Categorie: Personaggi

L’Intervista/Chiara Parisi |

di - 25 Aprile 2015
A poco più di tre mesi dalla chiusura della spettacolare “Chocolat Factory” di Paul McCarthy, la Monnaie de Paris presenta “Marcel Broodthaers. Musée d’Art Moderne-Département des Aigles”.
Non è sempre semplice “leggere” il lavoro dell’artista belga, spesso definito bizzarro e contraddittorio e che si sviluppa in poco più di un decennio (1964-1975) fino alla sua prematura morte. Marcel Broodthaers (la cui prima grande – e tardiva – retrospettiva in Italia la ricordiamo al MAMbo nel 2012) non appartiene pienamente a nessun movimento a lui coevo: né Arte Concettuale, né Nouveau Réalisme, né Pop Art. Si muove al limite di queste correnti, forte di un linguaggio che crea perfette corrispondenze tra l’universo delle parole e l’universo delle cose in  un’atmosfera post-mediale, per dirla con Rosalind Krauss. Con il senso dell’ironia e dell’assurdo tipicamente belga, Broodthaers ha segnato il suo tempo, influenzando intere generazioni dopo di lui.
Ma quale profilo emerge dalla mostra e come è organizzata? Ne parliamo con Chiara Parisi, direttrice artistica della Monnaie de Paris che ha già contraddistinto con la sua presenza la programmazione culturale di Villa Medici a Roma e il Centre international d’art et du paysage sull’isola di Vassivière.

Poeta, artista, collezionista chi è Marcel Broodthaers?
«Marcel Broodthaers è essenzialmente un artiste plasticien, lo era quando scriveva poesia e lo resta dopo la sua conversione all’arte. È un personaggio visionario e, allo stesso tempo, un bohémien affascinante ed essenzialmente malinconico. Una figura d’intellettuale perfetta espressione della sua epoca, estremamente colto, ma con un’ironia fuori dal comune».
È la prima volta che alcune sezioni del Musée d’Art Moderne-Département des Aigles, vengono ricostruite e presentate al pubblico dalla morte dell’artista. Come avete pensato l’esposizione?
«L’esposizione alla Monnaie de Paris si struttura principalmente intorno al grande progetto del Musée d’Art Moderne-Département des Aigles, curato insieme a Maria Gilissen, con la presenza importante della figlia Marie Puck Broodthaers. Abbiamo scelto di presentare l’artista attraverso il progetto della sua vita. Il Musée d’Art Moderne ha funzionato come una vera istituzione dal 1968 al 1972, ma l’idea traspare già dal primo film, La clef de l’horloge (1957), che ispira quasi tutti i suoi lavori, fino a quelli presentati nell’esposizione L’Angélus de Daumier del 1975 all’Hôtel de Rothschild che preannunciava l’apertura del Centre Pompidou».

L’ultima grande mostra dedicata a Marcel Broodthaers a Parigi è stata la retrospettiva del Jeu de Paume nel 1992, quali sono le differenze rispetto ad allora?
«Alla Monnaie de Paris è una passeggiata attraverso un possibile percorso del Musée d’art Moderne. Esponiamo per la prima volta dopo la sua prima presentazione a Düsseldorf nel 1972 dei dettagli della Section des figures, grazie alla partecipazione e ai prestiti di numerose istituzioni internazionali e di collezionisti e persone legate a Broodthaers, e poi la Section Publicité e la Section Financière, con il lingotto da un chilo d’oro (Le lingot d’or) coniato con un’aquila negli Ateliers della Monnaie de Paris, prestito dall’artista Danh Vo. Broodthaers trasformava le sue opere ad ogni nuova presentazione. La nostra mostra non è una retrospettiva e non ha carattere scientifico, piuttosto propone un approccio intuitivo dell’opera, anche grazie al punto di vista privilegiato della famiglia, con cui da tre anni incontri e riunioni si sono tenuti in modo sostenuto tra Parigi e Bruxelles. È attraverso la memoria di sua moglie, Maria Glissen, e di sua figlia, Marie-Puck, che abbiamo concepito questa esposizione. È affascinante la storia della sua relazione con Maria, è lei sempre dietro la macchina fotografica ed è lei la montatrice dei suoi film».
Perché presentare oggi a un vasto pubblico, tramite un’ampia programmazione didattica, l’opera di Broodthaers?
«Tutta la riflessione di Broodthaers sul museo, il mercato dell’arte e ciò che poi è diventato in parte il marketing culturale è profondamente attuale e non solo per un’istituzione come la Monnaie de Paris che si sta trasformando da fabbrica del conio degli euro e di monete internazionali in un’istituzione culturale aperta al contemporaneo, che si interroga sulla presentazione delle proprie collezioni e sulla messa in valore del proprio patrimonio museale antico di secoli. L’azione pedagogica offre una serie di appuntamenti per i bambini e gli adulti che permettono di sviluppare un’approfondita riflessione sull’opera di questo artista che occupa un posto speciale per la sua ridefinizione del rapporto col sistema dell’arte contemporanea e dell’istituzione museale».

