Dopo una prima edizione del 2017 torna, quest’anno, in Kosovo, “Autostrada Biennale”: e a curarla è Giacinto Di Pietrantonio che non solo disegna un itinerario legato a una riflessione quantomai attuale di Beuys ma, per la stesura dei testi e degli apparati che disegnano la semiologia del sistema espositivo, si avvale anche della collaborazione degli studenti del Corso di Storia dell’Arte (il docente di riferimento è Ilaria Mariotti) della Scuola di Comunicazione e Didattica dell’Arte, indirizzo Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera per elaborare un discorso aperto alla didattica e ai suoi lasciti nel prossimo futuro.
Il titolo di Autostrada Biennale 2019 pone al centro dell’attenzione La rivoluzione siamo noi di Beuys: e non solo per ricordare quello straordinario lavoro del 1971 che da Napoli, dalla Modern Art Agency di Lucio Amelio, ha aperto uno sguardo sul mondo contemporaneo per evidenziare l’urgenza di ragionare sul presente ma anche, mi pare, per aprire una nuova riflessione sulla situazione, sempre più confusa, della nostra quotidianità.
«Certamente ogni opera d’arte assolve al compito di far riflettere sul presente alcune più di altre. L’opera di Beuys ci fa presente la necessità di essere attivi. Ho voluto riferirmi ad un’opera d’arte, partire da essa e allargarmi alla realtà perché per me l’arte è sempre al centro della vita. Quando ho proposto il titolo gli organizzatori sono stati, in un primo momento, perplessi, in quanto per loro la parola rivoluzione è legata al Comunismo e a tutto ciò che esso ha comportato per chi faceva parte del blocco sovietico. Quando gli ho spiegato che per me, passando attraverso Beuys che vedeva potenziale creativo in ogni persona, questa parola aveva un senso di rivoluzione del linguaggio attraverso la creatività e l’arte ne sono stati entusiasti. Infatti, non dimentichiamo che uno degli artefici della rivoluzione che ha portato il Kosovo all’indipendenza e primo Presidente della Repubblica kosovara è uno scrittore, Ibrahim Rugova».
Come hai pensato e come immagini questa seconda edizione della Autostrada Biennale?
«La mostra è divisa in diverse sezioni, essendo il Kosovo e la città di Prizren un Paese in cui non ci sono, tranne una piccola kunsthalle a Pristhina, istituzioni per l’arte contemporanea e dunque la mostra di svolge in vari luoghi dal Castello medievale alla stazione degli autobus al Ginnasio, ma anche a delle performance per la città o a spazi all’aperto come il fiume e agli alberi di cui il collettivo Orkide si prende cura avvolgendo i tronchi con grandi ricami. Poi ho sensibilizzato anche la comunicazione e il catalogo affidando ad artisti che lavorano in internet e dunque la loro opera è visibile solo in rete o con fumetti per il catalogo e la comunicazione cittadina cartacea. Gli artisti affrontano tematiche varie, perché intendendo la rivoluzione come una rivoluzione del linguaggio mi permette di invitare artisti che affrontano al meglio temi diversi a partire da quello del calcio per finire a quello del gender, o della migrazione, della narrazione e così via».
Lo scorso 14 dicembre è già stato organizzato, a Prizren, un primo convegno internazionale Revolution Is Us – La Rivoluzione Siamo Noi. Accanto al programma più espositivo ci saranno altri momenti più strettamente riflessivi o didattici?
«Si sono previsti già tre giorni di discussione e dibattito da quello successivo l’inaugurazione del 20 luglio. Per cui il 21, 22, 23 saranno tre giornate di riflessione sui temi che la mostra propone e sulla necessità di sviluppare “un sistema dell’arte” per il Kosovo, cosa molto sentita. Inviteremo sia gli artisti che partecipano ad Autostrada Biennale che altri, compreso alcuni di Manifesta. Come sai fra due anni manifesta si terrà a Pristhina e dunque potrà servire anche a loro per capire come muoversi in un Paese così giovane».
REVOLUTION IS US – LA RIVOLUZIONE SIAMO NOI Image by Giulio Alvigini
Nella scelta degli artisti hai dato spazio anche a giovani e promettenti voci dell’arte: penso a Giulio Alvigini (Tortona, 1995) o a tutta una schiera di nomi nati negli anni Ottanta che hai intercettato tra Albania, Turchia, Romania, Serbia, Montenegro, Kosovo.
«Questa è una mia caratteristica, chi conosce il mio percorso sa che quando faccio una mostra l’invito a artisti giovani, anche poco conosciuti, non manca mai, perché credo questo sia il modo migliore di fare una mostra. Non possiamo esimerci dal confronto generazionale, perché questo fa bene sia ai giovani che agli artisti affermati».
«But, like art, we are beings in movement, walking towards the future, that, even if uncertain, we must always look for. And it is this future that we are trying to understand with the new edition of Autostrada Biennale and with the invited artists», hai avvisato nel concept progettuale. Un lavoro in itinere dunque? Una ricerca che non si ferma alla singola mostra ma indica un processo in cui l’arte e la vita vanno a coincidere?
«Sì dovrebbe essere così, l’arte non serve a fare la rivoluzione in senso politico sociale in modo diretto. L’arte pone delle domande e attraverso questo ci sprona a dare risposte, dunque ci attiva e ci rende attivi nel cambiare soprattutto noi stessi, perché se siamo creativi, o se teniamo conto di quest’aspetto La Rivoluzione Siamo Noi».
Antonello Tolve