28 gennaio 2013

L’intervista/Carlo Lioce E stavolta faccio quattro!

 
Il più nomade dei galleristi di Milano, direttore di “Room Galleria” si racconta a Exibart, in occasione dell'opening del suo, ennesimo, nuovo spazio. Con idee chiare sul “sistema Italia”, su come promuovere l'arte nel Belpaese. Ecco il ritratto che è uscito da questa breve intervista, che traccia i profili romantici e sognatori di un gallerista vicinissimo al mondo cangiante degli artisti

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Carlo -Charlie- Lioce, apre domani il suo nuovo spazio, a Milano, zona porta Venezia. E certo si può dire che non sia una grande novità, perché trattasi sicuramente del più “vagabondo” dei galleristi milanesi, che in pochi anni di attività ha cambiato ben quattro sedi, una media di una ogni anno e mezzo. Verrebbe quasi da dire che ad ogni nuovo ciclo di mostre cambia anche spazio. E forse è proprio un po’ così, per appropriarsi di un territorio e per “ascoltare” quello che l’istinto rivela, nella necessità imperterrita di mutare. Forse anche perché Lioce lavora esclusivamente con artisti giovani e in qualche modo ancora soggetti alle mille variabili quotidiane di questo lavoro e del processo creativo. Ma Charlie è una sorta di rabdomante, e tra le sue pareti sono passati alcuni dei più promettenti e particolari giovani degli ultimi anni, a cominciare da Debora Hirsch con Iaia Filiberti, Nicola Troilo, Marco Rambaldi, Manuel Scano, Thomas Berra, il cantante e artista Bugo e Francesco Bertocco, vincitore del Premio Rolling Stone nella scorsa edizione di The Others e selezionato da BJCEM per Mediterranea 16, il Festival delle Arti che si svolgerà ad Ancona dal prossimo 6 al 9 giugno. Abbiamo chiesto a Carlo qualcosa di più, per conoscere meglio la sua idea di arte e il perché dei suoi spostamenti, con un occhio a Milano.

2013: si prospetta un anno agghiacciante in fatto di economia, politica e tagli di qualsiasi tipo. Con tutta questa aria di catastrofe tu cambi galleria. Qualcuno direbbe che sei pazzo! Perché questa scelta?
«La gestione politica e culturale della città è a un livello qualitativo basso, però il terreno è fertile, bisogna seminare e coltivare le potenzialità. Credo che ci sarà un riassetto culturale migliore anche sul piano economico, iniziando a sostenere le realtà emergenti».
Lo spazio di via Stradella, una delle zone migliori per l’arte contemporanea a Milano, iniziava a starti stretto? Dove ti sposti?
«È lo spirito di libertà che mi accompagna, dal 2007 è la terza galleria che cambio: prima via Eustachi, poi via Stoppani, via Stradella e ora al quattro di via Hayez, tutte a Milano e tutte nella stessa zona, praticamente a cento metri una dall’altra. È un po’ come se fossero ancora mie, mi piace l’idea di poterle vedere tutti i giorni; poi basta uno spostamento minimo per conoscere qualcosa di nuovo».
È molto che pensi a questo “trasloco” o è stata una scelta più impulsiva?
«Nessuna delle due. È un po’ come Ulisse che viaggiava per tornare da Penelope e tornava da Penelope per viaggiare».

Come sarà la nuova galleria?
«Bianca».
Ci dai qualche anticipo sulla programmazione? Hai in cantiere partecipazioni a fiere?
«Inaugurerò con la mostra personale di Luca De Leva».
Cosa pensi dell’attuale situazione della politica dell’arte? Come è possibile resistere per un gallerista in un Paese come il nostro dove tutto è difficilissimo e dove le tassazioni sono ai massimi livelli?
«Penso che sia i galleristi che gli artisti non dovrebbero pagare le tasse, ma al contrario il governo dovrebbe finanziare l’arte. Così tutti faranno gli artisti e i galleristi».

Come ti sembra il tessuto milanese rispetto alla realtà italiana? Crea secondo te, seppur in piccolo, quel famoso sistema, quella rete di cui tanto si fa parola?
«Se ti riferisci all’economia sicuramente rispetto ad altre realtà italiane Milano offre molte opportunità, ma il sistema Italia dovrebbe supportare più la cultura in modo da sdoganare gli artisti e non viceversa. Ma il “Sistema-Italia” non si definisce solo dal contemporaneo, ma anche dalla storia che lo ha preceduto: Guido Le Noci, Franco Toselli e Galleria Apollinaire a Milano, Plinio de Martis, La Tartaruga, L’Attico di Sargentini a Roma, Lucio Amelio a Napoli, Emilio Mazzoli a Modena. Resteranno solo le cose forti e vitali, tutto il resto scivolerà via, anche dal sistema».
Room è aperta dal 2007, quindi è piuttosto giovane. Cosa hai visto cambiare in questi anni? Che cosa ti aspetti da questo cambiamento?
«Vado avanti, queste sono le mie aspettative».

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