Categorie: Personaggi

Milano? Un hub del contemporaneo

di - 28 Gennaio 2015
Nel nostro monitoraggio su Expo, non poteva mancare una chiacchierata con Vincenzo De Bellis, direttore artistico di Miart e co-direttore di Peep-hole. Dunque, uno che Milano la conosce bene. Le presentazioni ufficiali si sono svolte ieri, a Palazzo Reale: sintomo che anche il Comune guarda alla fiera con particolare interesse, specialmente quest’anno. E oltre al consolidato rapporto di Miart con Fiera Milano, Rotary, Birra Menabrea e quest’anno anche Henro, che sponsorizzano i premi, l’attenzione è stata focalizzata sia sulle gallerie partecipanti (156 in totale, di cui 72 straniere e 48 provenienti da Paesi anglofoni – Usa e Regno Unito – e quindi dal mercato forte), nell’anima della kermesse c’è proprio Milano come luogo-incrocio tra Moderno e Contemporaneo. È la città che ha dato i natali a Piero Manzoni e a Giò Ponti: un luogo da valorizzare con la sua storia e con l’approccio verso la “contemporaneità” che l’ha sempre contraddistinta.
E allora via, mixando Alberto Burri, il cui Teatro Continuo tornerà a vivere a Parco Sempione, grazie alla collaborazione di Triennale e dello studio NTCM e del suo programma di sovvenzione, proprio in occasione della primavera milanese, e le notti di Club2Club, il festival nato a Torino che quest’anno, per la prima volta, accompagnerà i discotecari e i musicofili in genere una volta chiuse le porte della fiera, al posto dei programmi solitamente affidati da Fondazione Trussardi, impegnata nella futura “Grande Madre”.
Assicura De Bellis, «Questa edizione è sicuramente la migliore delle mie curate». Non ci resta che attendere, ma intanto ecco qualche ragionamento sul mercato, su Milano, e su questo traguardo di Miart, giunta alla sua ventesima edizione.


Quale ritieni sia la considerazione di Milano nel panorama artistico internazionale? E cosa manca ancora per farne un hub del contemporaneo?
«La città sta assumendo sempre più centralità nel panorama internazionale. Questo grazie a un lavoro pianificato e di collaborazione pubblico-privato che sta funzionando molto bene. Pensiamo al lavoro incessante da oltre 10 anni della Fondazione Trussardi e degli ultimi 3-4 anni dell’Hangar Bicocca, il nuovo corso della Triennale e del PAC oltre a Miart, che già con l’edizione 2014 e ancora di più con l’edizione del 2015 si pone davvero come punto di riferimento a livello internazionale, con una caratteristica che la rende una fiera unica nel suo genere, ovvero il mescolamento e il fitto dialogo tra storico italiano e contemporaneo internazionale. Poi non dimentichiamo la prossima apertura della Fondazione Prada. Insomma è una città vivissima. Cosa le manca? Nulla. In passato le mancava continuità… ora c’è».
In un’ottica di internazionalizzazione della scena artistica italiana, sarebbe vantaggioso consorziare le principali fiere d’arte, Miart e Artissima in primis?
«Ho sempre sostenuto che un panorama come quello italiano non permette di avere la presenza di tante fiere, anche se non è un caso solo dell’arte, ma riguarda tanti altri progetti e l’idea tutta italiana di frammentare anziché unire. Ciò detto, Artissima e Miart sono due progetti distinti che si svolgono in due momenti molto diversi dell’anno e che rispecchiano molto le città in cui avvengono. Certo, unirle sarebbe un’idea a rigor di logica giustissima. Ma una scelta di questo tipo non dipende dai direttori artistici. Dipende da altri».

Per l’edizione 2015 di Miart ci sarà qualche novità in proposito, anche in vista Expo?
«Come Miart, in tre anni passiamo da un totale di 90 gallerie di cui solo 7 internazionali a 150 di cui 70 internazionali. Tra le gallerie che partecipano ci sono tutte le italiane più importanti che ormai l’hanno adottata come unica fiera sul territorio italiano, e molte gallerie internazionali di primo livello che non avevano mai partecipato e che non hanno mai partecipato ad altre fiere italiane. E poi il pubblico che ha sfiorato 40mila visitatori. Oltre 35 curatori internazionali presenti nell’edizione 2014. Collaborazioni con tutte le realtà d’arte pubbliche e private di Milano e la creazione di una settimana dell’arte di tutto rispetto. Novità per Expo? Beh, tre giorni di opening di altissimo livello: martedì 7 aprile, retrospettiva di Juan Muňoz all’Hangar Bicocca; mercoledì 8 la grande mostra “Arts and Food” (padiglione arte di expo che inaugura durante Miart, il che la dice lunga sulla centralità della fiera) curata da Germano Celant alla Triennale e govedì 9 opening di Miart. Poi un weekend pieno di eventi dagli opening delle gallerie, a eventi alla GAM e PAC a Villa Necchi, Villa Panza a Varese e altro ancora».
Cosa pensi dei progetti della Milano dell’arte per Expo? Invece, a Peep-hole, spazio no profit che co-dirigi, cosa avete in serbo per il fatidico semestre?
«Expo è un grandissimo evento ed è giusto che ci siano su una macro scala eventi che possano richiamare un grande pubblico, come l’opening della Fondazione Prada e la grande mostra della Fondazione Trussardi a Palazzo Reale, e ancora l’apertura di Philippe Parreno all’Hangar Bicocca. Insomma, la città si sta mettendo il vestito buono. Molti di questi, con mio immenso piacere, apriranno nella seconda parte del semestre, quando la sbornia dei primi mesi sarà passata. In contemporanea a questi e a molto altro che avverrà, Peep-Hole sta preparando l’ultima puntata di Six Ways to Sunday un progetto che dura ormai da 6 anni, realizzato ogni anno in collaborazione con un’istituzione internazionale. Quest’anno sarà la volta del Contemporary Art Gallery di Vancouver. Non ci siamo mai spinti così in là, ma nel 2015 era giusto farlo».
Dunque, per l’arte contemporanea milanese, e italiana in generale, l’Expo sarà un’occasione per guadagnare punti nel contesto internazionale, oppure come al solito tutto rimarrà invariato?
«Penso che Expo rappresenti un’occasione importante da sfruttare in questo senso. Ma il vero obiettivo dovrebbe essere non pensare solo all’evento, quanto piuttosto usare questo impulso per fare in modo che la continuità di cui parlavo prima venga confermata, mantenendo il livello alto per anni e anni. Expo dura sei mesi, ma i luoghi restano per molto più tempo. Sono davvero fiducioso, perché so come si sta lavorando e c’è molta lungimiranza e coesione».
Martina Piumatti

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