Categorie: Personaggi

Morto John Wesley, innovatore della pittura, tra Pop Art e Surrealismo

di - 12 Febbraio 2022

Spesso accostato alla Pop Art, per la sua pittura così aderente al seducente immaginario formale della pubblicità, John Wesley è morto il 10 febbraio 2022, a 93 anni, nella sua casa di Manhattan. A dare l’annuncio, con un post pubblicato sui social network, la sua storica galleria di New York, Fredericks & Freiser: «Era un uomo elegante, gentile e divertente che ci mancherà molto». Ma l’etichetta di Pop Artist, pure non era del tutto infondata, non piaceva troppo a Wesley, che l’accettava controvoglia, preferendo non entrare nel solco di un’unica corrente. Per il critico Peter Schjeldahl, la sua arte poteva essere quasi più vicina al Surrealismo, ovviamente aggiornato alla “materialità” tipicamente statunitense della seconda metà del Novecento. Proprio l’estrema presenza delle figure ritratte, sia intere che parti di corpo, membra eroticamente inquadrate attraverso spazi visivi inusuali, tra scoiattoli che si accoppiano e morbide gambe femminili ripetute all’infinito, ninfe, geishe e principesse indiane, uomini nudi che inseguono volatili, gli valse anche un altro paragone storicizzato: il critico Dave Hickey paragonava la sua arte all’esuberanza del Rococò francese.

John Wesley nacque nel 1928 a Los Angeles, perse il padre quando aveva solo 5 anni e non frequentò mai una scuola d’arte. Wesley raccontava questi episodi biografici per affermare il suo atteggiamento indipendente nei confronti della sua materia. Tuttavia, finì per entrare in stretto contatto con alcune personalità più influenti dell’arte contemporanea, diventando amico, tra gli altri, di Dan Flavin e Donald Judd, la cui Chinati Foundation a Marfa, in Texas, ospita una galleria permanente dedicata al lavoro di Wesley, che da giovanissimo iniziò a lavorare come lavapiatti, poi in un ufficio postale. Nel tempo libero faceva il disegnatore per Northrop, una società aeronautica, quindi decise di passare a tempo pieno all’arte.

«La mia pittura, come lo stile gotico tedesco, mira a una costruzione sottile e a una forma precisa e pulita», disse una volta ironicamente, inquadrando però alcuni particolari della sua pittura dalla linea fortemente scandita, a delineare sagome nette, stagliate su sfondi monocromi. A volte si può rintracciare una vena politica ma la sua ambiguità è sempre stata difficile da analizzare. Carolyn Christov-Bakargiev scriveva che «Sotto la superficie delle sue assurde espressioni, tuttavia, si può trovare un commento feroce sulla società, sulla superficialità, sul potere o sull’abuso, se solo lo si vuole cercare».

Considerato per lungo tempo un outsider, John Wesley entrò finalmente nella storia dell’arte ufficiale solo nei primi anni 2000, quando il PS1 Center for Contemporary Art, oggi MoMA PS1, gli dedicò una mostra a cura di Alanna Heiss. Un’altra grande retrospettiva la curò Germano Celant in Italia, organizzata dalla Fondazione Prada di Venezia, nel 2009, negli spazi della Fondazione Giorgio Cini (qui la nostra recensione all’epoca). In quella occasione, furono esposte oltre 150 opere, tra dipinti e oggetti provenienti da musei internazionali e collezioni private, realizzate tra il 1961 e il 2007.

Veduta della mostra. Foto Paolo Sfriso Courtesy Fondazione Prada

A Wesley non piaceva discutere del suo lavoro e quando il critico Randy Kennedy gli chiese di descrivere il suo stile pittorico, nel 2009, semplicemente rise: «Non ne ho assolutamente idea. Mi sembra solo di aver trovato il mio posto, di cui sono grato»

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