Juul Frost © Studio Hani_Rashid 2016 at the Institute of Architecture University of Applied Arts Vienna

Cosa avete ripreso dalle Biennali tradizionali? 
«Solo due caratteristiche: la periodicità e la globalità (globale e pur inserita in una località precisa). La globalità diventa il fattore della geografia e della consapevolezza del ‘destino comune’ con tutti gli esseri viventi, allargando il fattore dell’Umanesimo su scala cosmica. La località significa, nel nostro caso, che sarà delimitata dai bordi della nave! Questo è esattamente ciò che acuisce il carattere irriducibilmente ambivalente e dialettico della glocalizzazione come un modo di resistenza alle egemonie della cultura mondiale, controllata e diffusa dai centri mondiali. Una costruzione del nostro progetto è come un processo costante in grado di aprire la possibilità di una “presenza di improvvisa pienezza”. Come ha scritto Hermann Hesse: “siamo sulla terra per questo scopo, per la contemplazione e la ricerca e l’ascolto dei suoni remoti perduti, e la nostra vera casa si trova dietro di loro”».
Noemi Polo © Studio Hani_Rashid 2016 at the Institute of Architecture University of Applied Arts Vienna
È inevitabile chiedertelo, in un periodo di recessione mondiale come si trovano le risorse per una nuova Biennale? Come è possibile sviluppare una nuova piattaforma creando un forte network istituzionale?
«È chiaro che il progetto è enorme e ha bisogno di molte risorse; e su questo ci stiamo lavorando. Il grande aiuto è avere molti amici e fiduciari, ma non è abbastanza e stiamo cercando nuovi metodi di ‘marketing culturale’ (scusate l’espressione). La difficoltà principale è data dal periodo di navigazione in Antartide; di solo tre mesi all’anno. Abbiamo bisogno di lavorare e preparare tutto in modo molto veloce. Pensiamo questo progetto come una biennale permanente con una spedizione»».
Allo stesso tempo, il Padiglione Antartico è anche un dinamico progetto che ha sviluppato una serie di eventi d’architettura e d’arte, negli ultimi anni, durante La Biennale di Venezia; come la mostra ‘Antarctopia’ durante il 15.°La Biennale di Architettura. Ci puoi introdurre questo spazio permanente a Venezia e il suo programma?
«È nato il Padiglione Antartico in modo speculare alla Biennale. Il Padiglione Antartide ha tre anni di vita e posso confermare che tutte le mostre realizzate, a Venezia, hanno avuto una grande risonanza. Oggi il progetto visitabile è quello di Hani Rashid – ANTARCTICA: RE-CYCLICAL una frontiera in divenire; un’idea impegnativa ed ambiziosa di sviluppo culturale dell’Antartide. Abbiamo buoni rapporti con la Biennale di Venezia. Siamo in una fase estesa a riguardo delle assegnazioni dei Padiglioni nazionali e vogliamo curare gli eventi non solo durante il contesto della Biennale di Venezia».
Studio Hani_Rashid 2016 at the Institute of Architecture University of Applied Arts Vienna, on show till July 31 at the Antarctic Pavilion
Secondo te quale sarà il futuro, e l’evoluzione, delle Biennali? Le nuove Biennali possono essere un’ottima piattaforma per mostrare il meglio dell’arte contemporanea sperimentale o tematica? Qual è la migliore strategia per sviluppare un pubblico solido e un concetto innovativo?
«A mio parere, l’organizzazione dell’arte contemporanea assomiglia sempre di più a una costruzione centripeta nella quale tutto gira intorno alla sua orbita. Siamo dei liberi elettroni a tratti pirati che costringiamo le strutture stagnanti a diventare aggiornate – – ‘Biennale upside down’, ‘Mobile Biennale’, ‘Biennale in process’. I principi, la natura e la struttura della nostra Antarctic Biennale è unica. Uno dei suoi molti compiti è quello di progettare una piattaforma per il dialogo interculturale e transdisciplinare interrogandosi sul futuro degli “spazi comuni”, combinando con la ricerca artistica inedita dei luoghi che si trovano sulla frontiera dell’umanità. Questa piattaforma deve anche diventare una base sistematica per una comunicazione efficace per gli spazi. Solo l’arte può assumere questa “funzione di unire”, perché solo l’arte e gli artisti non hanno perso la capacità di cogliere il mondo nella sua integrità! Un processo, un viaggio, un’avventura, una bugia in movimento sono alla base del nostro progetto. Credo siano le caratteristiche di vita più importanti per gli artisti e per i ricercatori, e per tutti gli uomini! Come ci ricorda il filosofo Gabriel Marcel, la nostra anima è un viaggiatore».
Camilla Boemio

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