Categorie: Personaggi

MÉNAGE À TROIS

di - 19 Dicembre 2007
Se è vero che la storia può costituire una traccia per il futuro, allora questa è una vicenda che va senz’altro raccontata. Tutto comincia nel 1965, quando Lucio Amelio, il protagonista, figlio di un industriale creativo, torna a Napoli, stanco dei suoi lunghi peregrinaggi all’estero, soprattutto in Germania. I viaggi lo hanno reso uomo: ha svolto, infatti, ogni tipo di lavoro, fino ai più umili, come racconterà in una biografia mai portata a termine. Ha imparato, inoltre, circa cinque lingue -un vero lusso a quel tempo- con una predilezione per il tedesco. E sempre dalla Germania gli arriva l’ispirazione fatale, l’amore di una vita.
Memore dell’esperienza dell’amico pittore Günther Wirth, che aveva aperto una zimmer galerie in quel di Berlino, Lucio Amelio inaugura nel 1965, in Parco Margherita, la Modern Art Agency. Lo spazio non è dei migliori, Lucio ci mangia e ci dorme, puntualmente vi organizza mostre di artisti tedeschi e napoletani. I primi anni di attività non sono, però, del tutto felici. Una sorta di ombra oscura qualunque tentativo del giovane di fare il cosiddetto salto di qualità. Entra, infatti, in contatto con Pino Pascali e Lucio Fontana, cui commissiona un concetto spaziale di dimensioni monumentali. Entrambi, però, muoiono di lì a poco, e al danno si aggiunge la beffa di un poeta, tale Achille Bonito Oliva, che ribattezza lo spazio Modern Mort Agency. Tuttavia, non si perde d’animo. Si lega alle figure intellettuali di maggior spicco come Argan e ottiene, in innumerevoli occasioni, il plauso di Filiberto Menna, garantendo alla propria galleria un riconoscimento a priori. Raccoglie intorno alla sua galleria giovani volenterosi che tiene a battesimo e che saranno suoi compagni di strada per tutta la vita. Si tratta di nomi molto difficili da dimenticare: lo stesso Achille Bonito Oliva, Michele Bonuomo, Eduardo Cycelin, il regista Mario Martone.
La prima data memorabile della carriera di Lucio Amelio è il 1969, quando assiste al miracolo amalfitano di Marcello Rumma, che porta agli Arsenali della costiera la mostra Arte Povera + Azioni Povere, che segue di poco la famosissima esposizione genovese Arte Povera Im Spazio, entrambe a cura di Germano Celant. È un fenomeno irrefrenabile: l’intera città partecipa all’evento. Amelio capisce immediatamente in che direzione deve muoversi il suo lavoro. E nello stesso anno, grazie alla sua intraprendenza e alla sua conoscenza delle lingue, partecipa con un gruppo di galleristi alla fondazione di Art Basel, passo che gli varrà un riconoscimento a livello nazionale e internazionale.
Ma il vero “terremoto” nella sua vita avviene nel 1970, anno in cui incontra Joseph Beuys e in cui cambiano molte cose. Dopo aver trasferito la galleria da Parco Margherita alla sede, oggi occupata da Alfonso Artiaco, di Piazza dei Martiri, e aver ospitato mostre importanti, non ultima l’Operazione Subacquea di Michelangelo Pistoletto, Lucio Amelio può dirsi finalmente passato da una fase sperimentale a una certamente più professionale. Collabora con Leo Castelli e Ileana Sonnabend, esorta Peppe Morra, Pasquale Trisorio, Lia Rumma alla professione del gallerista, assume gli assistenti Mimmo Scognamiglio e Corrado Teano, inizia alla carriera d’artista Nino Longobardi. E il sodalizio con Beuys è solo la punta di diamante di una strada in salita. Ma non solo. Con Beuys, Amelio comincerà un percorso introspettivo vero e proprio, sposando in pieno la filosofia dell’artista tedesco, con cui instaurerà un rapporto quasi d’amore, rispetto e fedeltà reciproca, che culminerà a Napoli nel 1980, anno in cui Lucio Amelio affiancherà Joseph Beuys e Andy Warhol per la celebre mostra Beuys by Warhol.
Warhol realizza una serie di ritratti del collega tedesco. Beuys, invece, performa un’azione, passata alla storia, nell’antro della Sibilla Cumana, uno dei luoghi di forza e trasformazione alchemica più misteriosi della città, e pubblica un articolo su “Il Mattino”, ritenuto quasi sovversivo. La vernice, organizzata nel Pesce d’aprile, è un evento di portata mediatica impressionante, che giunge a identificare il prodotto dei due artisti -e la loro filosofia- come frutto di un medesimo pensiero e atteggiamento critico, espresso con molteplici soluzioni, date dall’appartenenza a blocchi culturali e inclinazioni personali disgiunte. Mentre su Beuys agisce il peso della guerra, della negazione della realtà -di matrice platonica -, il masochismo ebraico e il senso ascetico cristiano, le pulsioni romantiche tedesche e la bohème, e quindi la necessità di un riscatto sociale che sia prima di tutto morale, in Warhol, figlio di un paese giovane che ha vissuto la tradizione e l’avanguardia sincronicamente, senza subirne i travagli del tempo e del conservatorismo, di un pensiero consumista ed edonista, dinamico, pragmatico, versatile, legato al mito del successo e della ricchezza, trova la rivalsa dell’individuo nella consacrazione che avviene tramite la trasformazione in icona. In entrambe le filosofie, quindi, la parola d’ordine è l’uomo, la chiave di lettura la sua rivoluzione.
Rivoluzione e terremoto, opera d’arte intesa come bomba a orologeria, lasciata in potenza a caricare l’esplosione di idee nella mente di chi l’acquista, la guarda, la scopre, vi s’imbatte, sono le parole chiave di tutta la vita di Lucio Amelio. Una vita attraversata da numerose sfide e avventure, quali la galleria Pièce Unique, oggi diretta da Marussa Gravagnuolo e fondata da Amelio a Parigi con il belga Isy Brachot, la collezione Terrae Motus e la costituzione della Fondazione Amelio, l’esilio delle stesse da Napoli, il rapporto con Roland Barthes, la conversione delle istituzioni napoletane al contemporaneo, la sua abilità nel cantare e recitare. Istantanee di un’epoca d’oro condivisa con Giorgio Marconi, Plinio De Martiis, Fabio Sargentini, Arturo Schwartz, in cui l’arte contemporanea italiana ha visto i suoi albori.
Immagini di un’epoca in cui l’arte si faceva in galleria e il mercato emetteva i suoi primi vagiti all’interno dello stivale. In cui la sperimentazione era tutto e nascevano per l’arte contemporanea i suoi primi, veri, grandi eroi.

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