Categorie: Personaggi

L’intervista/Andrea Bruciati | Nel nome di Tina

di - 28 Giugno 2013
TinaModotti.lab è il nuovo progetto legato alla grande fotografa udinese, realizzato in collaborazione con l’associazione culturale udinese Vicino/Lontano. L’obiettivo è di valorizzare la figura di Tina Modotti (Udine 1896 – Città del Messico 1942) quale protagonista della rivoluzione modernista legata al medium fotografico. Per questo a luglio parte un concorso indirizzato a fotografe under 35 che, mediante una open call attiva fino a settembre, le selezionerà. Una giuria, composta da una madrina/artista di fama internazionale, da Andrea Bruciati e dal direttore di un museo, esaminerà il portaolio, il curriculum vitae e il progetto da realizzare.
La vincitrice sarà proclamata a novembre e risiederà in Regione per un periodo di tre mesi (gennaio-marzo), durante il quale, oltre a realizzare la campagna fotografica, parteciperà a un programma formativo organizzato attraverso attività laboratoriali con le scuole, workshop e incontri aperti al pubblico. Infine, in occasione dell’edizione di Vicino/Lontano 2014, presso la Galleria Tina Modotti, sarà inaugurata la mostra della vincitrice con le immagini realizzate nel corso della sua permanenza in Regione. Ma sentiamo come racconta il progetto (e altro) Andrea Bruciati
Come ti è nata l’idea di questo progetto?
«Parlando con molti colleghi ed artisti ho notato un profondo fraintendimento sull’opera di Tina Modotti, mente per me è stata una figura importante, già durante la mia formazione universitaria. Frequentavo lo studio fotografico di Riccardo Toffoletti, suo sostenitore appassionato e redattore della rivista Perimmagine, con la quale collaboravo attivamente, e conservo ancora quella stessa tensione e fede nella libertà dell’espressione, che connota spiritualmente la sua ricerca e il suo impegno di artista».
Hai pensato a Tina Modotti per ovvie ragioni geografiche, immagino. Ma conta anche la vivacità della fotografia fatta dalle artiste oggi, o no?
«Ritengo che il medium fotografico sia frequentemente visitato e analizzato dal genere femminile, spesso con un linguaggio laterale intenso ed importante per qualità e produzione. Penso ad autrici di rilievo come Alessandra Spranzi, Sara Rossi, Sandrine Nicoletta, mai sufficientemente valorizzate nonostante un lavoro serio e rigoroso. In questo contesto per me risulta importante ipotizzare una sorta di ponte fra una maestra e le giovani generazioni per consentire uno scambio e una promozione non effimera. A questo punto lo reputo una sorta di atto dovuto e un’esperienza arricchente, nata da un’osmosi continua e febbricitante».
Cosa rende attraente e importante oggi una città come Udine per un artista? Se ne sa così poco e forse vale la pena saperne qualcosa in più.
«Al momento la città non offre motivo di stimolo ad un’artista ma molte iniziative culturali recenti (Vicino / Lontano ad esempio) testimoniano una necessità da parte del pubblico di essere aggiornato sulle istanze del contemporaneo. Mi auguro che anche questo progetto inneschi un percorso virtuoso di interesse sempre più partecipato».
Non pensi che la formula residenza sia un po’ abusata ultimamente? In una recente tavola rotonda sulle fondazioni a Venezia, Germano Celant ha parlato di “turismo culturale” a proposito delle tante residenze oggi disponibili.
«Non so dove viva Celant e ben venga il ‘turismo culturale’, una opportunità unica per il Paese che ne trarrebbe solo vantaggi. Anzi, ben vengano opportunità per gli artisti e le comunità che hanno la fortuna di ospitarli perché ritengo vi siano delle potenzialità per entrambi incalcolabili e sul medio e lungo periodo. Per quanto riguarda poi la tipologia delle residenze, ritengo semplicemente che non sia l’etichetta ‘residenza’ ad essere in crisi ma le modalità di attuazione. Come per altre tipologie generiche, tutto dipende dalla gestione e dall’organizzazione: ci sono residenze di indubbio interesse (Painting Detours sempre in Friuli) e progetti ‘prostitutivi’ o ancor peggio inutili sia per chi li vive e il territorio che li subisce».
L’artista dovrà veramente risiedere tre mesi a Udine? È difficile pensarlo, data la mobilità degli artisti oggi.
«L’artista deciderà quanto risiedere e dove per un tempo massimo di tre mesi: comunque l’idea è di coinvolgere in questo nomadismo varie parti della Regione, a seconda degli stimoli provenienti dagli stessi luoghi e del dinamismo sociale del contesto culturale. Mi piace concepire sempre progetti versatili, dove la rete diventa piattaforma neuronale aperta a connessioni spesso inedite».
Dove andrà a finire il corpus di foto realizzato? Hai pensato a una destinazione?
«Una edizione delle stampe prodotte entrerà a far parte di un fondo destinato a parte, gestito da un’istituzione sul territorio attenta e pubblica. Mi auguro che il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Udine formalizzi questo mio desiderio e comprenda il portato culturale dell’iniziativa che è insieme globale e attento in maniera costruttiva al territorio».
Come è la situazione in Friuli dopo la chiusura di Codroipo?
«Villa Manin intendi? Non vedo al momento progettualità o attenzione scientifica: il contemporaneo è visto in Regione (ma forse il discorso può estendersi all’intera penisola) come genere liminare alle espressioni da centro sociale, dove i giovani devono ‘sfogare’ le loro intemperanze creative. Un campo di arrembaggio improvvisato, più che di selezione e studio, e tutto ciò è sconfortante soprattutto per chi vive questo lavoro con passione. Monfalcone, ad esempio, ha programmato come iniziativa-evento un Salone d’Arte contemporanea, che comprendeva restauro e paesaggio, forse volendo riattualizzare Le Dejeneure sur l’herbe. L’aberrazione di una gestione ‘politichese’ della cultura genera mostri, ma San Giorgio è sempre stato uno dei modelli a cui quotidianamente mi ispiro».

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