Descrivere Dolomiti Contemporanee attraverso una (fittissima) serie di titoli, nomi e date si può, ma equivarrebbe a snaturarne la filosofia: Dolomiti Contemporanee è un continuo flusso di progetti, laboratori, mostre che avvengono in modo simultaneo per generare senso attraverso la cultura e riportare il tempo nei luoghi in cui si era fermato. Il fondatore e curatore Gianluca D’Incà Levis ci racconta la stagione estiva che segna l’ottavo anno di attività, partita in queste settimane all’insegna di una pratica molto concreta, ma dalle radici profondamente filosofiche, come da tradizione.
Quali saranno i centri nevralgici della vostra attività nei mesi estivi del 2018?
«La stagione è partita da diversi mesi, in realtà non ci fermiamo mai, ma l’estate rimane il momento apicale in cui tutti i siti si attivano contemporaneamente. Siamo entrati nell’ottavo anno di attività, in questi anni abbiamo fatto passare più di settecento artisti tra residenze, mostre, concorsi, grazie al sostegno della nostra rete di quasi 500 partner che rendono possibile tutto ciò: istituzioni, aziende, musei, università, istituti di ricerca, enti pubblici e privati: una compagine molto eterogenea legata sia al territorio che all’extra-territorio e, in generale, alla ricerca. Ciò va ben oltre il sostegno economico, si tratta di una pratica che viene compresa e condivisa, che corrisponde al senso dell’esserci e del crescere nel e con il territorio, locale e nazionale. Una processualità vasta e complessa che fino ad ora siamo riusciti a crescere. I siti principali per il 2018 sono il Forte di Monte Ricco, l’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore, al quinto anno con Progettoborca, il Nuovo Spazio di Casso e la diga del Vajont con il concorso internazionale Two Calls for Vajont».
Barbara De Vivi Giudizio (dalla serie grandi battaglie), olio su tela, 347 x 214 cm, 2016
Tutti questi luoghi e attività sono collegati, come ogni anno, da un concept: quest’anno è “curvatura “, in quale accezione intendete questo termine?
«”Curvatura”, è un concetto mentale e spaziale, che usiamo in modo metaforico e che, in sostanza, significa che lo spazio e il tempo sono una cosa sola. Applicato alla nostra attività di rigenerazione del patrimonio culturale e architettonico perduti del paesaggio delle Dolomiti UNESCO, ciò significa riportare il tempo (della continuità, nella pratica) entro a spazi che l’hanno perso, lasciandoli bloccati in fase stazionaria, nonostante le grandi potenzialità. Noi riportiamo, appunto, il tempo all’interno dello spazio inerte e problematico, innescando una processualità rigenerativa, attraverso le buone pratiche, nella fattispecie mediante l’arte contemporanea e altre tecniche della cultura d’innovazione».
Andiamo con ordine, partiamo dalle mostre inaugurate a fine giugno…
«A Forte Ricco il 30 giugno abbiamo inaugurato la collettiva Braintooling, che comprende l’importante sezione Tiziano Contemporaneo. Il titolo Braintooling deriva da una tecnica di scalata, il Drytooling, che prevede l’uso dell’attrezzatura da ghiaccio (ramponi, picozza), nella progressione su roccia. Modificando il termine in “braintooling”, si ragiona sul cervello quale “strumento” d’aderenza per l’ascensione su terreni aleatori. Il tema è quello dell’”alpinismo culturale”, scalare non fisicamente, in una pretesa comunione mistica con la natura, ma con il pensiero: un concetto molto concreto e realistico. E’ necessario esser dotati di una forte volontà di perseguire un obiettivo, oppure non è possibile trovare l’appiglio con la realtà. Tutto ciò è in forte relazione con ciò che facciamo in Dolomiti Contemporanee: l’inerzia porta al disfacimento di potenziali e costrutti, questo è ciò che accade ai siti su cui agiamo, riattivandoli grazie ad un’azione culturale mirata, che è precisa quanto un piccolo appiglio o appoggio, che è una tecnica artificiale, ovvero niente affatto automatica, che si oppone alla naturale inerzia degenerativa».
Chiara Enzo e Marta Naturale, Insito. Foto: Giacomo De Donà
…e Tiziano Contemporaneo?
