<<Io sto vivendo il tempo della mia vita adesso. In questo momento che non ho più filtri, non ho più paure, mi sveglio la mattina e penso basta, dico tutto, faccio tutto>>. Sono queste le parole con cui Michela Murgia ha accolto gli ascoltatori all’ultima edizione del Salone del Libro di Torino, in una delle sue ultime comparse pubbliche. La scrittrice e attivista è morta all’età di 51 anni a causa di una malattia. Coraggiosa e irriverente, la Murgia ha deciso di rompere ogni stigma sociale fino ai suoi ultimi giorni, rendendo il proprio cancro un fatto tutt’altro che privato, facendo della fragilità un vessillo della forza e del valore che ogni esse umano porta con sé. <<Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il cancro è una cosa che sono, non che ho. Io sono un cancro>> diceva in un’intervista al Corriere della Sera, annunciando la propria malattia. E poi il servizio apparso su Vanity Fair per sdoganare la famiglia tradizionale, la rasatura dei capelli apparsa sui social, il matrimonio “in articulo mortis” con l’attore Lorenzo Terenzi, il corredo nunziale disegnato da Dior e l’uscita di Tre ciotole, raccolta di racconti semi autobiografici in cui la crisi fisica e psicologica della scrittrice e quella di numerosi altri personaggi si sfiorano delicatamente pagina dopo pagina. Gli ultimi mesi di Michela Murgia sono stati l’apice di un’esistenza pubblica e politica schierata, caparbia, alla continua ricerca di senso. Contestate e oggetto di polemiche, indubbiamente – “la malattia dovrebbe essere un fatto privato”, è stato detto da molti, che hanno voluto tirare in causa “la pornografia del dolore” – le sue azioni hanno rotto anche il tabù ultimo, quello della morte.
Nata a Cabras nel 1972, Michela Murgia è stata per anni insegnante di religione nelle scuole. Numerose sono state le sue esperienze lavorative, dall’operatrice fiscale alla portiera di notte. Nel 2006 esordisce con il libro Il mondo deve sapere, un racconto amaro e ironico di denuncia sulla vita nei call center, diventato poi il film Tutta la vita davanti di Paolo Virzì. Il successo tuttavia arriva tre anni più tardi con Accabadora con cui si aggiudica il Premio Campiello, raccontando del matriarcato sardo e della tradizione dei “fill’e anima” fino a quel momento misconosciuta. Tra le opere successive si ricordano Presente, il saggio breve sul femminicidio L’ho uccisa perché l’amavo (Falso!), Futuro interiore, L’inferno è una buona memoria, il saggio Istruzioni per diventare fascisti, Noi siamo tempesta, Stai zitta e God save the queer. Catechismo femminista. Di grande successo è stato anche Morgana, la casa delle donne fuori dagli schemi, progetto realizzato assieme a Chiara Tagliaferri – poi diventato libro – per raccontare le vicende di donne che nella storia si sono distinte per essere uscite fuori dagli stereotipi rassicuranti e aver spezzato i propri legami biologici.
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