Era il 3 aprile del 1980 quando Joseph Beuys (Kleve – Germania 1921- Düsseldorf 1986) tenne una delle sue lezioni a Perugia. All’evento, ideato dal critico d’arte Italo Tomassoni, assistette silenziosamente anche Alberto Burri, che per l’occasione applicò un “Cretto” nero di ferro nel posto più angusto della Rocca perugina quasi a testimoniare, come fosse un’immolazione, la tragica solitudine dell’arte.
Beuys illustrò il suo pensiero: rifondare il concetto antropocentrico dell’uomo che si sarebbe dovuto liberare da tutti i pregiudizi e le delusioni del passato. Beuys vedeva nell’arte, capace di catalizzare ogni tipo di linguaggio, la dimensione per la redenzione su cui costruire la nuova “scultura sociale”. L’arte come il mezzo più spirituale, ma tale allo stesso tempo da essere percepito da tutti gli uomini. E la comprensione coincide con quel concetto di creatività che può essere applicata in ogni settore, non solo quello artistico, ma anche sociale, in modo tale da portare intrinsecamente con sé quell’indipendenza individuale e quei mutamenti capaci di riportare ad una condizione solare la società.
Una visione utopistica, tuttavia efficacemente illustrata in sei lavagne, acquistate al tempo dal Comune di Perugia. Oggi i pannelli costituiscono opera permanente in esposizione a Palazzo della Penna, adattato a sede museale.
Dopo aver mostrato la sua volontà di fondo nella prima lavagna, nella seconda Beuys espone la possibilità di un piano energetico tale da garantire una distribuzione democratica del denaro, rappresentato come un cubo che attraverso una leva può essere sollevato e modificato. Nella terza lavagna lascia disegnata una corda che si intreccia, come simbolo dell’energia della vita, e un bastone ricurvo come segno dell’ampliamento delle facoltà sensoriali dell’uomo. Il tutto volto a pensare coscientemente ad un equo diritto al lavoro e quindi ad un guadagno per tutti. L’equilibrio deve essere cercato anche tra la produzione e il consumo, rappresentato durante la lezione nella quarta lavagna con l’immagine di una caldaia il cui fuoco costituisce la base energetica del processo. In questa concezione sociale il ruolo dello Stato dovrà essere limitato, e Beuys ricorre all’immagine del cigno iconograficamente vicino al “Lohengrin” di Wagner (quinta lavagna). Nell’ultima Beuys traccia l’applicazione del progetto in cui protagonista non rimane solo l’uomo ma tutto ciò che fa parte del creato. I segni sul fondo nero delle lavagne sono semplici ed essenziali, apparentemente criptici, ma tuttavia grafica testimonianza di una lezione, di un’azione, che ha trasmesso e trasmette energia vitale fuori da ogni conformismo, e per questo simbolo del “nuovo” concetto di arte. Validissimo motivo per mettere in programma un viaggio nella sempre splendida capitale dell’Umbria.
daniele di lodovico
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