Categorie: Personaggi

L’INTERVISTA/ THOMAS HUG

di - 25 Aprile 2019
Artgenève e artmonte-carlo dal 2012 sono il punto d’incontro di più di 100 gallerie internazionali che, a Ginevra e a Monte Carlo, trovano l’ambiente ideale per dialogare con i collezionisti, il pubblico e le istituzioni. Già forte della partecipazione di gallerie come White Cube, Galleria Continua, Franco Noero, per citarne solo alcune, quest’anno artmonte-carlo si arricchisce della collaborazione con il PAD, il Pavilion of Art and Design. A tenere le redini della fiera c’è Thomas Hug, il suo fondatore. Abbiamo approfittato di una sua visita a Roma per intervistarlo in vista della prossima apertura dell’ottava edizione di artmonte-carlo, a Monaco dal 26 al 28 aprile 2019.
Partiamo dal principio, com’è nata l’idea di fondare i saloni di artgenève e artmonte-carlo?
«All’età di 18 anni mi sono recato a Berlino per terminare gli studi di musica classica – studiavo piano e musicologia – ed è lì che sono “scivolato” nel mondo dell’arte contemporanea, è stato uno scivolamento veramente sociale. Con un amico abbiamo aperto una galleria in cui io mi occupavo del programma musicale e delle performances, mentre lui della parte visuale. La galleria ha riscosso un certo successo e da lì siamo stati accettati a fiere importanti, come Frieze, Art Basel e [Art Basel] Miami, tutte le fiere in Germania, Art Los Angeles… Per anni abbiamo avuto accesso a un’esperienza estremamente interessante e formativa ed è là, come espositore, che ho potuto conoscere a pieno quella realtà. Allo stesso tempo sentivo di non avere lo spirito di un gallerista: sentivo il bisogno di un’attività più globale, che coinvolgesse anche la città di Ginevra. Così è nata l’idea di artgenève e sono tornato in Svizzera per organizzare il primo salone. Mi sono subito confrontato con il direttivo di Palexpo, il centro fieristico di Ginevra, con l’idea di sviluppare il progetto di una fiera internazionale. A Palexpo hanno subito accettato e mi hanno dato carta bianca; è stata una prova di grande fiducia vista la presenza in Svizzera di iniziative di spessore come Art Basel».
Design curated_Objects my friends Curated by Martine Bedin Sottsass Bed photo Thomas Lannes
L’ombra del confronto con una fiera del calibro di Art Basel non l’ha intimorita?
«No, anzi, è stato lo spunto per partire. C’erano stati altri progetti a Ginevra che non avevano funzionato proprio perché si partiva con l’idea che una fiera dovesse essere di quelle dimensioni, che dovesse da subito reggere il paragone. Il nostro progetto, invece, era quello di istituire un salone di buon livello ma piccolo (abbiamo iniziato con circa 30 gallerie) avendo ben chiaro il nostro scopo, cioè quello di essere il punto di incontro tra galleristi e collezionisti. Le dimensioni della fiera assecondano quelle del mercato dell’arte e prendono le misure dalle sue esigenze, dalle sue relazioni: non è un caso che tra i nostri espositori ci siano galleristi stanchi di quelle fiere, cioè di realtà così grandi da rischiare di finire per essere anonime o dispersive. In tutto questo, ovviamente, il salone non è soltanto un centro commerciale di gallerie: ampio spazio è dedicato alle esposizioni non commerciali. A Ginevra, soprattutto, dove abbiamo creato uno spazio dedicato alle sculture, le esposizioni sono veramente tante e non solo quelle delle gallerie. A Monaco si è aperta una nuova sezione dedicata ai galleristi più giovani, per cui si allestiscono una decina di esposizioni personali, vale a dire altrettanti focus su determinati artisti. Inoltre quest’anno si inaugura ancora una nuova sezione: accogliamo 25 gallerie di design grazie alla collaborazione con il PAD (Pavilion of Art and Design), attivo già da molti anni a Parigi e a Londra, che costituirà una grande risorsa di specialisti del design e delle arti decorative. Le esposizioni a Monaco saranno meno rispetto alle edizioni precedenti proprio per questa apertura al design, ma i progetti sono più forti rispetto al passato (penso al progetto della grande installazione performativa che Sonia Pastor ha proposto con Zoe Williams, per esempio). È proprio qui che il salone inizia a espandersi oltre i confini sia spaziali sia temporali della fiera: artmonte-carlo interagisce con la città attraverso progetti di arte urbana, performance e scultura, è l’arte che entra nello spazio pubblico; durante tutto l’anno si susseguono eventi targati artmonte-carlo, come quello previsto in occasione dello yacht show, per esempio, per cui si invitano le gallerie ad allestire le barche; saremo presenti alla Biennale di Venezia con una soirée musicale, il 9 maggio nel magnifico Teatro Goldoni, dove suoneranno artisti affermati come Anri Sala, Pierre Huyghe, Jonathan Monk… È un progetto a cui tengo molto, l’avevamo già fatto con la Filarmonica di Berlino ed è pensato per i giovani: alla Biennale, per esempio, tra i tanti padiglioni proponiamo qualcosa di diverso, di completamente performativo, musicale, in un contesto differente».
