Stefano De Angelis (Chieti, classe 1986) è sociologo esperto dei fenomeni terroristici. È rientrato da poco da New York: un’esperienza lavorativa di successo che lo ha visto presentare il suo ultimo libro Isis vs Occidente (Ed.Solfanelli) a centinaia di persone. La sua professionalità, la rara determinazione e il tema di cui si occupa hanno destato l’interesse dei quotidiani nazionali e internazionali. Intervistato dalla redazione televisiva del New York Post, dal Brooklyn magazine e dal Corriere della Sera, il 24 febbraio 2016 ha firmato l’editoriale di America Oggi, dal titolo L’avanzata dell’Isis in Libia. Attualmente collabora con Eide Spedicato Iengo, docente di Sociologia Generale del Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali nell’Ateneo teatino ed è a sua volta docente di Sociologia dei Fenomeni Terroristici, Tecniche di Prevenzione e Contrasto presso la Questura di Chieti.
È appena tornato da un viaggio negli Stati Uniti in cui centinaia di persone hanno ascoltato con grande interesse le sue conferenze sul tema del terrorismo. Come nasce l’attenzione per un fenomeno così particolare?
«Ero poco più che un adolescente quando accadde l’11 settembre. Ricordo bene quel giorno, perché lì ebbe inizio tutto. Mentre guardavo in tv le Torri in fiamme, mi chiedevo cosa stesse accadendo, il perché di tale massacro. In quel giorno comprai il mio primo libro sul terrorismo, che tutt’oggi rappresenta una sorta di pietra miliare del mio lavoro. Negli anni, viaggiando molto, vivendo la realtà americana e avendo fatto un percorso di studi volto a saperne di più, mi sono convinto che questa era la mia strada».
11 settembre 2001 e 13 novembre 2015: due date, due stragi, e nulla è stato più come prima. La caduta delle Torri Gemelle a New York e le sparatorie di Parigi: in mezzo resta il terrore. Quali sono le responsabilità dell’Occidente?
«Purtroppo, è inutile negarlo, l’Occidente ha delle gravi responsabilità, dovute più che altro ad una miopia politica inammissibile in un contesto storico e politico come quello attuale. Ci sono errori che si pagano: il lassismo con cui l’Occidente ha agito, l’inerzia che ha contraddistinto l’azione politica e militare nell’ultimo decennio, il non aver capito cosa fosse realmente la Primavera Araba, il “nostro” aver rinunciato a combattere per dei valori quali la libertà, la democrazia. Quando ci furono le prime avvisaglie dei tumulti che poi sfociarono nelle rivoluzioni del 2011 in Nord Africa – la Primavera Araba appunto – l’intero Occidente si affrettò a salutare tali episodi come provvidenziali, frutto di una voglia di democrazia e riforme strutturali in Paesi da decenni oppressi da vari dittatori. Peccato che in pochi capirono cosa stava accadendo, ovvero masse di studenti mossi e gestiti dal fondamentalismo islamico che ha sfruttato una iniziale voglia di riforme, per cavalcare un malcontento generale che è poi sfociato nel radicalismo, e quindi nel terrorismo. Quanto all’aver rinunziato ai nostri valori possiamo citare un caso su tutti: il delitto Regeni – il giovane ricercatore italiano ucciso in Egitto in circostanze misteriose – rischia di finire in una bolla sapone, senza che nessuno si preoccupi di accertare la verità. Il motivo? Interessi di pochi che prevalgono sulla giustizia e la verità, come troppo spesso accade. Bisogna altresì dire che spesso ci flagelliamo per colpe che non abbiamo, questo soprattutto perché viviamo in una società perbenista e non ci rendiamo conto che la nostra unica vera colpa è l’aver dimenticato quanto importante sia la libertà».
Arriviamo alla pubblicazione “Isis vs Occidente”, il suo ultimo libro pubblicato da Solfanelli che ha avuto un grandissimo riscontro in Italia e anche all’estero. Credo sia necessario ribadirlo, perché spesso si fa confusione: che cos’è l’Isis e qual è il suo scopo?
