C’è qualcosa di estraniante nella morte? In fondo, che c’è di strano a morire?
Nell’eterno passare delle cose, mentre tutto passa, condannato a un tempo bugiardo e a un ovvio destino, mi trapassa un’inevitabile domanda: ma Pio, dove sei, dove vai? Non mi hai avvisato, così improvvisaMONTI, come un astro ti sei spento, oltre il fiato.
Te ne sei andato.
Tutti hanno un racconto a cui legarti, quelli dell’Arte e dei dintorni più immediati e affezionati. Quelli che (anch’IO, con tutti gli apostrofi e le sue grammatiche) cercano oggi un rifugio, una quiete e una risposta nella memoria delle cose ricordandoti, in quella storia infinita che è l’Arte e che, come un atto unico, è stata la tua vicenda di mercante e gallerista.
Il primo, nell’avventura dell’Arte, animato da un ardore sempre acceso dove passato e presente hanno vissuto di contemporaneità, a fare i conti con le sue sfide, le sue benedizioni, con quel corpo a corpo quotidiano, quello di coniugare professionalità e strategie per vincere il provincialismo endemico di un’italietta un po’ cialtrona, praticamente un’enigma morale.
Tutta l’Arte ti sbircia da lontano come in una filigrana di fascinazioni e di emozioni, in un immaginario mai scomposto e mai banale, che trova ascolto nei molti riverberi per domandare e domandarsi.
Ti ha salvato una mirabolante dose di genialità, Pio caro, che hai coniugato con le stravaganze di una sintassi eclettica e provocatoria e una vitalità che non si è mai smarrita, trovando quegli “sconfinamenti” a te cari – aggiungo necessari – oltre il dosso di tutti gli infiniti, non solo leopardiani, per approdare a quella immortalità che, come le stigmate, non a tutti sono concesse.
Provvidenziale, dunque, e icona di una vita votata all’Arte, sei stato messaggero privilegiato tra i tuoi Monti e i tuoi Mari nel percorrere chilometri d’asfalto per stupirci sempre con l’atteggiamento rivolto a illuminare il palcoscenico dell’arte e, di riflesso, del mercato. Con il sorriso soddisfatto e complice di chi sa ridere del mondo, istrionico e garbatamente censore al tempo stesso, delineavi nelle dissertazioni più accese gli scenari irreversibili di talune realtà difficili, testimoni di situazioni culturali italiane, oggi ancora più statiche, come in un ingorgo, per esempio.
Sempre con l’incedere nel tuo invidiabile aplomb.
Vorrei rimandare il commiato, senza una conclusione vera e propria e solo intravedendo un’ombra….. ma …. ”Penso a te, liberato nell’aria, sciolto e rarefatto tra le nuvole del cielo e penso…..”. L’amico Guido Garufi, lo scriba di Macerata, mi viene incontro e mi suggerisce, per superare l’ostacolo dell’addio, l’immagine evanescente di una grande nuvola, poetica come l’eternità che ci eleva.
Ogni morte, che è la fine di ogni fine, termina con un amen.
Caro Pio, nulla è mai perso per sempre: rimani al centro della nostra scena, protagonista celebrato dell’avventura dell’Arte e dei suoi personaggi, tutti a braccetto con te, gli stessi che ti hanno frequentato e amato.
E con me, nell’atto di un saluto affettuoso, dialogante, sempre più metafora di me stessa, sempre aristocraticamente simpatizzante.
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