La Biennale di Venezia del 1964 resterà nella storia per aver segnato il passaggio del testimone nella ricerca artistica dall’Europa agli Stati Uniti, con il trionfo – qualcuno direbbe l’imposizione – della Pop Art come modello globale. Il premio riservato a un artista straniero in quella edizione viene assegnato a
Robert Rauschenberg e questo segna il momento di massima notorietà dell’artista, e la sua consacrazione fra i protagonisti in un secolo come il Novecento, che certamente ha consegnato alla storia dell’arte le più radicali rivoluzioni.
Il ruolo di Rauschenberg in queste dinamiche è di assoluto rilievo: massimo rappresentante, con
Jasper Johns, del New Dada, seppe porsi come fondamentale anello di congiunzione con le istanze di Surrealismo e Dadaismo, traghettate dall’Europa verso gli Stati Uniti da molti artisti in cerca di requie a cavallo della Seconda guerra mondiale, su tutti
Sebastian Matta e
Arshile Gorky. Ponendo in tal modo, al fianco dell’Espressionismo Astratto, le basi dell’arte contemporanea in una realtà che in precedenza – fatti salvi rarissimi e isolati casi – restava legata a modelli ancora ottocenteschi.
Paradossalmente la notorietà internazionale gli giunge, complici gli auspici dell’amico gallerista Leo Castelli, consegnandogli il ruolo di “padrino” di una corrente come la Pop Art, da cui egli prenderà sempre le distanze, come da qualsiasi movimento ordinato, in favore della totale libertà creativa dell’artista. Ora che è scomparso, si riescono a focalizzare, quasi a storicizzare con maggiore nitidezza i suoi decisivi contributi all’approccio contemporaneo alla creazione artistica, i più importanti dei quali esulano dalla nota filiera New Dada-Pop Art.
Basterà citare due episodi, che nella loro icasticità testimoniano la grande modernità di Rauschenberg. Uno risale al 1952, quando ritorna come insegnante al Black Mountain College, nel North Carolina, dove qualche anno prima aveva studiato con
Josef Albers, conoscendovi
Merce Cunningham e
John Cage, due personaggi con i quali stabilirà una lunghissima e proficua collaborazione. Proprio Cage, in collaborazione con Rauschenberg, Cunningham,
David Tudor e
Charles Olson, organizza un evento privo di titolo, poi conosciuto come
Theater Piece No. 1, che oggi viene considerato il primo happening della storia, con il diretto coinvolgimento del pubblico nelle performance. Del resto, lo stesso
Allan Kaprow, che poi sarà dell’happening il massimo interprete e promotore, fu allievo di Cage proprio al Black Mountain College. Al rapporto con John Cage è legato un altro momento che la “mitologia” pone alla base della contaminazione che caratterizza larga parte dell’arte d’oggi, visto che proprio una tela di Rauschenberg, completamente bianca e vuota, avrebbe suggerito al musicista una delle sue opere più dirompenti,
4’33”.
Ma l’altro, ben più noto episodio chiave risale al 1963 e consegna all’artista un ruolo fra i precursori assoluti dell’Arte Concettuale. Parliamo di
Erased de Kooning drawing, ovvero un disegno ricevuto in regalo da
Willem de Kooning, che Rauschenberg espose in una sua mostra dopo averlo accuratamente cancellato. Cancellare con l’intenzione di sostituire quello che è stato “cancellato” con la “cancellatura” stessa. Episodi, dicevamo, ma che diventano rappresentativi di una personalità sempre fuori dagli schemi e con un occhio al futuro.
Nato nel 1925 a Port Arthur, in Texas, tra il 1947 e il 1948 Milton Ernest Rauschenberg – questo il suo vero nome – segue alcuni corsi al Kansas City Art Institute. Nel 1948 si trasferisce a Parigi, dove frequenta l’Académie Julian e incontra Susan Weil, che diventerà sua moglie. Nel 1949 giunge a New York, dove nel 1951 tiene la sua prima personale alla Betty Parson’s Gallery. Visita la Francia, la Spagna, il Nord Africa e l’Italia, dove giunge con
Cy Twombly, conosciuto alla Art Students League, trascorrendo quasi un anno, nel 1953, a Roma dove espone le
Scatole Personali presso la Galleria dell’Obelisco di Gaspero del Corso, che gli aveva presentato l’amico
Piero Dorazio.
