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Per un’arte post-navigazione: intervista a Mara Oscar Cassiani
Personaggi
Mara Oscar Cassiani, artista e performer da sempre impegnata in un’indagine sulla contemporaneità e i suoi simboli, ha presentato Spirit x Roma nell’ambito di Digitalive, sezione di Romaeuropa festival dedicata alle arti multimediali performative, all’innovazione artistica e alla creatività emergente curata da Federica Patti.
Con Mara Oscar Cassiani abbiamo parlato di estetica e capitalismo e del suo lavoro Spirit, vincitore del Digital Award 2020.
La tua pratica artistica è sempre stata accostata all’idea di estetica Post Internet, che cosa ne pensi? Sono cambiate oggi le cose?
«La mia pratica è sicuramente un derivato del Post Internet, arte che nasce dopo l’esperienza di navigazione. Più che al post navigazione, è legata all’impatto che l’esperienza stessa della rete e del linguaggio nato al suo interno hanno avuto su di me. Parlo di iconografie vere e proprie sviluppate coscientemente dagli utenti, artisti e designer al tempo stesso, di cosa è diventata poi la rete o le applicazioni oggi. La vaporwave, ad esempio, che è stata fagocitata da tutto l’introito marketing per me era un luogo emotivo molto specifico. Nell’arte visiva, seppur con molte ritrosie, è stato dato uno spazio chiaro al linguaggio Post Internet, nell’arte performativa, invece, ci sono pochissimi esempi e tra questi pochissimi artisti nati veramente dentro la rete, che hanno attraversato i suoi cluster e ne posseggono i codici. Spesso viene fuori uno sguardo moralizzatore sulla rete piuttosto che la sua potenza di controcultura. Pochi giorni fa, in chat con un altro nativo dei cluster, si parlava delle estetiche nate esclusivamente dalle internet family e di come oggi si siano diffuse in modo completamente slegato e inconscio. Riguardo all’oggi – azzardo – mi dà fiducia il fatto che la contaminazione con il mio linguaggio e con la rete stia spostando i sistemi di riferimento per molti artisti e per molti studenti, ampliando finalmente non solo le grammatiche di composizione e stilistiche, ma anche contenutistiche».
Come è declinato il rapporto tra arte e tecnologia nella tua pratica, in particolare in Spirit il lavoro che hai presentato a Digitalive?
«Nella mia pratica non riguarda il rapporto diretto con l’hardware, il software o la macchina stessa, ma il linguaggio che ne deriva dall’impatto con questi; un luogo immateriale fatto di immaginari e filosofie che sono straordinariamente coincidenti con tutta la produzione della letteratura fantascientifica. In un lavoro come Spirit, il rapporto è completamente sublimato all’iconografia di questi medium. Ci sono riferimenti agli avatar e al nuovo folklore della rete, quali il “Techno Viking”. C’è la sublimazione di quello che era l’avatar sia in rete che nel videogaming, e un parallelismo con quelli che sono gli avatar nelle altre culture. Questi “Spiriti” vengono convogliati dentro Spirit ospiti della cultura rave e della sua coincidenza con la cultura dei carnevali sardi. Il concetto di avatar si estende in maniera coincidente in tutte queste culture, unitamente alla presenza forte del concetto di condivisione – di sharing- e di parassitismo capitalistico attuato dai brand nei confronti di queste figure».
Parlando sempre di Spirit, che cosa sono i riti oggi?
«La ritualità di oggi è molto simile a quella di ieri, ma è ovviamente spostata nelle sottoculture, e poi colonizzata dal marketing. In Spirit tento di ritrarli entrambi perché ormai sono inestricabilmente connessi. C’è l’invasione del branding, sono presenti loghi che sono arcaici e sono legati sia al folklore tradizionale che al nuovo folklore, gli elementi naturali legati a una spiritualità arcaica e che ancora ci condizionano. Immagini primordiali come il fuoco, il toro o l’acqua (che avevo usato in lavori precedenti, come Ed3n & The Perfect Life). Tutto questo viene riposseduto dal branding. Anche qui possiamo parlare di come il Post Internet e i movimenti digitali abbiano liberamente instaurato un rapporto provocatorio e bifronte, parassitando a loro volta il linguaggio del capitalismo stesso. La performance viene abitata da queste nuove divinità, i brand, che nella quotidianità non riusciamo a toglierci di dosso. Siamo talmente imbrigliati nella sovrastruttura che il branding è riuscito a creare dentro di noi, che l’installazione sembra talvolta lecitamente abitata dai suoi segni, portando alcuni a chiedersi se non ci sia veramente uno sponsor dietro. Esattamente come la rave culture e le sottoculture, anche la performance viene riposseduta dai segni del capitale».
