All’American Academy di Roma la mostra personale “The Dye Garden” di Yto Barrada – a cura di Peter Benson Miller – si inserisce nel complesso dialogo sul rapporto tra Oriente e Occidente, argomento centrale del programma East and West che si concluderà con un duplice simposio dedicato alla tematica: oggi l’incontro Dalla porta secondaria: le storie dell’arte e dell’architettura ‘islamica’ in Italia; e domani L’arte e l’architettura islamica in Italia: fra tradizione e innovazione, conferenza tenuta da da Avinoam Shalem, docente di arte islamica alla Columbia University. I due appuntamenti sono legati alla mostra dell’artista franco-marocchina, visitabile fino all’8 luglio 2018.
“The Dye Garden” raccoglie una serie di lavori che puntualizzano in maniera sottile il discorso tra Oriente e Occidente. L’artista sembra sorvolare la solidità dei limiti e delle costrizioni rispettivamente geografiche e politiche, per raccontare una storia dedicata all’essere umano, fluida e attenta ai dettagli. Senza conflitto e con apparente spirito ludico, i lavori partono da semplici realtà estetiche, simboli di resistenza e “spazi” di libertà. La serie di lavori realizzati con i pigmenti naturali, ad esempio, diventa veicolo descrittivo di un processo storico e naturale che vive al di là di ogni differenza e distanza imposta, mandando in tilt le schematizzazioni e i pregiudizi parassitari.
La mostra sintetizza in maniera puntuale la poetica dell’artista e, nei lavori pittorici così come nel film, bersaglia la tematica Oriente-Occidente in più punti, mettendosi in relazione con la storia in generale e la storia dell’arte attraverso confronti, rimandi e citazioni.
Ci racconta di più il curatore della mostra, Peter Benson Miller.
Yto Barrada, The Dye Garden exhibition view, American Academy in Rome, 2018
Quale sguardo ha introdotto Yto Barrada sul complesso rapporto tra Oriente e Occidente?
«Quello di Yto Barrada è uno sguardo giocoso, con il quale l’artista vuole sottolineare le contraddizioni insite in questo rapporto. Dal suo punto di vista non si tratta di una relazione unilaterale, inscritta nei cliché che l’Occidente ha creato riducendo l’Oriente a una serie di stereotipi. Barrada affida infatti all’Oriente un ruolo attivo e riconosce all’arte il potere di rivedere questo rapporto, da una posizione paritaria e critica. A 40 anni dalla pubblicazione del saggio Orientalismo di Edward Said, che ha rivelato i termini di un rapporto in cui è l’Occidente a “prendere” dall’Oriente, l’artista vorrebbe che l’Oriente potesse parlare per se stesso, sottolineando gli scambi sottesi a queste dinamiche di potere, evidenziandone le contraddizioni e le complessità in un campo più vasto».
Il Marocco è presente attraverso il colore e diventa un minino comun denominatore con altri artisti, come Robert Rauschenberg presente in mostra. Come nasce questo tipo di dialogo diretto e indiretto?
«Rauschenberg è in mostra in quanto artista occidentale che ha viaggiato nel Nord Africa in senso più ampio. Yto Barrada cita anche Stella, e inoltre Klee e il suo rapporto con la Tunisia, o Matisse e la sua permanenza a Tangeri. Tornando alla prima risposta, si tratta di un meccanismo attraverso cui Barrada colloca le appropriazioni di questi artisti dentro il campo più ampio della cultura che hanno trovato in quest’area, non solo in Marocco. Pensiamo ai dipinti di Matisse che, negli anni ’20, rappresenta donne occidentali vestite da odalische con i tipici tessuti a strisce del Nord Africa, o alle maioliche nordafricane che negli anni ‘60 hanno ispirato i quadri minimalisti di Stella. Barrada vuole “complicare” un rapporto dove gli elementi di una parte, l’Oriente, vengono assorbiti dall’altra, l’Occidente, che poi nega questo stesso rapporto e con esso un intero contesto culturale, artistico, artigianale. Appropriandosi dei quadri di Stella, realizzando gli stessi motivi con tessuti tinti a mano, Yto Barrada sta mettendo in discussione questa appropriazione in modo giocoso, all’opposto della serietà quasi religiosa di Stella. Questo lavoro quindi affronta ironicamente una serie di miti, come l’Orientalismo e il modernismo astratto, inserendoli dentro una realtà locale, fatta di tessuti, dei colori delle città, delle abitudini della popolazione, per far vedere che si tratta di uno scambio più complesso».
Yto Barrada, The Dye Garden exhibition view, American Academy in Rome, 2018
La parola “resistenza” viene spesso in mente guardando i lavori di Barrada – dalla ricerca sui giardini al film (prodotto durante il periodo di residenza all’American Academy). Quale tipo di “resistenza”?
«Yto Barrada ha una formazione da storica alla Sorbona, quindi nel suo lavoro affronta questioni artistiche con un occhio critico anche legato ai suoi studi. La sua “resistenza” si indirizza verso i luoghi comuni e le ideologie, e questo si vede soprattutto nel film, Tree Identification for Beginners: la madre, nel ‘66, frequenta un gruppo di giovani socialisti a Parigi e così decide di vedere questa America di cui si parla molto male, partecipando a un viaggio di propaganda organizzato per i futuri leader africani. Barrada ironizza sia sui giovani africani, futuri dittatori, attirati dalle lusinghe occidentali, sia sulla madre che cerca continuamente di uscire dalla visita ufficiale per confrontare lo stereotipo con la realtà, in un’estate drammatica e turbolenta, e ci mostra così che la verità si trova nel mezzo. La resistenza quindi non riguarda soltanto l’ideologia ma anche le tentazioni con cui il regime esercita il controllo e si traduce in una ricerca che svela da dove provengono le idee, così come si formano nel pensiero dei giovani».
Yto Barrada, The Dye Garden exhibition view, American Academy in Rome, 2018 Yto Barrada Untitled (Snake Toy, Open-Closed), 2018 Lucite acrylic resin, wood
12.7 cm x 12.7 cm x 12.7 cm. Unique Yto Barrada Tree Identification for Beginners, 2017 16mm transferred to digital, color, sound 36 minutes A Performa 17 Commission for ‘Afroglossia’ curated by Adrienne Edwards
Come è nato il tema East and West?
«Il tema nasce in occasione della ricorrenza dei 40 anni della pubblicazione di Orientalismo, dal desiderio di capire se l’influenza di questo testo sia ancora valida. Pensiamo che l’American Academy in Rome, per la sua posizione al centro del Mediterraneo, sia un luogo ideale per analizzare queste questioni. Roma è legata a questi temi fin dall’antichità, e oggi, con la nuova immigrazione di chi fugge dai conflitti, è ancora un crocevia fondamentale. Anche considerando gli eventi degli ultimi giorni, pensiamo che Roma ci possa offrire una prospettiva storica che da Washington o da New York non potremmo avere. L’American Academy, non essendo un istituto di cultura, è inoltre un luogo neutrale, un laboratorio creativo che può offrire tutte le risorse e l’autonomia per indagare su queste questioni, in una prospettiva storica e contemporanea, attraverso diverse discipline».
Giuliana Benassi