Sono shockata… sarò ancora più
shockata quando lo vedrò.
Una fan di Michael Jackson
intervistata dalla Bbc (25 giugno 2009)
Voglio trasformarmi in un mostro!
Michael Jackson al Telefono
con John Landis (1982)
Non è semplicemente un altro mito del pop che se ne va. A
detta di tutti – commentatori e spettatori – questo è stato il primo evento
globale collegato a una morte illustre. Per tutto ciò che incarnava, per i
record polverizzati e i ricordi cristallizzati. Michael Jackson non è stato
solo il primo artista nero a unificare le classifiche musicali (sì, fino a quel
momento erano divise) e a scalarle a ritmi vertiginosi, né solo il primo a
essere programmato regolarmente da Mtv. Non è stato solo colui che, nel ‘93, ha
persino ridefinito il Super Bowl come spettacolo mediatico contemporaneo che
comprende anche
al suo interno una partita di football, inaugurando ufficialmente l’era dello
Spettacolo contemporaneo [1].
Perché l’aspetto che salta più agli occhi a un pubblico in
qualche modo “esterno” come quello europeo e italiano è l’abbraccio paradossale
della comunità nera a un suo figlio che, sembrerebbe, in vita ha fatto proprio
di tutto per allontanare da sé e rimuovere le sue origini e la propria
identità.
In The Monster Show (1993), David J. Skal ha collegato l’ossessione di
Michael Jackson per la mutazione e la chirurgia estetica con le ansie profonde
che hanno attraversato gli esseri umani e i gruppi sociali del mondo
occidentale a partire dagli anni ‘80: “La fascinazione per il trucco
mostruoso andava di pari passo con quella per l’alterazione chirurgica, per
Jackson come per il suo pubblico, a quanto pareva. […] Forse non era
sorprendente che il divo di Thriller fosse intento a trasformarsi il volto in una
specie di teschio ambulante. Da certi punti di vista, la pelle bianco-osso, il
naso quasi scomparso e i capelli increspati lo apparentavano al Fantasma
dell’Opera di Lon Chaney. Il paragone è pertinente, perché sottolinea la
funzione culturale parallela di Jackson e Chaney: l’incarnazione di una
massiccia trasformazione funziona da metafora per un pubblico fondamentalmente
insicuro e timoroso sulle reali prospettive di cambiamento in una società
teoricamente mobile e priva di classi” [2].
In uno degli innumerevoli coccodrilli meta-filosofici e
para-metafisici scatenati dall’improvvisa scomparsa, invece, Bernard-Henri Lévy
spiega così l’autoesclusione e l’accanimento su se stesso del cantante,
descrivendolo plausibilmente come l’ultimo dei grandi dandy (nel solco decadente e funereo di
Barbey, Beau Brummel, Oscar Wilde):
visti come minacce ancora più grandi, come luoghi di ogni pericolo. Il nemico
intimo ma spietato, che la vita intera non sarà sufficiente per annientarlo o
domarlo. Anche qui, si sfiora appena la singolare avventura di Michael Jackson,
si sbaglia sulla folle metamorfosi che egli impresse al suo volto, non si capisce
nulla delle operazioni di chirurgia a ripetizione che egli si inflisse di
continuo, se riduciamo tutto a un fatto di pigmenti: razza, anti-razza, odio
di sé, mal-essere, sentirsi a disagio nella propria pelle, bla bla. Guardate
le sue foto. Osservate l’epidermide, effettivamente sempre più bianca, ma come
passata nella calce viva. Il naso ormai quasi inesistente, le labbra divorate
dall’interno, i pomelli smagriti come quelli di una maschera jivaro o di una
testa di Giacometti. Scrutate i suoi tratti assottigliati, la pelle ruvida, gli
occhi che sembrano stare al loro posto come un anello al dito di uno scheletro.
Considerate il restringimento – un filosofo direbbe questa époché – di un viso ridotto
alla sua più semplice inespressione e diventato il proprio sosia” [3].
Michael Jackson è stato (ed è ancora di più grazie
all’opera trasfiguratrice della morte e della metafora) una figura potentemente
auratica: con ogni probabilità, si trasformerà sempre più in un Elvis al cubo,
eccessi e misteri compresi – ed è interessante proprio questo continuo
confronto -, ad opera soprattutto degli opinionisti anglosassoni, tra il “Re
del Rock’n’Roll” e il “Re del Pop”, tra il 1977 e il 2009, come se anche la
tragedia mediatica non potesse essere esperita se non attraverso la
ripetizione. Inutile ricordare gli innumerevoli omaggi che anche l’arte
contemporanea gli ha riservato (su tutti, vale la pena di citare almeno Michael
Jackson and Bubbles
(1988) di Jeff Koons, e King. Portrait of Michael Jackson (2005) di Candice Breitz, passando per Banksy, Paul McCarthy e il “solito” Warhol).
