Pierluigi Salvadeo, architetto, insegna Progettazione architettonica e Scenografia e Spazi della Rappresentazione al Politecnico di Milano, è autore di numerose pubblicazioni. Dal 1991 condivide lo studio di progettazione con Stefano Guidarini, insieme hanno vinto premi internazionali e di recente anche il concorso di riqualificazione di piazza Castello a Milano.
Come è avvenuta la scelta di 11 studi di architettura milanesi partecipanti al progetto di riqualificazione di piazza Castello promosso dal Comune di Milano e la Triennale, secondo luogo più visitato dai turisti dopo il Duomo ?
«Il Comune di Milano ha incaricato la Triennale di coordinare il cosiddetto Atelier Castello, e la Triennale ha scelto i nomi degli 11 studi di architettura. Nel nostro caso abbiamo subito coinvolto Snark, una struttura che si occupa di design relazionale, processi decisionali, co-progettazione, di percorsi partecipati e comprensione di fenomeni complessi».
Lei e Stefano Guidarini vi aspettavate di vincere il concorso anche se il referendum online attribuisce il quarto posto al vostro progetto dal titolo “Nevicata14”, che ha avuto 1.234 preferenze, mentre risulta al primo posto quello di Zanuso? Su cosa avete puntato per convincere la commissione?
«Atelier Castello nasce come percorso partecipato e aperto all’interno del quale hanno contato il coinvolgimento dei residenti, dei cittadini e dei comitati, il parere del consiglio di zona e delle commissioni comunali, il giudizio della giuria espresso durante le riunioni per l’aggiudicazione del progetto. È sempre stato dichiarato, fin dalle prime fasi di lavoro, dalla Triennale e dall’amministrazione comunale, che il cosiddetto “giudizio popolare” avrebbe contato soltanto in parte nella scelta finale e che il progetto scelto avrebbe rappresentato una sintesi equilibrata tra una moltitudine di pareri e di questioni in campo. Per quanto riguarda la giuria di esperti che in ultima analisi ha scelto il nostro progetto, credo che abbia tenuto conto delle molte visioni che ho appena ricordato e, stando al parere che ha scritto, anche della qualità del progetto, dovuta alla sua leggerezza e attenzione al contesto storico e civile all’interno del quale è inserito».
Cosa prevedeva il regolamento del concorso e quali erano i punti “intoccabili” sul piano architettonico e urbanistico?
«Atelier Castello non nasce come un concorso, pertanto non ci è stato consegnato un vero e proprio bando. Molto semplicemente ci venivano chieste alcune cose: una risposta architettonica adeguata al processo di pedonalizzazione del Foro Bonaparte che era già in atto da qualche tempo, ma senza un progetto architettonico che lo inquadrasse; la possibilità del progetto di essere totalmente reversibile, in considerazione del fatto che il budget di spesa sarebbe stato limitato e che il progetto dovesse essere realizzato in tempi velocissimi prima dell’inizio di EXPO; la sistemazione provvisoria della piazza Castello doveva rappresentare un campo di prova per mettere a punto in modo cosciente i criteri per la sistemazione definitiva della piazza, che avverrà in futuro, probabilmente con un concorso internazionale».
Secondo lei è stato determinante il costo contenuto del vostro progetto, quanto costa il vostro progetto e chi lo finanzierà?
«Credo che un buon progetto per essere tale debba fare anche i conti con la sua sostenibilità economica e, a mio parere, il nostro progetto coniuga questa alla qualità architettonica. L’amministrazione comunale ha messo a disposizione 200mila euro, ma già ora alcuni sponsor/donatori hanno espresso il desiderio di contribuire, alzando in questo modo le possibilità di costo generale della realizzazione. Se il processo di parziale offerta di finanziamento del progetto continuerà, credo che si possa leggere questo come un segno sia di coscienza civile, sia di generale consenso rispetto al progetto da noi pensato».
Cosa prevede “#Nevicata14” e perché la scelta di guardare al passato?
«Il progetto è rispettoso e non invasivo rispetto al contesto storico e monumentale in cui si trova immerso, ma non guarda assolutamente al passato facendosi intimidire da esso. Proponiamo un ampio uso pubblico e pedonale dello spazio attraverso la disposizione di attrezzature di supporto alla piazza (sedute di vario tipo disposte liberamente nello spazio/ strutture di riparo da sole e pioggia / dispensatori di vapori freschi / punti Wi-Fi / piattaforme tecnologiche / pali segnaletici, strutture per attività ludiche, di spettacolo e molto altro). Il brand “#Nevicata14” esprime un’idea che è un sogno. Uno spazio che in poche notti modifica il proprio modo di essere guardato, attraversato e usato. Il progetto mira a svuotare lo spazio, a togliere piuttosto che aggiungere. E il Castello si trova totalmente immerso in un nuovo vasto spazio pubblico inteso come la continuazione del parco Sempione ora soltanto alle spalle».
