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20
luglio 2019
L’INTERVISTA/ FABRIZIO BELLOMO
Personaggi
MESSAGGI PER COMBATTERE
Un’opera pubblica, che è anche “monumento” e “scultura della storia”. L’artista al lavoro sulle tracce di Radio Bari
Un’opera pubblica, che è anche “monumento” e “scultura della storia”. L’artista al lavoro sulle tracce di Radio Bari
– Hanno cambiato il nome alla strada!
– Ma chi? Dove?
– Adesso, non vedi?
– Ma no, è uno scherzo.
– Macché non è uno scherzo, sono venuti quelli… guarda là…
Sono alcuni dei commenti che Fabrizio Bellomo ha registrato tra alcuni anziani abitanti di Ceglie del Campo (nel comune di Bari), località che ospitava le antenne di Radio Bari.
Nell’etere, dalla primavera del ’44, da qui venivano lanciati messaggi speciali per i patrioti: un “contenitore di pubblico servizio” che si intitolava L’Italia Combatte. Messaggi per la Resistenza, oggi dimenticati, che tornano lapidei nelle strade del quartiere, pezzi di storia del territorio decontestualizzati dal tempo: “Il Corriere di Lione”; “La mia Barba è Bionda”; “Martino non parte”; “Anna dorme”; “Maria si prepari” sono alcuni degli “11 messaggi speciali” diffusi a Ceglie e nelle aree limitrofe del capoluogo pugliese, nell’ambito del progetto “Sentieri Quotidiani” vincitore del bando Creative Living Lab, MIBAC 2018.
Fabrizio Bellomo Vegla Ben Ustain 2015 still da video
Mi piace moltissimo questo progetto per la sua attualità: perché l’Italia combatte attraverso messaggi cifrati anche oggi, perché solo chi riesce a cogliere qualche messaggio speciale forse riesce a salvarsi. Mi sembra importante ribadirlo nell’epoca del pensiero unico, o forse dell’assenza di pensiero o di un pensiero post-televisivo lungo quanto un post e basta. Che ne dici?
«La tua lettura mi ha fatto riflettere. La metafora, sul saper decifrare i messaggi speciali così da salvarsi dal pensiero unico, è un’allegoria del contemporaneo molto potente. Forse, oggi, qualcuno si potrebbe ‘salvare’ solo se il lavoro di artisti ed intellettuali (di quelli oggi considerati più marginali) continuerà. Se però proprio questi si arrenderanno (e certo che potrà succedere e già sta succedendo) alla forza di fuoco del mondo contemporaneo, del nuovo mondo, dell’omologazione imperante – allora davvero tutto sarà perso. Sono sempre i più marginali quelli fondamentali alla costituzione di un pensiero altro, diverso dall’omologazione dominante che, in ogni epoca, rischia di papparsi tutto: forse oggi ancora di più».
Qual è stata l’origine di questo progetto? Come sei arrivato a scoprire questi documenti e questa trasmissione (che mi piace pensare anche come “contro-radio”, proprio per andare deliberatamente contro-corrente, contro le onde) per i patrioti d’Italia?
«ll progetto nasce su input dell’associazione Iteras, vincitrice del bando del ministero Creative Living Lab: mi hanno invitato a realizzare un’installazione pubblica.
Sono arrivato a conoscere tutta la storia di Radio Bari, in primis, grazie alla trasmissione radiofonica che una persona che stimo moltissimo, l’intellettuale tarantino Alessandro Leogrande, realizzava su Radio 3. Mentre ascoltavo la voce di Alessandro narrare tali vicende, capii subito che sulla tematica avrei realizzato un lavoro. Poi è arrivato quest’invito a lavorare su Ceglie del Campo, un piccolo paese che solo in tempi recenti è stato accorpato al capoluogo pugliese, lo stesso dove sorgevano le potenti antenne di Radio Bari. Ho continuato così a raccogliere informazioni sulla Radio, fino a quando ho scovato il sonoro relativo agli “11 messaggi speciali”».
Pensieri Sparsi, Fabrizio Bellomo 2019, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Questo tuo progetto mi appare come suono scolpito nella parola. Le parole risuonano. E mi colpisce perché tu hai usato un sacco di volte la scrittura, sia nelle fotografie che nelle installazioni…ma è come se la tua scrittura parlasse proprio all’orecchio, che leggi con l’udito. È solo una mia impressione?
