Categorie: Personaggi

L’intervista/Mat Collishaw |

di - 20 Ottobre 2014
Dopo una mostra ‘fotografica’ alla galleria 1/9unosunove che lo aveva visto esibire opere di macabra e affascinante fragilità, Mat Collishaw torna a Roma con “Black Mirror” (a cura di Anna Coliva e Valentina Ciarallo, fino all’11 gennaio). L’artista, nato a Nottingham e trasferitosi a Londra nel 1966, è una delle figure chiave della generazione di quella che fu la Young British Art degli anni Novanta. A Roma presenta un’operazione site specific a base di ologrammi, ma altrettanto spregiudicata e sconvolgente come già fu l’arte di Caravaggio, e sciocca con le sue invenzioni tra le nobili stanze dei Borghese. La collaborazione nata tra il British Council, la Galleria 1/9unosunove e la Borghese è il risultato dell’ultima mostra del ciclo “Committenze contemporanee” voluta nello scrigno dorato di Paolina Bonaparte. Le opere che arrivano dallo studio di Londra alla Galleria di Scipione, hanno fatto una tappa intermedia a Murano, dove un artigiano locale ha fuso il vetro delle cornici già con uno stile tra il kitsch e il barocco più nero.
Collishaw, un vero gentleman inglese (non a caso finisce sul numero di Luglio- Agosto della rivista Uomo Vogue) qui in modo quanto mai ‘irrispettoso’ vivacizza le sale della Borghese privilegiando tra tutti Caravaggio per l’assenza di sfarzo della sua pittura, a dispetto del lusso del Casino da Caccia della nobiliare famiglia romana dove, con Bernini, tutto esplode di bellezza barocca e non solo.

Per comprendere come Mat Collishaw, sia in linea con Scipione Borghese, che nella sua passione cieca si accaparrava tele e compiva altre incredibili imprese lasciando ai posteri una collezione unica al mondo, occorre guardare dentro le ragioni dell’artista che si appropria di spazio, opere, collezioni senza troppo ‘rispetto’. Forse perché come il Cardinal Scipione è spinto da forze interne che vanno al di là della pura fascinazione. È in atto un nuovo tripudio barocco ed emozionale che Collishaw sa intrappolare in un non-luogo, tra mondo reale e regno della pittura e dove l’eccezionale animazione che ha realizzato prendendo spunto dell’opera di Scarsellino domina su tutto. Gli altri sensi, le tecniche e l’ideazione di questa originalissima mostra ce li siamo fatti raccontare dall’artista stesso.
Perché hai scelto proprio queste opere Caravaggio? Il malinconico San Gerolamo, il violento autoritratto in Davide e Golia e il Caravaggio tragico e peccaminoso della Madonna dei Palafrenieri? Davide e Golia si pensa sia una delle ultime opere, prima della sua prematura morte, ancora molto dibattuta. Sappiamo che non è stata commissionata, ma era un dono per ottenere l’indulgenza (con tanto di lettera) mandato all’indirizzo del  papa Paolo V Borghese. Ti ha colpito questo fatto? O che la Vergine, il bambino e Sant’Anna sia una delle sue opere che è stata rifiutata?
«Non ho pensato a questi aspetti, seppure interessanti, ma piuttosto a rimettere questi personaggi in carne e ossa per farli risorgere da una vita di spettri in trappola nel purgatorio della tela. In fondo, ho scelto quei Caravaggio perché il loro ascetismo è in netto contrasto con la grandiosità del museo. Le tele sono rappresentazioni di gente reale, non idealizzata ma semplice, umile. Il museo Borghese è spettacolare e fa di tutto per soggiogare il visitatore con questo sfarzo. Le tre tele, inoltre toccano le tre età dell’uomo. Gesù, l’infante, Davide, Maria e Caravaggio stesso adulti e Anna e Girolamo in età matura. E volevo anzitutto tornare al momento in cui sono stati trasportati dal loro mondo reale a quello religioso e immortale dell’opera d’arte. Da uomo, donna a icona».