artmonte-carlo 2016 Espace Ravel photo Fabien Prauss
La differenza tra arte e design è spesso motivo di dibattito. La decisione di includere il design nel salone di artmonte-carlo vuole essere un atto di conciliazione?
«La collaborazione con il PAD, già avviata due anni fa a Ginevra e che prosegue quest’anno a Monaco, è prima di tutto qualcosa di estremamente stimolante per noi e per il nostro pubblico perché permette un’esperienza più ampia e diversa. Dal punto di vista dei collezionisti, ci si è accorti che oggi il loro è un interesse globale: mentre anni fa erano specialisti ognuno del proprio settore (chi comprava arte contemporanea, chi mobili, chi oggetti di design), oggi sono grandi collezionisti con un’attività molto diversificata nelle loro acquisizioni. Certo cerchiamo di garantire a ciascuno la propria natura: esiste una convenzione per cui il salone del PAD non può esibire quadri o foto d’autore, mentre il salone d’arte non può esibire elementi di interior design, per esempio. Si tratta comunque di una convenzione fittizia, perché le gallerie d’arte contemporanea ricorrono sempre di più al design per i loro allestimenti, e gli studi di design all’arte. Ma la verità è che l’identità dei galleristi è così forte che tra artmonte-carlo e PAD la differenza va al di là degli oggetti esposti: è garantita dalla loro identità estetica».
A partire dall’idea stessa di una fiera che mette in relazione galleristi e collezionisti, arte contemporanea e design, poi l’arte in tutte le sue forme… Artgenève e artmonte-carlo sembrano fare del dialogo la loro forza?
«Esattamente. Quando abbiamo iniziato abbiamo pensato a una sorta di marchio che ci identificasse e quel marchio per noi era l’espressione francese “salon d’art”: in “salon” c’è il concetto di salotto, quindi di uno spazio accogliente e di conversazione, di dialogo appunto. È in quest’ottica che abbiamo creato i due saloni, ognuno con un’identità forte e come denominatore comune questo concetto di salon d’art: a Ginevra quest’identità si realizza nello spazio fisico delle esposizioni (di musei, centri d’arte, fondazioni, collezioni private) mentre a Monaco si sviluppa con le persone, con tutta una serie di dirigenti di musei, di fondazioni e di collezioni che si incontrano in occasione della fiera. Questa parte del salone si chiama il forum, che, oltre alle conferenze tradizionali aperte al pubblico, prende vita attraverso iniziative come [criss-cross] art institutions in dialogue, un format pensato per facilitare la collaborazione e lo scambio nel mondo dell’arte. Quest’anno inoltre verrà presentata la Società delle Api, l’organizzazione indipendente no-profit fondata da Silvia Fiorucci Roman, il cui scopo è quello di creare una rete in cui artisti di ogni disciplina e addetti ai lavori possano formare una comunità e operare a contatto tra loro».
artmonte-carlo 2017 Galleria Continua and Art Concept photo Fabien Prauss
Come definirebbe il suo ruolo, non solo nel mercato, ma nel mondo dell’arte in generale?
