Tra le voci più autorevoli della critica d’arte, autore di testi lettissimi da generazioni di studiosi, acuto osservatore della storia, dal Barocco alle Avanguardie, Maurizio Calvesi è morto oggi, a Roma, a 92 anni, a causa di un attacco cardiaco. A darne notizia, Alberto Dambruoso, critico d’arte, curatore e suo discepolo, in un post su Facebook.
Una notizia triste anche per i tanti studenti che si sono formati sui suoi insegnamenti: tra il 1970 e il 1976, è stato professore di storia dell’arte all’Università di Palermo, mentre dal 1976 al 2002 è stato ordinario di storia dell’arte moderna nell’Università di Roma La Sapienza, dove ha diretto l’istituto di storia dell’arte e in seguito, fino 2002, il dipartimento di storia dell’arte. Attualmente, Calvesi era professore emerito all’Università di Roma La Sapienza e socio nazionale dell’Accademia dei Lincei e dell’Accademia Clementina di Bologna.
Nato a Roma, il 18 settembre 1927, da Arnaldo Calvesi e Gabriella Fraschetti Tazzoli, Maurizio Calvesi frequentò fin dalla giovanissima età lo studio romano di Giacomo Balla, collocato al piano superiore della sua abitazione, in via Oslavia 39 b, a Roma. Nel 1941, spronato da Balla, prese contatti con Filippo Tommaso Marinetti, entrando a far parte del gruppo Aeropoeti Sant’Elia. Sei delle sue poesie adolescenziali futuriste, firmate insieme a Sergio Piccioni, sono conservate nel Centro di Documentazione Futurista dell’Università di Yale. Nel 1949 si laureò con lode in Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza di Roma, con una tesi su Simone Peterzano, assegnatagli da Lionello Venturi, intraprendendo così i suoi primi studi su Caravaggio, che del Peterzano era stato allievo.
Esordiì negli studi sull’arte con un articolo sul Cinquecento e al 1953 risale la sua prima pubblicazione su Boccioni. Dal 1955 prestò servizio alla Soprintendenza di Bologna, dove collaborò con Cesare Gnudi e strinse amicizia con Francesco Arcangeli. Diresse la Pinacoteca nazionale di Ferrara, quini tornò a Roma, dove assunse l’incarico di vicedirettore della Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea – con l’allora direttrice Palma Bucarelli. Successivamente, ricoprì il ruolo di direttore della Calcografia Nazionale di Roma.
Calvesi fu tra i primi storici dell’arte a mettere in evidenza le componenti ermetiche del Rinascimento, ampliando le conoscenze della critica d’arte con gli strumenti della psicologia freudiana e junghiana – il fratello Alessandro era psicoanalista -, introducendo in Italia, alla fine degli anni ’50, il metodo dell’iconologia, allora fortemente avversata in Italia. Grazie all’interpretazione della psicanalisi, per esempio, riuscì a leggere particolari inediti dell’opera di Alberto Burri, descritti in un saggio memorabile. Come altrettanto innovativi e citatissimi sono stati gli studi sulla Melencolia I di Dürer e sul Grande Vetro di Duchamp, raccontati attraverso una consapevole rivisitazione della tradizione alchemica.
Tra il 1979 e il 1982, fece parte del consiglio direttivo della Biennale di Venezia. Nel 1984 e nel 1986 curò, insieme a Marisa Vescovo, la sezione arti visive della XLI e della XLII Biennale d’arte di Venezia.Dal 1992 al 2001 ha ricoperto la carica di presidente del Comitato per i beni artistici e storici al Consiglio nazionale per i beni culturali, dirigendo, dal 1993 al 2000, il Museo laboratorio d’arte contemporanea dell’Università di Roma La Sapienza. Dal 2001 al 2013 ha curato la Collezione Farnesina, raccolta d’arte del XX secolo del Ministero degli Affari Esteri e, fino al 2014, ha presieduto la Fondazione Burri.
Numerose le sue collaborazioni con varie testate giornalistiche. Curò le rubriche d’arte dell’Espresso e del Corriere della Sera, mentre tra il 1986 e il 2001 è stato direttore del mensile Art & Dossier.
Agli inizi della sua carriera, nei primi anni ’60, pubblicò alcuni importanti studi sulle incisioni dei fratelli Caracci, approfondendo quindi il Barocco leccese e l’arte di Caravaggio. Quindi si dedicò al Futurismo, che in quel periodo non godeva di particolare fortuna, contribuendo a rivalutarne il ruolo storico e inquadrandolo in un ampio discorso sull’arte contemporanea, in dialogo con la Pop Art.
Nel 1953, su invito di Argan, Calvesi organizzò una grande rassegna dedicata a Umberto Boccioni, nel Palazzo delle Esposizioni a Roma, in occasione della mostra “La vita nell’arte nel Mezzogiorno d’Italia”. Curò inoltre gli apparati illustrativi e filologici della monografia su Umberto Boccioni firmata insieme ad Argan, contribuendo a ristabilire la giusta datazione delle opere del maestro futurista. Fondamentali i suoi saggi su con saggi su Marinetti, Boccioni, Balla, Carrà, Severini, Soffici, Prampolini e Crali ma il suo merito fu quello di dare una lettura organica del Movimento di Avanguardia, inserendolo in un contesto aperto al Futurismo russo e alle altre Avanguardie europee. Calvesi ebbe la lucidità di liberare il Futurismo italiano dalle pastoie – che pure c’erano, evidentemente – del Fascismo, rileggendone l’indubbio valore della poetica al di là degli ascessi del nazionalismo radicale e interventista di alcuni suoi adepti (peraltro non gli unici).
Grazie al suo acutissimo lavoro, il controverso movimento artistico intraprese la strada della riabilitazione, il cui processo fu decretato ufficialmente con la grande mostra “Futurismo e Futurismi”, curata da Pontus Hultén nel 1986 a Palazzo Grassi, a Venezia.
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