«È una sfaccettatura del mio operare, alla quale ultimamente penso molto. Effettivamente la parola, il testo, lo slogan continuano a ritornare prepotentemente nei miei lavori. Ed effettivamente ritornano con un ruolo ambiguo: pur trattandosi di lettere e parole – quello che mi interessa di più, e credo questo inizi ad emergere (come mi fai notare) sono le sfaccettature, le caratteristiche visive di questi testi. Come se questi avessero una forza iconografica, ecco, ed è questa la prospettiva che mi interessa di più, la forza iconografica e visiva dei testi: la grafia, l’essere letteralmente scolpiti (di 11 messaggi speciali 2019 e Vegla Ben Ustain 2015), o il testo come immagine (in Italia, Forza. 2005; in ABBI CURA DELLA MACCHINA SU CUI LAVORI È IL TUO PANE! 2012; in Espansa 2017; in Muri Puliti, Popolo Muto 2019; e anche nel recentissimo Pensieri Sparsi 2019 – realizzato per una commissione della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli). Come se il modo – i segni grafici – con i quali queste differenti frasi sono scritte, fossero il vero motivo per cui ne sono così affascinato. I contenuti credo, forse – me lo chiedo solo ora rispondendo alla tua domanda – mi interessano meno. Per farla breve: come se fossi più attratto dai significanti che dai significati».
Italia, Forza. Fabrizio Bellomo 2005
È molto interessante perché è un po’ come guardare una città dal suo “negativo”; come “imparare” Parigi attraverso la sua metropolitana, e penso a Marc Augè che mi viene in mente anche per un’altra questione legata al viaggio e al turismo: sei il nuovo artista che ha realizzato il nuovo volume di XXI Guide d’artista, il progetto prestato all’occasione è “Villaggio Cavatrulli”, realizzato sempre in Puglia. Quale lente hai usato per questo progetto?
«A marzo, mi sono fermato per un po’ a Parigi, ho frequentato molto la metro sia di giorno che di notte e da tale prospettiva le tensioni interne alla città, e forse alla nazione – sono estremamente evidenti. Intere aree di alcuni importanti snodi, sono territorio prediletto per decine e decine di veri e propri zombie strafatti dalle nuove droghe economiche: “Sintetizzato da una scritta comparsa su un muro, alla Barona di Milano: “Le ferite non rimarginate nel corpo sociale generano mostri”. Il mostro in questo caso è l’eroina”, lo scriveva già decenni fa Primo Moroni. La mia pubblicazione a cui accenni, sarà parte di XXI Guide d’artista, collana voluta da Ginevra Marchi di Centro DI (Documentazione Internazionale), con il mio grande amico Giacomo Zaganelli e con la co-curatela di Alberto Salvadori. Hanno immaginato una collana pensata con il classico formato delle vecchie guide del Touring Club. Gli autori selezionati sono e saranno chiamati a confrontarsi con questo non semplice – ma stimolante – formato. Tutta la collana è ovviamente pensata come una risposta (e non è un caso sia nata proprio a Firenze) a questa deriva di disneyzzazione imperante a cui assistiamo sempre più inermi, un’intera nazione trasformata in un parco giochi per turisti, questo è visibile ormai in tantissimi centri storici (e non più solo a Firenze o a Venezia…), a Matera la situazione è barbarica: e mi pare proprio che averci traslocato la Milano più fighetta (quella legata ai “modelli verticali”) per qualche mese, sia stata una risposta pessima e un’occasione mancata durante questo anno da Capitale. Qualche chicca si è vista, come la mostra curata da Cresci o da Laureano – ma il resto, il clima che si respira è pessimo, ma non divaghiamo, anche se le dinamiche sono strettamente interconnesse…Altre guide, altri paesaggi, un altro modo di interpretare i territori grazie allo sguardo degli autori coinvolti di volta in volta. (Non è azzardato collegarsi al “Viaggio in Italia” di Ghirri). Questa è la direzione della collana XXI. Guide d’artista. Per l’occasione abbiamo quindi deciso di realizzare il libro dedicato al mio progetto “Villaggio Cavatrulli”, già parte del Padiglione Italia di Mario Cucinella alla scorsa Biennale di Architettura, una sintesi scultorea di un’estesa mappatura del territorio cavato attraverso un volume contenitore di una selezione di immagini (e scritti) accumulati percorrendo e ripercorrendo la regione pugliese».
L’ultima domanda che voglio farti è questa: consideri la tua arte come una esperienza antropologica, prima che estetica?
«Ti rispondo con una frase che mi ripeteva spesso proprio Giacomo [Zaganelli, ndr] a Berlino anni fa, “L’arte ha tutto a che fare con la vita e niente a che fare con l’arte”. Non ricordo chi citasse».
Matteo Bergamini