07 novembre 2012

L’intervista/ Roberto Casiraghi Signore e Signori, ecco a voi Gli Altri

 
Torna, per la seconda edizione, The Others, la fiera giovane di Torino. Che l'anno scorso ha spopolato tra appassionati e addetti ai lavori. E torna con le stesse modalità, il comitato di selezione invariato e il medesimo prezzo politico alle casse. È davvero la novità destinata a consolidarsi e magari anche a replicarsi in altre realtà? Lo abbiamo chiesto al suo patron, Roberto Casiraghi

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Artissima, Paratissima e quest’anno Photissima. E poi gli altri. Quelli di The Others, ovvero una manciata di gallerie, artist run space, residenze, no profit vari e spazi indipendenti nati dopo il 1° gennaio 2009 che sono stati riuniti alle vecchie carceri “Le Nuove” di Porta Susa per la prima volta l’anno scorso, creando un vero cortocircuito nella fruizione delle fiere dell’arte, soprattutto da parte dei protagonisti  meno avvantaggiati: i giovani. L’ideatore del nuovo “format” era stato, ed è, Roberto Casiraghi, che di fiere se ne intende parecchio. E che quest’anno promette di rilanciare, rimettendo a capo della manifestazione Claudio Composti, giovane gallerista milanese (Mc2 Gallery), Andrea Bruciati, Alessandro Facente e coinvolgendo anche Rolling Stones, con il direttore Michele Lupi. Ovviamente i numeri non possono essere paragonabili alla fiera del Lingotto, anche nella partecipazione delle gallerie – si tratta di tutta un’altra storia – ma quella che si era respirato l’anno scorso, durante l’opening, era stata davvero aria nuova, in grado di gettare una luce originale su quello che il neonato panorama italiano, ed europeo, ha da offrire, non solo a livello commerciale. Quindi, quest’anno, “Gli Altri” tornano senza variare di una virgola una formula che ha segnato la novità delle fiere del 2011. E in questo anno della crisi come andranno le cose? Lo abbiamo chiesto proprio a Casiraghi, facendoci raccontare il suo punto di vista anche sul restante panorama italiano, sulle decine di fiere low cost o meno e sulle kermesse più o meno fortunate, che prendono corpo di anno in anno sul suolo della penisola, cercando di capire come e se il format di “The Others” possa essere esportato in altre province. Per portare quell’onda d’economia e di freschezza che spesso le fiere non cavalcano più.

Squadra che vince non si cambia. “The Others” rimane invariata nella sua identità varata l’anno scorso. Crede che questa sia la formula giusta per una fiera  giovane?
«La Squadra è certamente una componente fondamentale per il successo di un progetto e nel nostro caso ha rappresentato davvero un valore aggiunto. Occorre però precisare che la squadra da sola non basta, se il progetto che propone non ha le caratteristiche di forza, qualità e innovazione di The Others».
Più che una fiera, l’anno scorso lei l’aveva definita “una rete” per mettere in contatto chi parla gli stessi linguaggi e sogna allo stesso modo. Questo è forse stato l’anno peggiore in termini di crisi: “The Others” ne ha risentito? Come si combatte questo momento con l’arte?
«The Others è un progetto forte e nonostante la giovane età ha dimostrato anche durante l’anno di essersi ben radicato; dicono che chi nasce in guerra, se sopravvive, avrà molta più forza di altri e l’anno che si conclude nel mondo dell’arte, e non solo, è stato di guerra vera. Ma The Others è vivo e vegeto e sembra godere di ottima salute».

Cosa pensa delle nuove fiere che continuamente nascono o diffondono il loro format, anche in Italia? Mi riferisco in questo caso alle fiere low cost, che spesso tradiscono anche un parterre di partecipanti molto low profile.
«Credo che sia molto importante definire i confini di ciò che si propone e diffido delle manifestazioni e dei progetti che vogliono essere di tutto un po’. Non tutte le fiere hanno come missione la qualità della proposta e non di meno sono catalizzatrici di pubblico, muovono il mercato e contribuiscono alla divulgazione dell’arte; basta che sia chiaro per il pubblico cosa si va a visitare e questo è il compito degli organizzatori».
Torino e il contemporaneo, anche in riferimento ad Artissima, hanno una storia felice alle spalle. Come vede una “The Others” in altre città? Sarebbe possibile replicare il progetto a Milano, ad esempio, visto che la fiera di De Bellis promette grandi novità, ma lo spazio alle realtà giovani non sembra mai così “necessario”?
«Credo che per “meritare” un progetto come The Others, De Bellis e Miart debbano ancora dimostrare tutta la loro capacità di attrazione del mondo dell’arte. Naturalmente auguro ogni successo e ricordo che l’umiltà e l’understatement di Torino hanno costituito la base dell’attuale successo della città nel mondo dell’arte contemporanea».

A Bologna, in occasione di Artefiera, ci proveranno con Set-Up. Cosa si sente di consigliare a chi ha deciso di puntare l’attenzione su un target meno “remunerativo”?
«Non credo che ci sia una ricetta per tutti i gusti e quindi penso che ciò che va bene a Bologna, dove esiste la fiera storica del nostro Paese, non sia applicabile a Torino o Milano e viceversa; quindi il solo consiglio è di rimboccarsi le maniche e “annusare” le esigenze della piazza».

Una domanda più ampia: su quali fiere scommetterebbe Roberto Casiraghi nel Belpaese e nel resto del mondo? C’è qualche manifestazione destinata ad esplodere e altre ad implodere su se stesse?
«Per rispondere seriamente a questa domanda occorrerebbe molto tempo e per di più si rischierebbe la noia assoluta dei numeri, dei flussi e delle motivazioni socio culturali. Quindi una battuta: Scommetterei a Milano su Mint, a Torino su The Others e a Roma su Roma Contemporary».
Per chiudere, un parere: dove vanno e quali sono i progetti e le attenzioni degli “altri”, dei giovani che vogliono occuparsi di arte e dei creativi in genere?
«Troppo facile: tutti a The Others per scoprirlo».

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