Aqua micans è stata scelta come immagine guida per la Nona Giornata del Contemporaneo indetta da AMACI. Sullo sfondo del Grande Cretto di Luigi Burri a Gibellina, delle donne del luogo trasportano l’acqua nelle anfore rifacendosi all’antica tradizione. Se dovessi raccontare quest’opera in una parola che sintetizzi la sua fitta stratificazione di significati, quale sceglieresti e perché?
«Per raccontare questo progetto sceglierei la parola Azolo, perché polisemica come il lavoro stesso. Si tratta di un colorante usato in passato per tingere gli interni delle case della zona del Belice. Durante il mio primo sopralluogo a Poggioreale vecchia, una città terremotata limitrofa a Gibellina, ho trovato dei frammenti di intonaco d’azolo, simile all’azzurro, di cui le poche pareti ancora visibili erano coperte. Ho scelto di vestire le donne, portatrici d’acqua, di varie tonalità di azzurro, come richiamo alla tradizione del territorio e come riferimento diretto all’elemento naturale e vitale, l’acqua, di cui si fanno carico».
Che cos’è l’azolo?
«È una sabbia tipica della zona etnea, che si origina su terreni agricoli sepolti sotto un’eruzione lavica: è quel che resta dopo una calamità. Ha ricchissime proprietà fertilizzanti ed era usato dalle donne come sbiancante per i panni, come colorante o ancora da qualcuno come elemento dalle qualità apotropaiche.
Ciò che l’immagine ritrae è l’atto del fertilizzare, nutrendo, compiuto paradossalmente su un sudario di cemento, che racchiude macerie: un monumento in cui risulta impossibile scindere arte e vita».
In Aqua micans ti confronti con un artista, Burri, che oggi fa capo ad un’arte contemporanea considerata storica. Credi che sia importante per un artista giovane sviluppare un dialogo con i maestri del passato?
«Non è la prima volta che un mio progetto si pone in dialogo con opere di artisti storici: Quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia (2011), è una citazione di Roland Barthes che dà il titolo ad una mia opera permanente al Museo del Novecento di Milano. L’ audiotour, che invita ad una fruizione alternativa della collezione, pone l’accento sull’importanza della rilettura, nella convinzione che l’arte riesca a rinnovare il suo messaggio nel tempo, mantenendosi sempre contemporanea. Confrontarsi con i maestri del passato è inevitabile, il loro lavoro costituisce la grammatica con cui impariamo ad esprimerci, cercando di volta in volta nuove sintassi. In questo senso l’arte è sempre contemporanea, la sua valorizzazione non può essere scissa da quella del nostro patrimonio».
Il 5 ottobre ha inaugurato la tua personale negli spazi della fondazione GOCA di Palermo in collaborazione con la galleria Lia Rumma. Insieme ad Aqua micans, sono raccolte le immagini della serie Hotel delle palme. Mi vuoi raccontare qualcosa di quei disegni? Chi sono le donne “vulcaniche”?
Sono donne e la testa è punto focale. La serie di tredici disegni, ne contiene tre che rappresentano busti femminili, con il capo che culmina in un cratere di vulcano che erutta lava d’oro, parallelo tra un fenomeno naturale imprescindibile come l’eruzione vulcanica e l’immaginazione. La testa diventa spazio deputato all’esercizio di libertà di pensiero, che nei disegni si materializza come elemento prezioso. In Hotel delle palme, grazie alla tecnica del disegno, impera l’immaginazione. La storia dei luoghi in cui ho viaggiato in Sicilia per realizzare Aqua Micans si stratifica senza tempo, e senza punti di vista univoci, prospettive e piante si intersecano in racconti per immagini in cui ciò che si vede convive anche con ciò che è sotterraneo».
L’Aqua micans del romanzo “Locus Solus” di Raymond Roussel è una sorta di elisir in grado di riportare in vita i defunti. L’arte fa lo stesso?