«Il mio ruolo? Direi che prima di tutto è quello di contribuire allo sviluppo di una regione sotto il segno dell’arte. A Ginevra e a Monaco, prima che iniziassimo, non c’erano iniziative che riunissero nello stesso momento e nello stesso luogo i principali attori internazionali del mondo dell’arte contemporanea. Ed è così che, mentre la luce della fiera si riflette sulla regione, creiamo un sistema – anche economico – che altrimenti non esisterebbe. Direi quindi che il mio ruolo è un ruolo di creazione. A questo si aggiunge la parte direttiva e orchestrale: un po’ come tante voci in un concerto, ci sono molti attori coinvolti e molte identità da dirigere, per cui si tratta di mantenere l’equilibrio della rete su cui si regge il salone».
Com’è cambiato invece il ruolo delle gallerie nel mondo dell’arte contemporanea?
«Attualmente le gallerie hanno acquisito un’importanza enorme, forse più che i musei. Questo è legato all’evoluzione commerciale delle gallerie “forti”, che hanno sempre più mezzi per competere effettivamente anche con realtà museali. Le grandi gallerie possono dettare l’evoluzione culturale dell’arte contemporanea. Si tratta quindi di un’evoluzione, che non sempre è positiva: sicuramente è positivo che le gallerie acquisiscano una certa importanza e stabilità, ma se iniziano a sostituirsi ai musei può diventare pericoloso, perché una galleria difende il proprio programma di artisti e ha una visione oggettiva della cultura e dell’arte più ridotta rispetto a un museo. Con le gallerie si gioca spesso su una logica di imposizione: imporre la qualità, imporre il proprio gusto nel sistema dell’arte. A parte questo, le gallerie sono essenziali per garantire il legame tra il mondo della creazione e quello del mercato, e questo legame è fondamentale. Quella della crescita senza controllo delle grandi gallerie è una pratica pericolosa e insieme un’esagerazione perché si viene a creare un sistema capitalista in cui pochi attori hanno il potere e dirigono le cose, mentre altre gallerie che non hanno gli stessi mezzi sono destinate a restare nell’ombra e sparire. Ma è proprio su questo punto che il salone assume tutta la propria importanza: a Monaco e a Ginevra rendiamo visibile questa diversità, a ogni galleria è garantita la propria visibilità. È in quest’ottica, inoltre, che abbiamo creato la nuova sezione per le giovani gallerie, a cui concediamo spazio per le esposizioni personali».
Generalmente, quando si chiede a un artista quale sia la sua opera migliore la risposta è “l’ultima”. Se le chiedessi quale edizione le ha dato maggiori soddisfazioni, risponderebbe la stessa cosa? Ci sono aspettative per questa nuova edizione?
«È difficile dirlo perché dipende dal punto di vista. La prima edizione a Monte-Carlo è stata speciale, proprio perché era la prima e quindi estremamente sentita dal punto di vista emozionale. Poi c’è l’aspetto artistico ed è difficile parlare in maniera assoluta, perché può darsi che in un’edizione ci sia una galleria che fa un’esposizione magnifica mentre un’altra è insoddisfatta perché non ha avuto il tempo di preparare un allestimento come voleva… Per questo è difficile rispondere. Credo che per Monaco, in termini di energia e visibilità, quest’edizione sarà la più forte, anche se già l’anno scorso abbiamo avuto personalità ed eventi di altissimo livello. Quest’anno poi avremo con noi il PAD: porterà il design e con lui il nuovo pubblico. Questa edizione promette bene anche per una questione puramente pragmatica: la fiera inizierà prima, non durante le vacanze regionali ma già in settimana; il che è importante perché a Monaco molta gente parte per il weekend. Poi il passa-parola: ormai sono tre anni che a Monaco esiste la fiera e la gente riconosce l’identità del salone e la sua qualità».
Riccardo Franzetti
http://artmontecarlo.ch/

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