«Partiamo subito dal concetto che l’Isis è uno Stato e non un gruppo terroristico, pertanto si colloca su un piano totalmente differente, rispetto ad esempio alla tristemente nota Al Qaeda. Questo comporta un potere inaudito, un’economia florida come pochi Stati al mondo, milioni di persone sottomesse e reclutate in un’ottica di Jihad mondiale, interi Paesi sotto il più totale controllo, e una capacità di reclutamento senza precedenti grazie a social network nonché una facilità di spostamento dei propri membri tipica dei tempi che viviamo. Lo scopo è semplice: la creazione di un unico grande Califfato che si estende dall’Europa fino all’estremo Oriente, passando per l’Africa e gran parte delle Americhe. Ovviamente la parte che non diventa Califfato è destinata alla distruzione».
In questo generale clima di terrore, l’Italia cosa dovrebbe fare?
«L’Italia già sta facendo molto sotto il profilo umanitario, accogliendo i profughi in fuga dai territori conquistati dalle milizie dell’Isis; un lavoro davvero notevole e meritevole di lode, ma che a mio avviso deve essere assolutamente sostenuto dagli altri Paesi europei. Dobbiamo inoltre assolutamente controllare chi varca i nostri confini nazionali all’interno delle masse indistinte di profughi che partono sempre da Paesi oggi sotto scacco dell’Isis: la Libia ne è un esempio più che palese. Perché è inutile negarlo, su mille persone che entrano, non tutte possono essere persone in fuga dalla guerra e dalla povertà. Alcune, infatti, partono sicuramente con le peggiori intenzioni, reclute del terrorismo internazionale pronte ad agire, e questo il nostro Stato non deve permetterlo, deve tutelare il territorio e i propri cittadini. Sotto il profilo diplomatico e militare, facendo parte dell’Alleanza Atlantica, l’Italia ha un ruolo, seppur molto piccolo al momento. Le cose stanno cambiando proprio in queste ore, dato che con le nuove operazioni condotte dagli Stati Uniti in Libia, l’Italia diventa un epicentro logistico, avendo messo a disposizione la base di Sigonella per i droni americani. Certamente si può fare di più, ma è già un primo passo notevole per un Paese che, troppe volte, si è rifiutato di aprire gli occhi dinanzi ad una minaccia seria, concreta e cruenta, come quella del terrorismo».
«Diventeremo l’Eurabia. Il nemico è in casa nostra»: così ha preannunciato anni fa Oriana Fallaci. Sta accadendo questo?
«La Fallaci era un genio, e disse vent’anni fa cose inimmaginabili per i tempi, ma che oggi puntualmente si stanno realizzando. Guardi soltanto i dati demografici. Con una natalità pari a zero l’Europa invecchia sempre di più, mentre coloro che arrivano nel nostro continente per poi insediarsi hanno un tasso di crescita spesso a doppia cifra. È palese che tra qualche anno, se i numeri continueranno su questo trend, l’impatto di tale fenomeno sarà incredibile – e se vogliamo anche molto pericoloso – sulla nostra società europea. Dobbiamo poi considerare che la Turchia non aspetta altro che diventare membro dell’Unione Europea e, a mio avviso, tutto ciò oggi è impensabile per diversi motivi. Primo per il ruolo che sta avendo il Paese di Erdogan nella lotta al terrorismo islamico: un ruolo troppo spesso ambiguo e pieno di zone d’ombra. A questo si aggiunge la lotta intestina con la minoranza curda, oggi l’unica vera resistenza all’avanzata dell’Isis in Turchia, fenomeno che pone molte domande sulle reali intenzioni di Ankara. Poi, ovviamente, dobbiamo ricordare che la Turchia è un Paese fortemente islamico che negli ultimi anni ha conosciuto perfino una deriva estremistica. Quindi una vera e propria integrazione con il nostro continente è al momento inattuabile».
Il fenomeno delle migrazioni verso i Paesi dell’Europa, in primis l’Italia, come si collega all’avanzata dello Stato Islamico?