E per lo Zootropio dello Scarsella qual è stata l’ispirazione creativa? Che  meccanismo hai usato per farlo girare?
«Ho trovato davvero impressionante che in questa pittura non ci fossero punti di  fuga né di riferimento, lo sguardo salta da un corpo a un altro, a un bambino gettato o uno schiavo a lavoro. Questo genera un livello di eccitazione e agitazione che cresce sempre di più. Pitture come queste del Massacro di Innocenti  accrescono la ripetizione di figure e movimenti. Perciò era assolutamente in linea con la tecnica di uno zootropio tridimensionale (in resina, alluminio, acciaio) che appunto dipende dalla molteplicità dei personaggi coinvolti. La scultura ruota grazie a un motore essenzialmente ed è illuminato dalle luci a led di uno stroboscopio. “It is a painting but it’s very mechanical how it excites your emotions”».

Ci puoi raccontare come è nata l’idea del nome Black Mirror? E lo specchio, il vetro delle cornici? C’è sempre una volontà di contrastare il Barocco al classicismo? Nel luogo dove si suppone sia nato il Barocco romano…
«Nelle mie opere le immagini di Caravaggio compaiono da dietro lo specchio, quindi è come se gli specchi siano contaminati dall’immagine stessa che emerge dal fondo. Eccetto ovviamente che nelle parti del quadro a nero, tipico del Merisi, che sembra usasse specchi e sfondasse i soffitti per lavorare con la luce lunare. Questo conferisce un aspetto quasi sovrannaturale alle sue pitture! Il titolo sottintende  una riflessione amara sulla vita che a volte è crudele e dolorosa.
Cos’è l’arte per te?
«È un metodo di esplorare le idee».
Perché Caravaggio?
«Perché la sua è una pittura onesta. Donne e uomini comuni, trasposti sulla tela che appaiono improvvisamente come eroi del mito, addirittura biblici. Poveri e lavandaie cosi brutalmente palpabili (di cui si annusano gli odori, si vedono i piedi sporchi, le rughe) che però, investiti da una luce così radiosa, divina vengono trasportati in un mondo altro, spirituale».

Critica, storica dell’arte e redattrice per prestigiose riviste di settore (Exibart,Art e Dossier, Finestre sull’arte) ha all’attivo numerosi articoli e interviste a galleristi (Fabio Sargentini), direttori di Musei (Anna Coliva) curatori (Alberto Fiz), vertici di società di mostre (Iole Siena, Arthemisia Group e Renato Saporito, Cose Belle d’Italia). Da tempo collabora con la Direzione della Galleria Borghese con la quale dopo aver prodotto una ricerca inedita sul gusto egizio ha svolto un lungo periodo di formazione. Nel 2015 fonda Artpressagency la sua agenzia di ufficio stampa, comunicazione, critica d’arte e di editing che sta espandendo e che ha visto collaborazioni notevoli con colleghi e musei, istituzioni su tutto il territorio nazionale (MaXXi di Roma, Biennale di Venezia, Zanfini Press, Rivista Segno, ecc.). Lavora come editor per Paola Valori e in qualità di addetta stampa scrive per le mostre di Studio Esseci, Arthemisia, Zetema, Mondomostre, ecc. Tra le pubblicazioni più importanti: “Margini di un altrove”, catalogo della mostra svoltasi  nel 2016 a Siracusa in occasione delle rappresentazioni classiche, “History is mine _ Breve resoconto femminile ”: unico capitolo dedicato al genere femminile pubblicato nel libro “Rome. Nome plurale di città” di Fabio Benincasa e Giorgio de Finis, “La verità, vi prego, sulle donne romane”, indagine archeologica e figurativa sull’assenza nei luoghi delle donne nella Roma antica, per FEMM(E)-MAAM ARTISTE. Al momento, oltre all’aggiornamento di Report Kalabria, indagine sulle contaminazioni artistiche contemporanee nei luoghi archeologici in Calabria, si sta occupando di promuovere un progetto originale degli artisti Francesco Bartoli e Massimiliano Moro, anche dei linguaggi multimediali applicati a eventi espositivi.   Gli articoli di Anna su Exibart.com

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