Che cosa vuol dire quando parla di un progetto partecipato e collettivo?
«Che vi hanno contribuito, con le loro idee e le loro azioni, esperti e non esperti, residenti e cittadini milanesi. Il risultato è stato un processo WIKI: online e sui social network, ma anche offline con azioni di coinvolgimento, da workshop aperti ai cittadini a performances dimostrative realizzate presso l’area di progetto. Quasi un milione di persone sono state intercettate in poco più di tre mesi di lavoro».
Quando finiranno i lavori di riqualificazione?
«I lavori sono iniziati a febbraio, e dovranno terminare alle fine di marzo o primi di aprile. È una vera e propria sfida contro il tempo»».
Cosa intende per piazza, Milano ne ha poche, le più frequentate sono piazza Duomo e la più recente e vitale piazza Gae Aulenti, che caratterizza la nuova immagine di Milano 2015. Come dovrebbe essere quella del futuro?
«È una questione molto complessa. In poche parole potrei dire che secondo me la città ha cessato di essere descritta semplicemente come spazio architettonico, per diventare una struttura d’uso complessa stratificata. Lo spazio in generale, quindi compreso quello della piazza, non si configura più nel suoi assetti morfologici, distributivi e di collocazione dei servizi, ma si è ormai generata una diversa condizione, eterogenea, trasversale, multidisciplinare, dispersa, introflessa e qualche volta anche immateriale, alla quale corrispondono usi specialistici, impalcature percettive, reti di informazioni, climi artificiali, informazioni commerciali, sistemi comunicativi, ecc. dimensioni tutte contenute nell’architettura, ma difficilmente descrivibili con i codici formali dell’architettura stessa. All’attività di costruzione vera e propria si affianca con sempre maggior forza una attività di regia di singole scene, che fanno della città un luogo complesso ed eterogeneo, e spesso anche multisensoriale ed esperienziale».
Se dipendesse da lei su quale area o edificio milanese punterebbe per rilanciare l’immagine della città come cantiere architettonico, urbanistico e culturale?
«Non saprei dire in questo momento. Forse però punterei su luoghi tipo piazza Castello perché proprio in spazi come questi è possibile riconoscere con quale forza e magari anche coraggio una città riesce a tracciare le vie per il proprio assetto futuro».
Lo studio Guidarini&Salvadeo progetta interventi di trasformazione urbana, di edifici, di interni e di allestimenti in armonia con l’ambiente. Ma questa è solo una tendenza oppure sta modificando i codici dell’architettura del presente, e come?
«Il tema della sostenibilità è molto complesso e direi anche inflazionato, e noi non ci siamo mai definiti come sostenibili in senso stretto. Certo è che i nostri progetti sono attenti al territorio e al contesto circostante, considerano la vita delle persone che in essi dovranno risiedere o passare del tempo e rispettano i parametri economici dati».
Palazzo Marino per accelerare le procedure per la riqualificazione degli edifici esistenti intende pianificare il cambio di destinazione d’uso, con l’obiettivo di rivitalizzare il centro, tra gli altri selezionati, c’è Piazza Cordusio, ex polo della finanza e oggi in preda a fondi immobiliari e internazionali, caratterizzata da edifici storici come il Palazzo Broggi (ex sede UniCredit), l’obiettivo è di trasformarli in quartieri commerciali, cosa ne pensa?
«Non entro qui nel merito della questione che richiederebbe valutazioni più approfondite. Dico soltanto che la città ha bisogno di respirare e gli strumenti urbanistici spesso non consentono questo respiro. La città è uno spazio sempre più articolato, che necessita di politiche urbane attente, ma allo stesso tempo capaci di comprendere e di rispondere alla complessità».
Lei pensa che Expo Gate dovrebbe essere permanente o è giusto smantellarlo entro il 31 dicembre del 2015?
«È una decisione che spetta all’amministrazione della città. Per quanto mi riguarda mi schiero con coloro che pensano che il progetto degli Expo Gate sia un buon progetto, riuscito e rispondente agli scopi per cui è nato, e se posso permettermi, anche seducente».
Dopo l’Expo quali sono i progetti permanenti che renderanno Milano più vivibile?
«Sono molto interessato allo sviluppo del cosiddetto Garibaldi Repubblica compreso il nuovo assetto del quartiere Isola. Il sistema pedonale che va da corso Como a via Fabio Filzi è uno spazio riuscito e paragonabile ad alcune sistemazioni delle maggiori città europee e del mondo».