Nel 1954 incontra Jasper Johns, con il quale instaura una lunga amicizia che sarà anche consonanza intellettuale, e nel 1955 realizza i primi
Combine-paintings, le sue opere più note, dove innesta nella pittura oggetti comuni o spezzoni di oggetti recuperati, recuperando il concetto dada del ready made.
Fra le sue prime opere più note c’è
Bed, un’installazione con un letto reale, sul quale l’artista interviene con il colore, con scolature, macchie, mescolanze che rendono l’oggetto particolarmente vissuto. Nel 1962 comincia a utilizzare il procedimento serigrafico, abbinandolo all’inserimento di pittura, collage e altri oggetti, cosa che agli occhi di molti lo accomunerà in seguito alla Pop Art. Nel 1970 decide di lasciare New York e stabilisce la sua residenza e lo studio principale nell’isola di Captiva, al largo della Florida.
Nel corso degli anni il suo rapporto con l’Italia è stato spesso intenso, come nel 1986, quando a Napoli gli viene commissionata la scenografia per la prima di
Lateral Pass di
Trisha Brown al teatro San Carlo. In quell’occasione, resosi conto che le opere previste non sarebbero arrivate in tempo, Rauschenberg, crea una serie di
Gluts con materiali presi da una discarica, e poi li posiziona, sospesi nel vuoto, sopra il palcoscenico. Sempre nel 1986 espone a Napoli in una personale da Lucio Amelio, e la sua opera
West go ho (Glut) entra a far parte della collezione
Terrae Motus. Nel 1988 Rauschenberg è stato insignito del
Praemium Imperiale, considerato il Nobel delle Arti, conferito dalla Japan Art Association. Nel 1997 il Guggenheim Museum di New York presenta la retrospettiva più importante dedicata all’artista.
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""OMAGGIO"" A Robert Rauschemberg.Con il massimo rispetto, lo ricordiamo come un monumento costruito con materiali d'"Arte", di "sensibilità" e di "originalità" estetiche poetiche "pure" e "straordinarie ", capace di saper "combinare", "sperimentare", "ideare" poeticamente. Va ricodata la "visita" fatta
nello studio di BURRI in una sua visita in Italia, da dove trasse molto da quelle opere
alle qiali s'ispiro moltissimo prima di arrivare alla Bienneale di Venezia. Ho un caro ricordo: alla "vernice" della sua personale a Forte Belvedere a Firenze; nella conferenza stampa (ero con Eugenio Miccini), alzai il dito per porgli una domanda, ma il coordinatore non mi scorse,il tempo era scaduto fummo invitai a passare a vedere la Mostra. Quasi a fine mostra, si avicinò accanto a me e ad Eugenio Miccini, col bicchiere in mano mi venne molto vicino, sorridente indicandomi la fronte...mi chiese: "ho notato iltuo segno con il dito che io ho visto bene...quale domanda volevi
farmi?",ecco la mia domanda: "come ci si sente ad essere nei primi posti della scala del mercato modiale dell'arte?". Proseguendo nel vedere le opere e parlottando con me e con Eugenio, sino alla fine del "percorso"...
salutandoci con una stretta di mano ci disse:
"essere primi nel mercato mondiale non
mi'interressa, vorrei essere nato In Italia, a Firenze per essere tra i grandi Artisti
l'Arte, è stata bella la tua domanda...la mia risposta è buona?" Con Miccini abbiano gli abbiamo risposto:"SI come le tue opere", ci siamo accomiati - con pacche sulle spalle e -
al saluot bay, bay, siamo usciti dalla bella e interessante esposizione.Una delle opere che mi è rimasta impressa: una "cariola" in ferro, da cantiere edile, usata (un rottame)con tanto cememento indurito sulla lamiera e un lungo tubo di gomma (in uso per
innaffiare), con una punta tel tubo infilata mel bracciolo destro della "cariola", e si snodava per tutta la sua lunghezza, circa 3 o 4 metri.
Vittorio Del Piano - TARANTO. Atelier MediterraneArtPura Taranto/Nizza.