Sembrava di essere lì, in fabbrica. Di sentire l’odore del ferro, dei macchinari, dell’unto dei bulloni. Sembrava di vederlo l’operaio Alfonso, venuto su dalla Sicilia a Torino per lavorare alla Fiat. Vogliamo Tutto (Feltrinelli, 1971), libro cult che ho divorato a diciott’anni, è stato il rifiuto della meccanizzazione delle anime e dei corpi e l’urlo di battaglia del movimento.
Ma adesso la cosa che li faceva muovere più che la rabbia era la gioia. La gioia di essere finalmente forti. Di scoprire che ‘ste esigenze che avevano ‘sta lotta che facevano erano le esigenze di tutti era la lotta di tutti.
Così anch’io volevo tutto e – nell’avventura allucinata, mistica e realistica di trasformare il mondo – ho conosciuto Nanni Balestrini, che chiamerò qui con l’iniziale del suo cognome. Il primo incontro è stato con la scrittura, il parlato dell’operaio-massa, la caduta del congiuntivo e della punteggiatura. Poi, anni dopo, l’ho incontrato di persona con Gianni Sassi, Gino Di Maggio e gli artisti Fluxus che performavano nelle serate folgoranti di Milano Poesia. La sovversione del linguaggio con i suoi limiti è stata la strategia della guerriglia di B contro la società-spettacolo e la fakeizzazione del mondo. “La comunicazione non poteva più essere la stessa”. Ha saccheggiato disinvoltamente il parlato e ha rotto la sintassi buttando all’aria la lingua. I suoi libri, film e collage sono schegge di reale: ready-made su piedistalli alterni. Di lui Umberto Eco scrisse: “ha fatto un massacro di significati riciclati”. La parola per B è un fatto formale, sonoro e visivo, va trascinata libera nello spazio. È un’energia che schizza fuori dalla linea tipografica dell’ordine guttemberghiano del mondo. Artista, scrittore, attivista, editore e poeta, B evidenzia la gravità dei titoli di giornale e li fa fluttuare nel vuoto, rovesciandone il contesto. La parola si fa immagine e impone, contrariamente alla fugacità della notizia, la “presa visione di”.
Nanni Balestrini, 65000 Etudiants, 1972
La realtà nuda e cruda è quella che il lettore/osservatore deve digerire attraverso operazioni di détournement, ripetizione e troncatura di frasi. Di chi è la voce narrante? Chi parla dentro alle opere disorientanti? B si domanda: “Cosa accade alle parole quando più nessuna viene pronunciata o intesa come se fosse vera?”.
Nel 1987 pubblica Gli invisibili, il romanzo che colleziona – attraverso la vicenda di Sergio – le voci dei compagni del centro sociale di Tradate. Racconta l’atmosfera degli anni settanta, euforica prima e depressa poi, con le stesse parole, speranze e repressioni di una generazione cancellata che finisce a vomitare in cella. Come in Autoritratto (1969) di Carla Lonzi – ma realizzato in maniera estensiva nei rapporti di un’intera vita – posso affermare che l’autoritratto di B è quello di tutte le voci, le immagini, le vite, di coloro che hanno lavorato con lui.
In anticipo su tutti i tempi, nel 1961 realizza Tristano il primo poema sperimentale con il calcolatore elettronico IBM facendo combinare al computer – allora grosso come una stanza – una serie di versi. “Fu uno scandalo. In che modo una cosa sublime come la poesia poteva essere creata dalla macchina, che in verità non crea niente ma esegue solo passivamente delle istruzioni?” aveva dichiarato B.
Nel 2005, con le nuove tecnologie, pubblica finalmente 250 copie del Tristano, tutte diverse le une dalle altre, per DeriveApprodi. I frammenti di testo tratti da manuali, romanzi e feuilleton, sono ricombinati al computer in modo da creare libri unici ad personam.
Nel periodo della latitanza parigina – per supposti reati politici dai quali viene assolto con formula piena – realizza opere con i sacchetti della spesa, vivaci e menzogneri. Li mette a coppie specularmente sotto vetro. Li spiegazza deformando le immagini del capitalismo spicciolo. I soggetti dei collage sono molteplici, (articoli, pubblicità, fotoreportage, gossip), e subiscono tutti lo stesso destino: appropriazione, smembramento, divisione, ricomposizione. B non utilizza mai immagini di prima mano. Con un deliberato progetto di pigrizia preleva il già dato. Dal movimento, alla polizia, al terrorismo, all’arte antica, B analizza la contemporaneità shiftando tempo e spazio. Anni fa, riproduce il Dante Alighieri di Delacroix cambiando la dimensione dell’opera. “L’avanguardia” è la parola che taglia in due l’immagine. “Il sommo poeta – mi disse illustrandomi il quadro – è il primo membro del Gruppo 63 in quanto ha sovvertito il linguaggio attraverso lo stilnovismo”.
Le voci collettive che raduna con le riviste Quindici, Alfabeta e Alfabeta2 e i gruppi come i “Novissimi”, il “Gruppo 63” e il “Gruppo 93”, sono esperienze comunitarie alle quali B fa da miccia e da collante. Attento all’evoluzione di tutti i linguaggi, ricostituisce nel tempo nuove aggregazioni umane con le generazioni successive alla propria. Ai giovani lascia le Istruzioni preliminari e nuovi spazi poetici d’azione. I titoli e gli incitamenti balestriniani spingono le intelligenze a non rassegnarsi armandosi di cultura, bellezza e leggerezza.
2012 Kassel. Germania. Al bar del dopolavoro ferroviario, una televisione trasmette immagini oleose di catastrofi alle quali si alternano scene tratte dalla telenovela “Dallas”, dai Tg e da documentari. C’è una voce sinistra che pronuncia parole spezzate e incomprensibili.
Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice di dOCUMENTA13, ha invitato B a esporre Tristanoil, il film più lungo del mondo, un film che nessuno potrà mai vedere per intero: una proiezione senza fine che ricombina, attraverso il computer, scene da molteplici girati.
Un’irrespirabile Babele permeata da petrolio continua a dilatarsi come sangue infetto nel mondo globale.
Manuela Gandini