Le tue performance sono costellate da segni forti che vengono dalla cultura contemporanea pop, che funzione hanno questi simboli oggi?
«Uso dei simboli propri della rete conosciuti solo dai nativi digitali e tutte le simbologie legate al colonialismo del marketing. Creano unione, il marketing ha, infatti, dato forma a un immaginario visivo così forte da poter unire le persone al di là della loro provenienza, età, genere o estrazione culturale. È una cosa che prima facevano le sottoculture che ora sono state colonizzate, ed era anticamente il ruolo dell’immaginario pagano e religioso.
Tutti questi segni oltre ad essere parte dell’installazione, diventano dei feticci dell’onnipresenti cultura del logo, del capitale e dei talismani pagani allo stesso tempo».
Support sas feminas de sa gang tua (Support your local girl gang) recita la maglia che indossate tu e le performer in Spirit…che cosa vuol dire posizionarsi in quanto artista donna all’interno del sistema delle arti performative in Italia?
«Support your local girl gang è diventato un leitmotiv del capitalismo che specula tanto su questo argomento. Il marketing riesce a essere sempre un passo avanti, ci studia attraverso la rete e capta le nostre esigenze ancor prima di noi. Abbiamo voluto mescolare il sardo e l’inglese perché in Sardegna (dove è nata la performance) non esiste questo concetto. È un’idea che appartiene al nostro passato matriarcale e che esiste anche nella rete dove esistono delle girl gang, in Italia al momento è tutto in stato embrionale.
Parlando del mio percorso biografico come autore con un nome femminile, faccio sempre molta fatica ad avere credibilità; non di rado vengo messa molto più in discussione di un autore maschile, anche meno preparato di me. I lavori di autori con nomi femminili diventano facilmente territorio di appropriazione, e qualche autore più o meno giovane incarna senza scrupoli la famosa frase “l’artista è ladro”. Il Post Internet è un linguaggio che permette l’uso di slogan che nel processo diventano universali appropriandosi del linguaggio del marketing; Support your local girl gang è un concetto fondamentale per rimpossessarci del nostro futuro non solo come genere femminile ma come genere umano perché siamo in una simulazione di patriarcato che sta fallendo ed è al limite del collasso. Sono molto felice che l’idea sia nata in Sardegna, che si poggia su una struttura patriarcale, ma ha anche delle figure matriarcali molto forti che purtroppo stanno scomparendo. Le maschere del Carnevale, ad esempio, le possono usare solo gli uomini, quindi con Spirit abbiamo già fatto un’operazione di appropriazione femminile avendo lavorato con un team prevalentemente di donne».
In Spirit lavori con un gruppo di performer, ragazze, che cambiano di città in città, sei reduce da un’esperienza di mentoring con giovani compagnie di studenti IUAV a Venezia nell’ambito del festival Il Divertimento de li regazzi curato dal collettivo Extragarbo e da una di mentoring presso Centrale Fies, che cos’è la trasmissione per te?
«Credo che la trasmissione sia una cosa importantissima, anche se non posso dire che nella mia vita farò il mentore, ancora non lo so. I movimenti artistici di cui sono parte possono avere un riscontro positivo sulla realtà e sono utili a mostrare alle nuove generazioni, come certe figure retoriche, accademiche, che magari non gli appartengono più o non rispecchiano la loro società, non siano poi vincolanti al fine della creazione di una propria grammatica. Le nuove generazioni sono sempre molto più connesse allo spirito del tempo e a una poetica di apertura, di conseguenza è importante anche la possibilità di aprirgli una ricerca al di fuori di certe poetiche polverose, per motivi temporali o grammaticali, lontane dalla realtà attuale».