«Dieci dei 25 artisti di Braintooling si cimentano con il tema di Tiziano Contemporaneo. Tiziano Vecellio nacque a Pieve di Cadore, il paese in cui sorge Forte Ricco. Qui ha sede anche la Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore, con cui collaboriamo, e nel cui consiglio scientifico stanno alcuni sommi studiosi tizianeschi (come Bernard Aikema e Augusto Gentili). Tiziano Contemporaneo è un progetto a lungo termine, che in questa mostra trova una fase significativa di sviluppo. Questo progetto, che coinvolgerà in seguito, tra gli altri, storici dell’arte e critici, è un test. Può l’arte contemporanea osare il confronto diretto con il maestro dei maestri? Può. Riescono gli artisti a confrontarsi con quest’eredità prodigiosa, o essa risulta intangibile? Ogni cosa reale e culturale è tangibile, se si sa far bene, o è il nulla. Non si tratta dunque di fare una mostra, ma di attivare una processualità culturale, ancora una volta, in seno al tempo, e contro la storia (citando Marc Augé sulla pratica di Dolomiti Contemporanee)».
E poi continuano le attività all’Ex Villaggio Eni di Borca di Cadore…
«È complicato, quasi impossibile anzi, descrivere compiutamente quel che, dal 2014, succede all’ex Villaggio Eni. Si tratta di un grande cantiere, uno spazio del pensare e del fare (che son simultanei sempre, se son fatti bene), un cantiere-laboratorio che riprocessa continuamente le relazioni tra passato e presente, territorio e patrimonio, uomini ed altri enti di senso. L’immane Colonia (25.000 metri quadri), è un centro di ricerca e di produzione sperimentale. Quest’estate avremo diverse summer school, laboratori di autocostruzione e workshop legati al design e all’architettura. La Colonia dell’Ex Villaggio Eni è un enorme spazio, a lungo immobile, che ora invece si muove ed espande, mentre noi ne ripensiamo un’identità funzionale, insieme ad artisti, architetti, designer, fashion designer, food designer, paesaggisti, ecologisti, scienziati forestali, filosofi, antropologi, aziende, università, accademi, e molti altri che qui convergono in “curvatura”, a portare un tempo dell’attivazione qui e negli altri siti straordinari e, in tutto o in parte, stagnanti, che vanno rivalutati e riprocessati».
Evelyn Leveghi, Resilienza. Apparato radicale del desinare. Foto: Giacomo De Donà
Cosa succede, invece, in merito al concorso Two Calls for Vajont, lanciato tre anni fa?
«Nel Nuovo Spazio di Casso, di fronte al Vajont, c’è ora, in attesa della prossima mostra, un’esposizione dei progetti finalisti di Two Calls (in giuria, tra gli altri, Augè, Cristiana Collu, Angela Vettese e Maria Centonze). I progetti dei due vincitori – Dimitri Giannina e Andrea Nacciarriti – saranno realizzati di qui ad un anno. Sulla terribile Diga del Vajont, sarà realizzato il lavoro di Nacciarriti, una linea di luce alta settanta metri che trasformerà questo simbolo della tragedia che nella memoria improcessata, spesso, somiglia ad un culto dei morti: e questo non deve bastare ai vivi».
Negli ultimi mesi Dolomiti Contemporanee era presente in due importantissimi eventi: alla Biennale di Architettura di Venezia e a Manifesta, a che progetti avete preso parte?
«Ci spostiamo costantemente sul territorio e fuori per raccontare e fare la nostra pratica, perché è fondamentale unire la parte poietica – quella creativa relativa all’arte contemporanea – alla parte di elaborazione di un ragionamento proiettivo sul destino del paesaggio contemporaneo. Con Progettoborca e con il Vajont siamo al Padiglione Italia della Biennale di Architettura di Venezia: l’architettura del paesaggio di Edoardo Gellner (e Carlo Scarpa) – nella pratica del pensiero rigenerativo agito di Dolomiti Contemporanee – sono nell’Arcipalago Italia di Mario Cucinella, che ripensa il nostro pese non per nuovi insediamenti e cubature, ma traverso la sensatezza della cura. Siamo presenti anche a Manifesta 12 a Palermo, nel collaterale Border Crossing, in un progetto sulle residenze, elemento fortissimo della nostra identità grazie alle possibilità ricettive del nostro sito dell’ex-villaggio Eni. Prendiamo parte, inoltre, a molto convegni e piattaforme legati al Paesaggio e alla Rigenerazione, oltre ad attivare continuamente nuove progettualità su nuovi siti (tra questi, l’ex Centrale idroelettrica di Montereale Valcellina, il Trampolino Italia di Cortina d’Ampezzo, il paese di San Vito di Cadore, dove, con l’Università degli Studi di Padova, ragioniamo di prospettive di valorizzazione e sviluppo). C’è, ancora, molto più di questo. Come scoprirlo? Venendo a vedere. In questo momento, tra i siti di Pieve e Borca di Cadore, ci sono settanta persone, in residenza, a lavorare o a esplorare. Si viene, e si vede. Poi si va. A scalare. Con le mani nella testa».
Silvia Conta
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