Categorie: Personaggi

L’Intervista/Lorenzo Balbi

di - 28 Giugno 2018
Lorenzo Balbi inaugura la sua stagione alla direzione del MAMbo proponendo “That’s IT”, una grande mostra collettiva che raccoglie, fra vecchie e nuove produzioni, le opere di oltre cinquanta artisti italiani nati a partire dal 1980. La scelta di lasciare loro totale libertà nella selezione delle opere produce una mostra complessa e multiforme, di non immediata lettura, che costituisce però un interessante caso di studio. Si registra un’assenza quasi totale della performance e del corpo, che riappare in modo incredibilmente smaterializzato in numerosi video di grande accuratezza formale. Anche il racconto della condizione di crisi, identitaria, economica e di rappresentanza politica, che caratterizza in modo inequivocabile la generazione presa in esame, viene spesso sublimato in una più ampia e diffusa volontà di autorappresentazione. La speranza è quella che la sfida ermeneutica posta da Balbi venga raccolta dalle giovani generazioni di curatori, critici e storici dell’arte, affinché la mostra possa svolgere la funzione di terreno di confronto e – perché no? – anche di scontro critico condiviso.
Al di là dell’iniezione di entusiasmo e fiducia, importantissima per la nostra generazione di artisti, ragionando in un arco temporale più lungo quale può essere la funzione svolta da una mostra come questa?
«La questione è mettere al centro del dibattito la produzione. Mi sono chiesto “devo essere io a individuare un certo posizionamento di ogni singolo artista?” La risposta è stata no. Perché la mostra fosse profondamente utile a questa generazione di artisti era necessario riflettere insieme sul concetto di rappresentazione del proprio lavoro. Ed è per questo che ho chiesto loro quale opera volessero proporre, è davvero una mostra co-curata con gli artisti. Ovviamente non c’è un tema, non ci sono percorsi, non ci sono linee guida, che sono lasciate totalmente alla critica. Questa mostra vuole veramente aprire al dibattito. L’altra questione fondamentale è che si sono inaugurati progetti che avranno sviluppi nei prossimi anni. Degli artisti in mostra solo 19 su 56 hanno una galleria, solo 40 hanno un sito internet, questa mostra vuole anche dimostrare come si può portare avanti un avanzamento professionale».

That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine veduta dell’allestimento presso MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna photo E&B Photo

La domanda delle domande: a quali criteri o metodologie hai fatto ricorso nel selezionare gli artisti?
«All’inizio mi ero imposto vari metodi e vincoli, cronologici, geografici. Volevo tenere presente anche quello delle cosiddette quote rosa. Poi alla fine ho detto no, se devo dare una rappresentazione coerente di questa generazione purtroppo è ancora una generazione dove la maggior parte degli artisti sono uomini, per cui non ha senso che nella mostra ci sia un 50 e 50 forzato. Ho deciso di fare una mostra generazionale e di prendere un numero di artisti tale da avere una rappresentazione interessante. Ho provato nella scelta a far sì che ci fosse un’alternanza di medium ma è stata soverchiata quando ho chiesto agli artisti di portare cosa volessero».
E la performance?
«Curiosamente la performance è abbastanza poco rappresentata, dal punto di vista dell’happening e del live. Ma è molto presente in tantissimi lavori che sono testimonianze video di performance, palcoscenici di performance, workshop. Parlando di media uno dei temi è la grande presenza dei video e una certa attenzione alla finitezza dell’immagine. Sono certo che un po’ sia dovuto al superamento della divisione fra cinema e arti visive e alla sperimentazione di artisti della generazione precedente, come Ancarani e Vezzoli, che hanno un po’ abbattuto questa figura del regista o dell’artista. Credo che la generazione di artisti oggetto della mostra proceda un po’ questa indagine, è una cifra abbastanza italiana».

That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine veduta dell’allestimento presso MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna photo E&B Photo

E invece che messaggio vorresti lasciare agli artisti “esclusi”?
«Fare una mostra di questo tipo comporta una selezione del tutto soggettiva, io non ho una pretesa di esaustività. Cento curatori avrebbero fatto cento liste diverse. Conosco tantissimi bravi artisti che sono stati esclusi, purtroppo il museo ha anche una certa capienza. Il mio non è un criterio di merito ma rappresentativo, ho cercato di mediare tra un certo tipo di interesse personale e uno sguardo che vuole essere una sorta di panorama che ampli un po’ il ragionamento. So che ci sono illustri esclusi e avrò occasione di lavorare anche con loro. Il tema della mostra non è vedere chi c’è e chi non c’è, ma è proprio fare una sorta di viaggio».
Una delle questioni più delicate attorno a cui ruota la mostra è la definizione, o decostruzione, del concetto di artista italiano. Solo quattro o cinque degli artisti presenti in mostra sono nati all’estero, di fatto l’essere nati in Italia secondo questa panoramica che ci hai proposto ancora è una condizione vincolante. Quindi, secondo te cosa fa di un artista un artista italiano?
«È una contraddizione questa, in ogni settore della cultura lottiamo per l’abbattimento della concezione di nazione, per abbattere ed estendere i confini. Poi alla fine ti rendi conto che anche nel nostro campo ci sono mostre, residenze e premi per soli artisti italiani. Quindi è proprio andare a mettere il dito nella piaga. Per questo il sottotitolo della mostra cita Munari, questo problema c’era già nel ‘71, quando diceva che “l’arte era italiana in Italia, e un metro e ottanta dal confine?” Questa mostra va a un metro e ottanta dal confine. Ho parlato dello ius soli artistico. Ad esempio ha senso dire che un artista italiano che ha sempre vissuto all’estero è italiano? Penso che ci sia una tipizzazione, un certo tipo di appartenenza a un contesto geografico italiano a una cultura italiana, che viene dimostrata anche dai lavori di artisti stranieri che per un motivo o l’altro si sono interfacciati con una realtà culturale e sociale italiana. La mostra mette al centro questo concetto di nazione espanso, provocatoriamente. Ha senso parlare di artisti italiani se lo si fa in questa modalità».

That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine veduta dell’allestimento presso MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna photo E&B Photo

A mostra inaugurata, sei riuscito a delineare alcuni motivi ricorrenti, processuali e tematici, nelle ricerche degli artisti?
«Permane una sensibilità italiana sull’interpretazione del paesaggio, che sia esso culturale o sociale. Emerge un autoritratto collettivo, una volontà e un’urgenza di autorappresentarsi, come se attraverso il proprio lavoro si definisse un’identità altrimenti difficilmente collocabile. Il tema dell’apparire, del mettersi in mostra, del superamento delle barriere – anche della privacy – per ottenere un preciso posizionamento della propria identità è sicuramente una caratteristica di questa nostra generazione. È molto presente il proprio modo di interpretare la professione di artista, così come i temi economici, la crisi, la critica al capitalismo contemporaneo».
Di fatto la generazione dei millennial è tra le prime a vivere in modo radicalmente precario sia a livello economico che a livello identitario. Però in mostra non mi è sembrato di vedere il ritratto di una generazione in crisi…
«E questo è molto interessante, ed è proprio uno dei motivi per cui chiedere delle opere apposta agli artisti non avrebbe avuto senso, si poteva forzare questo tema. Conoscendo gli artisti avrei potuto chiedere loro molte più opere che riflettono sul tema della precarietà, per dare una rappresentazione mia di questa generazione. Il fatto che quando chiedi loro di scegliere un’opera particolarmente rappresentativa non scelgano un lavoro che affronti questo tema forse significa che non è proprio quello il tema che interessa portare avanti».
Vasco Forconi

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