Categorie: Personaggi

L’intervista/Grazia Toderi | Della luce che viaggia | e di altre storie

di - 22 Giugno 2013

Prosegue a Bergamo, con una deriva in “reverse”, il progetto contemporary locus – luoghi riscoperti dall’arte contemporanea che interpreta spazi del tessuto urbano attraverso espressioni artistiche del presente. La quarta tappa espositiva coinvolge Grazia Toderi in un confronto con il Teatro Sociale, uno dei luoghi più significativi di Bergamo, attraverso un’installazione video che propone una simultanea fruizione del luogo prima e dopo la sua ristrutturazione e riattivazione a teatro dell’antica Bergamo medioevale. A cura di Paola Tognon, con la collaborazione di Paola Vischetti e con l’attività di un team che opera in sistema con le principali istituzioni della Città (tra cui Assessorato alla Cultura e Spettacolo, GAMeC, LAB 80) il progetto contemporary locus si espande dentro realtà urbane misteriose e cariche di storia, corredato, come nelle precedenti edizioni, da un catalogo digitale in mobilità, la APP contemporary locus 4 scaricabile gratuitamente da apple store in italiano e inglese. A Grazia Toderi, rientrata da un’intensa esperienza espositiva in Australia, chiediamo di raccontarci questo progetto iniziato proprio a Bergamo nel  2002 e trasformato oggi in una grande installazione dentro il Teatro Sociale (aperto oggi, sabato 22, e domani, domenica 23 giugno, da mattina a sera).
Le tue opere propongono spesso vedute di architetture urbane, come stadi, arene, teatri. Come nasce l’interesse verso questi luoghi? Con quale intento ti relazioni ad essi?
«Sono spazi di gioco e di spettacolo chiusi da mura che cingono uno spazio magico, come si oltrepassa quel muro le regole cambiano: una sfera/palla cattura la totale attenzione di migliaia di persone che ne osservano le traiettorie in uno stadio. O si piange per storie altrui, immaginarie, si ride, si ascoltano voci di strumenti musicali, o canti, nel teatro. L’umanità riunita dentro a questi spazi mi sembra esprimere e desiderare la parte migliore dell’essere umano».

Nelle tue installazioni video lo spettatore si ritrova a oltrepassare l’importanza solitamente attribuita al linguaggio verbale per sperimentare, attraverso sguardo e ascolto, un’immersione sensoriale e psicologica che lo avvolge totalmente, ipnotizzandone la visione. Quanto è importante la dimensione contemplativa e la a-temporalità nelle tue proiezioni?
«Credo che il linguaggio verbale appartenga a poesia, letteratura, teatro, cinema, che lo sanno utilizzare molto meglio di noi artisti visivi. La a-temporalità è importantissima per la mia opera. L’immagine mi sembra possa travalicare il tempo. Quando ad esempio passeggio per la città di Roma, mi capita spesso di sentirmi guardata con indifferenza da bianche statue che sono immobili, sopravvissute a generazioni di uomini. È un sentimento che so essere infantile e banale, eppure mi sorprende sempre sentire la loro “viva a-temporalità”. Il tempo è uno dei più grandi misteri. Nelle mie proiezioni luminose inizio e fine sono la stessa cosa, e questo anello del tempo mi sembra possa fermare il tempo stesso, facendoci tornare sempre allo stesso identico punto».

In questa quarta tappa del progetto espositivo “contemporary locus” si presenta una tua installazione negli spazi del Teatro Sociale di Bergamo con la proiezione dell’opera video Sound da te realizzata nel 2002 proprio all’interno del teatro stesso. Come percepisci, in questo caso specifico, la relazione tra luogo passato e luogo contemporaneo? Più in generale, cosa ti interessa cogliere dal rapporto tra spazio interno e ambiente sconfinato?
«Nel 2002 il teatro era abbandonato e semi distrutto, ma aveva comunque un grande carisma dato dal largo abbraccio ligneo dei suoi palchetti sdentati. Aveva su di sé i misteriosi segni di storie trascorse che gli avevano tolto la sua voce di enorme strumento musicale. Il suo resistere e il suo silenzio forzato mi avevano impressionato, mi sembrava di entrare dentro ad un enorme scheletro, e gli ho voluto dedicare un video dove il “La” la nota musicale del diapason, che accorda gli strumenti, si propagasse senza tempo, e dove sette punti di luce apparissero come sette note musicali luminose, avendo immaginato a partire dal 1998 lo spazio del teatro come uno spartito musicale architettonico, scandito dal ritmo dei palchetti».
Le tue indagini visive su spazio e tempo rimandano all’enigma dell’esistenza, all’inesplorato. Ritieni che l’arte possa, oggi più di ieri, svolgere un ruolo determinante nella riflessione dell’uomo sul senso della vita?
«No, credo davvero che lo abbia fatto da sempre, fin dai primi segni dell’uomo lasciati nelle caverne, o chissà dove prima ancora».
Perché scegli la tecnologia video? Quali potenzialità tecniche ne apprezzi?
«Essere fatto totalmente di luce che viaggia e che appare con la sua luminescenza colorata quando incontra una superficie. Basta un pulsante per farla svanire, stesso pulsante e riappare, tracciando ancora immagini luminose in movimento. Può portare con sé il suono. Si può ingrandire o rimpicciolire a seconda dello spazio che l’accoglie».
Stacchiamoci da contemporary locus, come vivi il rapporto con il sistema dell’arte e con le dinamiche economico-professionali che esso comporta?
«La mia vita professionale è molto felice, sono molto in viaggio, in ogni viaggio nascono nuove e meravigliose relazioni che rimangono forti negli anni, e sono molto concentrata sul mio lavoro. Frequento poco il “sistema dell’arte” in generale, che anni fa mi piaceva di più. Era un “mondo” speciale, una nicchia di veri e rari amatori. Oggi si pretende che l’arte sia una risorsa economica, si promettono “posti di lavoro” in nome dell’arte, si cercano solo i grandi numeri, a qualsiasi costo, anche a costo di far morire l’arte stessa nei musei, che hanno soldi per tutto il “sistema dell’arte”, ma mai per le opere per cui dovrebbero essere stati costruiti. Insomma, l’arte è troppo spesso un pretesto per interessi diversi da quello dell’arte stessa, narcisismi ridicoli, o peggio ancora speculazioni economiche tanto ovvie quanto senza scrupoli. In questo trovo, al momento e in generale, il sistema dell’arte molto simile a quello della peggiore politica, della peggiore economia, della peggiore comunicazione. Fortunatamente la sensazione è che più la falsa economia, la falsa comunicazione e la falsa politica se ne occupano, più l’arte si sposta e va altrove. Fortunatamente in questa marea di conformismo “resistono” anche persone davvero speciali, sparse nel mondo, che fanno un lavoro magari a volte anche più lento e meno conosciuto, ma sicuramente più interessante. Così credo che esistano in parallelo tanti “sistemi dell’arte”, una rete di legami professionali di altissima qualità che ci permettono di trovare ancora tantissime opere meravigliose, e che permetteranno all’arte di scappare e sopravvivere nel tempo».

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