“L’Acqua micans descritta da Roussel è capace di resuscitare e far parlare il cervello senza vita di Georges Danton, famoso per la sua oratoria rivoluzionaria (…) Roussel, autore che ritorna nel titolo di quest’ultimo progetto di Marzia Migliora, capace di sottolineare il sincretismo vita-morte e la cui influenza è stata riconosciuta dall’artista come sotto-traccia del lavoro, rivelatrice di coincidenze e corrispondenze sorprendenti” , questo estratto dal testo di Valentina Bruschi, curatrice della mostra di Palermo, esprime un concetto che sottoscrivo. L’arte dovrebbe “far parlare il cervello”, risvegliandolo il sonno dell’immaginazione, disseminando domande, facendo scaturire nuovi pensieri e visioni che portino al cambiamento. Accade anche all’interno della mia ricerca artistica, che si intreccino nuove visioni e suggestioni, a volte in maniera fortuita. È ciò che è accaduto durante l’allestimento della mostra, quando ho scoperto il legame della città con Roussel, suicidatosi nella camera 224 del Grand Hotel delle Palme di Palermo, in circostanze non del tutto chiare. Questa scoperta è stata stimolo per estendere il lavoro, in una pubblicazione, un libro d’artista, edito da B-publishing, sezione di editoria indipendente del progetto curatoriale Balloon, che ospita un’altra tappa del mio viaggio in Sicilia».
Nonostante l’impegno degli addetti ai lavori, rimane un’evidente distanza fra opera d’arte contemporanea e spettatore. Hai qualche idea per ridurla?
«Per quanto possa sembrare banale dirlo, tutta l’arte è stata contemporanea, per sua natura è sperimentazione e libertà espressiva. Il nuovo, ciò che cambia in maniera radicale rispetto all’abitudine, agli occhi dell’altro provoca diffidenza. Potrebbe motivare realmente l’interesse del grande pubblico, un lavoro radicale di ridefinizione del ruolo e del valore dell’arte contemporanea in Italia. Le opere di tipo partecipativo, sono grandi occasioni per il grande pubblico non solo di avvicinarsi all’arte, ma di prendere parte attivamente al processo creativo in prima persona. Negli ultimi anni ho realizzato alcune performance che prevedevano la partecipazione di chiunque avesse desiderio di collaborare alla realizzazione di un’opera, come nel caso di Capienza Massima meno uno (2012) al Maxxi di Roma. Uno dei miei ultimi progetti, Io in testa, cantiere comune di immaginario politico (2013), realizzato in collaborazione con Luigi Coppola, era un invito aperto alla cittadinanza romana alla costruzione di un’azione artistica, in reazione al ruolo marginale dato alla cultura all’interno del dibattito politico».
Oggi l’opera spesso invade lo spazio, che si tratti di Arte Ambientale o di performance. Non esistendo un museo in grado di accoglierle, qual è, secondo te, il futuro di queste opere? La realtà museale è superata o bisognerebbe trovare un modo – anche alternativo – per conservarle?
«Mi viene in mente uno dei più grandi e rivoluzionari artisti del Novecento: Yves Klein, che riuscì a fare dell’immateriale il suo medium d’elezione. Lavorò vendendo ed esponendo “le vide”, il vuoto, nell’intenzione di far percepire ed esperire un’idea astratta.
L’arte è un processo di pensiero, la sua fruizione può essere anche limitata ad un tempo circoscritto e all’esperienza del pubblico.
Il valore di un’opera non è quantificabile in base al suo peso specifico e ingombro, una grande opera può essere anche immateriale, fortunatamente. Il codice dei beni culturali regola la tutela dei beni sia materiali che immateriali. Tuttavia questo concetto trova difficoltà ad affermarsi in un pensiero comune che lega l’attività artistica sempre e comunque ad un prodotto materiale.
La realtà museale non è superata, lo è il nostro modo di intenderla. Se il museo è costituito da vetrine, archivi e pannelli didattici, non sarà certamente in grado di conservare e comunicare altro che manufatti. Dovremmo guardare al museo come un organismo vivo, che si evolve di pari passo con l’attività artistica, non solo conservandola sotto teca, ma soprattutto stimolandola e catalizzandola».
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Artista inconsistente. Se non navigasse tra il citazioni sto e idee rubate da internet non saprebbe cosa fare.