Le opere di Broodthaers sono spesso concepite come delle complesse macchine-dispositivo che riflettono sull’istituzione-museo in relazione all’arte, la creatività e lo statuto dell’immagine, per questo viene annoverato tra gli artisti dell’Institutional Critique. Il suo lavoro, presentato in svariati musei – dopo Parigi, toccherà nel 2016 al MOMA di New York – sembra dire che, in fine, l’arte che smaschera il sistema viene comunque inglobata dal sistema stesso. Che ruolo ha il museo in questo processo? Oltre la valorizzazione, conservazione, trasmissione delle opere, riesce a rileggere in maniera critica la crisi del postmoderno ancora in corso?
«Tutto il progetto del Musée d’Art Moderne – Département des Aigles gioca su un rimando costante tra l’opera d’arte e il museo che si legittimano reciprocamente. Dopo il ready-made di Duchamp lo strumento di legittimazione della creazione contemporanea non è più soltanto istituzionale come all’epoca dei Salons ma passa anche e soprattutto attraverso il mercato dell’arte. La domanda degli artisti, ma anche del pubblico, sul valore dell’opera è diventata una costante di quasi tutta la produzione artistica fino ai nostri giorni. Il progetto di Marcel Broodthaers non è una critica all’istituzione museale nei suoi compiti di valorizzazione, conservazione e trasmissione, piuttosto una riflessione sul suo ruolo in quanto strumento di legittimazione se non addirittura di sublimazione delle opere degli artisti. Questa riflessione si allarga a tutte le istituzioni culturali che si sono trasformate dagli anni Sessanta in poi, grazie anche ad artisti come Marcel Broodthaers».

In tempo di tagli e di crisi, in Francia circa il 4 per cento del Pil proviene dalla cultura. Qual è a suo avviso il punto di forza di questo sistema?
«In tempo di crisi la cultura e l’arte devono essere sempre considerati necessari. La Francia ha la fortuna di aver coltivato negli anni un pubblico attento e molto esigente, questo costringe le istituzioni a mantenere sempre molto alto il livello delle loro proposte, soprattutto nell’ambito del contemporaneo».
Domanda tanto di rito quanto di chiusura, recentemente è stato fatto il suo nome per la Direzione del MAXXI, ritornerebbe mai in Italia?
«Sono stata felice di costruire il programma culturale della Monnaie de Paris, questa antica fabbrica d’Europa, che ha festeggiato i suoi 1550 anni quest’anno. Il progetto è iniziato tre anni fa e quella su Paul McCarthy è stata la nostra prima esposizione. Ma penso di si, ad un certo momento amerei tornare in Italia. Roma è la mia città e mi manca l’idea di andare a mangiare in una piazza per poi infilarmi in una chiesa a rivedere un Caravaggio. La naturalezza nell'”attraversare” la storia dell’arte è una caratteristica che ammiro molto nei colleghi italiani».

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