Ma è stato prima di tutto un artista egli stesso: un
musicista e un ballerino rivoluzionario; e questo aspetto oscura tutta
l’attenzione morbosa rivolta alla sua eccentricità e ai suoi lati più
controversi. Una rivoluzione, la sua, non certo d’avanguardia,
pubblico elitario e a una sottocultura più o meno fortunata, ma rivolta invece
a una platea mondiale, e pop nel senso più alto e totalizzante del termine.
E, ascoltando bene a ventisette anni di distanza dalla sua
comparsa quel capolavoro che è Thriller, ci si accorge del senso profondo di un’operazione
riuscita stilisticamente a pochissimi altri dischi, e a nessuno in questi
termini di successo e di delirio di massa [4]. La collaborazione tra Michael
Jackson e il leggendario produttore Quincy Jones, infatti, riesce a portare la
sperimentazione new wave, il sound robotico e sintetizzato dei primi Ultravox di John Foxx,
degli Human League e di Gary Numan su un altro livello, fondendolo con la
ritmica nera in un mix innovativo e praticamente irresistibile.
È, a ben guardare, lo stesso procedimento che adotta John
Landis nello
storico video del singolo, costruendo – per la prima volta in assoluto – un
cortometraggio horror proiettato addirittura nei cinema di Los Angeles, insieme alla
riedizione di Fantasia di Walt Disney. Un cortometraggio che si ispira nostalgicamente, nella prima parte,
ai film da drive-in degli anni ‘50, e nella seconda parodizza i morti viventi
di Romero: “Con
la sua carnosa esibizione di spaventosi ballerini, Thriller fu una danse macabre quasi letterale
per i frenetici anni Ottanta, una svendita plurima di Hans Holbein il Giovane
da parte dell’industria dello spettacolo” [5].
Il tutto servito su un piatto d’argento a un pubblico che
più mainstream e trasversale allora non si poteva, e non si può a maggior
ragione oggi.
[1] Richard Sandomir, How Jackson
Redefined the Super Bowl, “New York Times”, 29
giugno 2009.
[2] David J. Skal, The Monster
Show. Storia e
cultura dell’horror
(1993), Baldini & Castoldi, Milano 1998, pp. 278-279.
[3] Bernard-Henri Lévy, L’orrore per la vita e il folle
sogno del dandy senza volto, “Corriere della Sera”, 30 giugno 2009.
[4] Silvia Maria Perfetti, Era come andare a spasso con
Gesù, “La Stampa”,
30 giugno 2009.
[5] David J. Skal, op. cit., p. 277.
articoli correlati
Michael
Jackson all’asta
christian caliandro
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n.
59. Te l’eri perso? Abbonati!
[exibart]
L’operazione internazionale Pandora VIII ha portato al sequestro di beni culturali per milioni di dollari: 85 gli arresti. In Italia,…
Cambi al vertice per la Fondazione Giorgio Cini di Venezia: Gianfelice Rocca e Daniele Franco sono stati nominati, rispettivamente, nelle…
Fine anni ’60, lenti rotonde blu, un regalo di compleanno improvvisato. Oltre mezzo secolo più tardi, da Catherine Southon Auctioneers…
Il regista scozzese Paul Curran porta al Teatro Greco di Siracusa una rivisitazione del mito di Fedra e Ippolito narrato…
La geometria incontra l'arte e la filosofia nella mostra presentata nell’ambito del festival Popsophia a Civitanova Marche: un viaggio alla…
Fino al prossimo 10 agosto il Museolaboratorio d’Arte Contemporanea di Città Sant’Angelo ospita il progetto "Alfredo Pirri. Luogo Pensiero Luce",…
Visualizza commenti
Ma quale icona artificiale?? Michael Jackson era piu' normale di quanto abbiano sempre voluto farci credere i media, che su questo, con una sorta di intimo gioioso sadismo, ci hanno campato per decenni.
Quale stravolgimento al volto??? Sicuramente il naso è stato più di una volta ritoccato, ma per il resto del volto.....guardate bene mamma Katherine o altri membri della famiglia Jackson: è talmente lampante la somiglianza!!
Piuttosto i cambiamenti nel suo aspetto sono avvenuti per opera di quegli accadimenti della vita che avrebbero inciso sul fisico, sull'anima e sulla mente di qualsiasi persona, e mi riferisco alle ignobili accuse, con conseguenze legali, riguardo le molestie a minori. Questo ha davvero agito sull' aspetto di Michael.
Cerchiamo di vedere le cose con un briciolo di intelligenza e non con la stupida meraviglia che vuole provocare la ancor più stupida notizia della folta schiera di detrattori pronti pero' a vivere sulle sue spalle.
perdonami celeste, ma guarda che lo stesso MJ alla BBC aveva ammesso di toccare i bambini (e mi fermo qui per orrore)...ma quali calunnie? ma sei sicura di aver guardato bene le ultime foto? le hai confrontate con le foto di Off the Wall? o di Thriller?
Senza togliere niente all'artista, l'uomo non ha retto quello che il suo talento gli ha dato.