«On the Breadline è un progetto che avevo già in mente da un po’, il bando dell’Italian Council è stato funzionale per la sua realizzazione (il progetto è curato da Benedetta Carpi De Resimini ed è stato presentato da Wunderbar Cultural Project, a Belgrado ho collaborato con Beo Project Gallery). È importante ricevere riconoscimenti sul proprio lavoro, così come avere le condizioni economiche per poterlo realizzare, visto che lavorare in quattro Paesi (Italia, Serbia, Grecia e Turchia) richiede un grosso investimento di risorse ed energie».
Attacca così, Elena Bellantoni, sul finale della tappa greca della sua On the breadline. Le abbiamo chiesto di più, su questo progetto.
Puoi spiegare in che cosa è consistito questo progetto, cosa ti aspettavi, di cosa hai avuto paura, cosa vorresti che restasse? E come si colloca nell’arco della tua ricerca artistica?
«On the breadline segue il fil rouge della mia ricerca artistica si muove dall’investigazione sul territorio, si costruisce attraverso la relazione e l’incontro e prende forma con il video, la performance e l’installazione. L’elemento della lingua e della traduzione è centrale in questo processo di ricerca, la lingua è un soggetto identitario e la traduzione diventa lo spostamento e la materia di scambio e tensione. La musica è sicuramente un “tema” nuovo, che amalgama e impasta territori diversi e ne fa emergere le caratteristiche comuni e le diversità. La parola breadline è ambigua in inglese è sia la linea del pane ma anche la linea di povertà che io declino come linea di crisi. La crisi è una parola abusata nel nostro presente, è stata utilizzata per alimentare tensione e paura, a sua volta è un concetto ambiguo perché avviene non solo da una spinta interna, ma anche da alcune condizioni “esterne” che vengono imposte. Forse è nei momenti di crisi che si definisce il sé, che vengono prese delle posizioni anche contro l’ordine costituito, in cui emerge una forza che definirei di resilienza che fa fronte in maniera positiva agli eventi traumatici. La mia breadline segue proprio queste tracce: attraversa percorsi in cerca di visioni, semina briciole inseguendo avvistamenti e nuovi punti di vista, tenta di definire il presente in cui viviamo. Il pane non rappresenta solo il momento del convivio e del confronto tra genti diverse, ma è legato alle rivolte popolari che si sono succedute in questi paesi. La rivolta del pane è quindi il nome che viene dato a movimenti di protesta che hanno unito popolazioni diverse nel nome della giustizia sociale. Un semplice pezzo di pane ha ispirato, nei secoli, poeti e scrittori di ogni paese che ne hanno celebrato le virtù, i significati, la simbologia, le suggestioni, i sapori. Il grano è l’oro dei poveri. La grana è anche sinonimo di soldi, così come la pagnotta, la breadline è dunque la linea di povertà».
Aeroporto Hellinikon abbandonato
Quali sono stati i vari “step”?
«Durante la mia ricerca a Belgrado ho relizzato il primo lavoro video che consiste in una performance cantata, ripresa dal canto di protesta Bread & Roses che trae origine da una frase di un discorso della leader Rose Schneiderman nei primi anni dieci del secolo scorso. A Belgrado ho coinvolto il coro Collegium Musicum dell’Università, delle giovanissime artiste hanno cantato per me. È stato uno scambio molto intenso sia con loro che con Dragana Javanovic la direttrice del coro. Ascoltare la voce delle cosiddette “millenials” cantare un canto di protesta così antico, inusuale, ma dolce e forte allo stesso tempo ha creato un grande corto circuito nella mia immaginazione. Il coro è formato da sole ragazze, che ho voluto vestire con dei camici da lavoro blu elettrico fatti su misura, le ragazze erano tutte truccate in stile pop e la location che ho scelto per girare il video rappresenta invece il periodo del Brutalismo Yugoslavo i Block, voluti da Tito per costruire la Nuova Belgrado. Lavorare con delle giovanissime professioniste ha dato un valore ulteriore alla mia produzione. Per me è importante che questo lavoro venga declinato da chi oggi si affaccia al futuro e da chi sta ricominciando, per motivi diversi, a scendere in piazza per manifestare le proprie idee. L’elemento del coro in questo progetto diventa essenziale perché costituisce un simbolo di unione che traduce in un atto poetico un momento di protesta collettiva».
Perché la scelta di questi quattro paesi, Grecia Italia Turchia Serbia?
«Il pane diventa l’oggetto grazie al quale costruisco la mia narrazione nell’attraversare i diversi paesi che considero legati in qualche modo dalla cultura mediterranea. L’idea è quella di far dialogare questi luoghi “caldi” – Belgrado, Istanbul, Atene, Palermo – che possano raccontare il nostro presente contemporaneo. La mia breadline crea un ponte tra civiltà diverse, cresciute su sponde opposte dello stesso mare, ma accomunate da un retroterra culturale identico. Ho deciso di seguire la linea tracciata del grande scrittore serbo/croato – che incontrai a Roma più di dieci anni fa durante una sua conferenza e scomparso da poco – Predrag Matvejević: “Mi sono reso conto di come culture lontane avessero nel grano delle radici in comune. È la storia delle prime farine dei nomadi, delle sacche dei viandanti e del pane dei frati: che è lo stesso dei mendicanti e dei carcerati”. così Matvejević narra il grandioso vagabondaggio del grano nel suo libro Pane Nostro. Questa sua “geopoetica” ha segnato sicuramente l’inizio del mio percorso.
