Pioniere della scultura minimalista, famoso per i suoi sottili “giochi di luce”, Keith Sonnier è morto a New York, il 18 luglio, a 78 anni, dopo aver combattuto a lungo contro una malattia. A confermare la notizia, il suo studio, tramite un post sui social network. Nonostante la malattia, solo pochi mesi fa Sonnier aveva aperto una nuova mostra alla Kasmin Gallery di New York, con opere recentemente realizzate, una serie di sculture a parete con neon colorati, acciaio e vetro.
Nato il 31 luglio 1941 a Mamou, in Louisiana, si trasferì a Parigi e, quindi, tornò negli Stati Uniti per frequentare la Rutgers University nel New Jersey dove, nel 1966, conseguì un Master in amministrazione aziendale. Dopo la laurea si trasferì a New York, entrando in contatto con la vivace scena della controcultura della città . Gli inizia della carriera artistica non furono semplici ma riuscì a portare avanti la sua ricerca, potendo contare anche sull’aiuto degli artisti Barry Le Va e Lynda Benglis, suoi amici e coetanei, oltre che affini nella sperimentazione.
Insieme a Richard Serra e Bruce Nauman, Sonnier è ricordato per aver portato avanti il linguaggio della scultura, usando anche materiali insoliti per i suoi tempi, dagli oggetti effimeri oppure trovati per caso o ancora industriali, fino ai tubi al neon, iniziati a usare dal 1968 e sagomati come a disegnare forme incandescenti nello spazio, interagendo con l’architettura. Proprio al neon si sarebbe legata gran parte della sua ricerca fino agli ultimi anni e per opere grandiose, come quando, nel 2002, a Berlino, costruì una struttura di neon rossi, gialli e blu intorno alla Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe, oppure quando nel 2004, realizzò una delle più grandi installazioni pubbliche di Los Angeles, Motordom, illuminando un intero edificio.
Nonostante la riconoscibilità della sua arte, Sonnier non ha riscosso lo stesso successo di altri artisti, pur vicini per stile. Solo nel 2018 gli è stata dedicata una prima grande retrospettiva, al Parrish Art Museum di Watermill, New York. «La differenza di Keith è la sua volontà di sperimentare, che manca a molti suoi coetanei. E non è una mancanza di rigore, è fiducia, una sorta di bizzarra fiducia che gli ha permesso la libertà di esporsi a materiali non tradizionali che molti artisti della sua generazione non stavano considerando in quel momento», ha dichiarato ad Artnet Jeffrey Grove, curatore della mostra al Parrish Museum.
Nel 2018, la Galleria Fumagalli aveva presentato un’ampia antologica di suoi lavori con la luce, realizzati dal 1968 al 2017.
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