«Spesso si associa il fenomeno migratorio – anzi i migranti stessi – al terrorismo: non c’è nulla di più sbagliato. I disperati che arrivano sulle nostre coste spesso sono le prime vittime del terrorismo, hanno perso tutto proprio per l’avanzata dell’Isis e si trovano costretti a fuggire per sopravvivere. Ovviamente, bisogna sottolineare un’altra volta un dato fin troppo evidente: come già detto, oggi i barconi della disperazione partono da Paesi che per larga parte sono sotto il controllo dell’Isis, come la Libia ad esempio. Quindi tutto lascia immaginare che lo Stato Islamico possa sfruttare questo fenomeno migratorio e “camuffare” delle cellule terroristiche come normali migranti. Spesso ci riesce, purtroppo. Inoltre l’Isis, proprio su questo colossale ed inesorabile flusso migratorio, sta facendo dei profitti incalcolabili, avendo preso il controllo dei cosiddetti viaggi della speranza, dei barconi della morte e delle carovane che trasportano esseri umani nei deserti del Nord Africa. Agisce indisturbato in un processo che, paradossalmente, se provassimo a fermarlo, significherebbe condannare a morte migliaia di innocenti».
L’incipit dell’introduzione al suo libro recita così: «Pochi fenomeni al mondo riescono a sconvolgere le vite di miliardi di persone come il terrorismo. Capace di modificare o mutare irrimediabilmente vecchie e consolidate abitudini, ritmi quotidiani, idee, pensieri, azioni, politiche di governo, campagne militari e rapporti tra diverse culture, possiamo definirlo un fenomeno tipico dell’era liquida e della globalizzazione». Il sociologo Bauman ha introdotto il concetto di liquidità e ci ha avvicinati ad una idea di società in cui le relazioni sociali si decompongono e ricompongo rapidamente. Il terrorismo come si colloca in tutto questo?
«Il terrorismo, così come lo viviamo oggi, è un fenomeno tipico dell’era liquida. Basti pensare a come recluta molti dei suoi adepti, ovvero tramite i social network, uno strumento tipico della società liquida. Oppure pensiamo alla strage del Bataclan, organizzata da una manciata di terroristi islamici di cittadinanza francese su un mezzo innocente come la Play Station: mezzo che con i suoi forum online si presta in maniera egregia a essere luogo di scambio informazioni. Inoltre il terrorismo islamico ha sopperito al crollo delle ideologie, altra conseguenza dell’era liquida, divenendo uno straordinario elemento di coesione sociale per i fondamentalisti islamici e perfino per molti figli di migranti: le cosiddette seconde generazioni che sposano la causa terroristica, proprio perché vi trovano un modo per sentirsi parte di un qualcosa, un veicolo per divenire integrante di un gruppo sociale. Un tempo avevamo i figli del proletariato – che tante volte erano nient’altro che i figli della media borghesia – ad imbracciare le armi contro il sistema democratico; oggi abbiamo le nuove masse proletarie, ammassate nelle periferie delle grandi metropoli, pronte a farsi saltare in aria in nome della religione».
La sua è una vera missione, uno studio importante che può aiutare la società ad essere consapevole di ciò che sta accadendo, al fine di recuperare fondamentali diritti dell’uomo: quelli alla vita e alla libertà.
«Io pongo come fine ultimo dei miei studi alcuni valori: la democrazia, l’uguaglianza, il diritto alla vita, la libertà. Oggi tali valori sono sempre più a rischio, in parte per colpa della nostra negligenza, come già detto prima, in parte perché nel mondo sempre più persone vedono in essi un ostacolo ai loro folli progetti. Ritengo che l’Occidente sia un faro delle libertà, è la civiltà che ha dato più diritti in assoluto agli uomini nel corso della storia, e mi rifiuto di pensare che preferiamo sottometterci a dei criminali, iniziare a vivere da schiavi, mettere il burqa alle nostre donne e negare un’istruzione, un futuro libero ai nostri figli, piuttosto che combattere per i nostri principi. Qualche anno fa mi dissi che era meglio battersi per essi, piuttosto che assistere inermi a quanto di cruento ed efferato ogni giorno accade nel mondo. Decisi di farlo con una penna, ed ecco che oggi sono qui, a scrivere e a lottare per il bene più prezioso che può possedere l’essere umano: la libertà».
Alessandra Angelucci