Lo scrittore Burhan Sönmez afferma: “A Istanbul il pane e la libertà erano due desideri che richiedevano di essere l’uno schiavo dell’altro. Si sacrificava la libertà per il pane o si rinunciava al pane per la libertà”. Ecco l’eco di queste parole è diventato il canto di Bread&Roses mai tradotto in queste lingue. Ad Atene la parola pane è legata all’Istruzione e libertà come slogan che unisce diverse categorie sociali. Queste tre parole sono state utilizzate durante la protesta- sotto il regime dei Colonelli- degli studenti del Politecnico di Atene nel 1973 sono tornate a significare molto nel momento del disastro economico, cui non si accompagna solo l’impoverimento di settori sempre più grandi della società greca ma anche e, soprattutto, l’abbattimento dei diritti».
Elena Bellantoni, On the Breadline, Atene
E perché proprio Palermo, tra le città italiane?
«Palermo è stata scenario di rivolte come la sanguinosa Rivolta del pane, nel 1944 in cui l’esercito sparò, contro la folla di manifestanti scesi in piazza per invocare “pane e lavoro”.
A Palermo ho fatto già un progetto di ricerca per Manifesta12 in collaborazione con l’Ecomuseo Urbano Mare Memoria Viva con cui collaboro nuovamente per On the breadline. Credo sia importante tornare nei territori e continuare a seminare, tracciare lentamente un percorso che si nutre di uno stesso sguardo e di un simile approccio alla vita e alla ricerca. La continuità per me è un valore, credo che finiti i fasti di Manifesta12 sia importante continuare a dialogare. Inoltre nella mia linea mediterranea Palermo diventa necessaria oltre che voluta, è una città che proprio per i suoi forti contrasti politici e sociali si unisce all’unisono con Belgrado, Istanbul e Atene. Il mio non è uno sguardo verso l’Altro ma anche rivolto verso dentro, per questo motivo ho deciso di segnare la mia Breadline anche in Italia».
Come è nata la collaborazione con Sandra Cotronei? E qual è il ruolo della componente musicale in questo progetto?
«Se devo essere sincera la collaborazione con Sandra è nata per caso, come tanti momenti imprevedibili della vita. Stavo camminando vicino alla Pelanda a Testaccio mesi fa ed ho sentito delle voci venire da una stanza, mi sono affacciata ed ho trovato un coro che stava cantando canti di protesta. A volte succede che le cose ti incontrano, anche se non le cerchi, e se succede devi lasciar spazio e seguirle. Così ho fatto. Lei ha riscritto tutta la partitura di Bread&Roses ed io con ogni coro ho fatto la traduzione e l’adattamento musicale di ogni testo tradotto. Sandra Cotronei mi ha accompagnata in quest’esperienza di scrittura e di ascolto, di note e contralti, di intensità e di senso rispetto a quello che volevo e che avevo in mente».
Elena Bellantoni, On the Breadline, Atene
Alla luce anche degli ultimi cupi e disumani eventi di Torre Maura, il pane pestato (mi fa senso solo parlarne, pensa), c’ è un significato profondo del pane che abbiamo un po’ perso per strada?
«Il pane è lavoro, il pane è simbolo della rivolta, il pane è forza, il pane è mediterraneo, il pane è donna che impasta con il suo “lievito madre”, il pane è una strada da seguire, il pane è condivisione e lotta. L’impastare è una riflessione sul sporcarsi le mani, una metafora di una partecipazione attiva alla vita. Gli episodi di cui parli li ho seguiti da Belgrado e mi hanno turbata. Nelle nostre città e periferie chi chiedeva diritti e legalità 40 anni fa oggi ha dimenticato le proprie battaglie e viene “indirizzato” dalla paura a schierarsi contro chi è diverso creando una diseguaglianza sociale molto forte. La frase che sentiamo oggi è che il pane, il lavoro, non basta per tutti… prima gli italiani! Io risponderei “Non me sta bene che no!”».
È più facile immaginare la fine del mondo o la fine del capitalismo?
«Il mondo finirà con il capitalismo. Questa può essere una forma di immagine-azione alla tua domanda molto complessa… Stiamo assistendo tutti a vari disastri da quello ambientale ai conflitti che per motivi politico-econimici animano ancora il mondo in cui viviamo. Passare del tempo a Belgrado mi ha attraversato. Mi resta addosso un grande voglia di continuare a capire, di provare a farmi un’idea di tutti questi equilibri instabili che sono stati costruiti negli ultimi 40 anni. Dalla fine della guerra fredda il mondo è cambiato. Altre micce si sono accese per portare avanti questo “sogno capitalistico” che dovrebbe assicurarci la felicità. Sono lei voci degli amici serbi – che ho incontrato a Belgrado – che rimbombano nella mia testa, che mi spiegano che senza la Visa non si possono muovere, che il loro desiderio più grande è quello di entrare in Europa e non usare più dinari – mi domando già adesso cosa troverò ad Atene – allora questa grana, questa pagnotta è l’unica forma di “pane” di cui vive l’uomo?».
Mario Finazzi
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