In questa torrida e infuocata estate se ne è andato Edoardo Di Mauro a 64 anni, un amico, un compagno di viaggio. Il lavoro di Edoardo era sotto gli occhi di tutti: sempre attivo, acuto, generoso. Come quello profuso al MAU – Museo Arte Urbana di Torino, nato da passione e impegno derivanti dal suo mai tramontato interesse per le controculture metropolitane, per la street art e il graffiti-writing. Sempre in mezzo alla gente del Borgo Campidoglio, nel caleidoscopio delle pareti affrescate degli edifici, vero e proprio museo sotto il cielo di Torino.
Un critico militante, interessato ai giovani, osservati con la lucida lente del suo spirito critico, esercitato con la stessa tensione negli incarichi istituzionali che lo hanno visto pienamente protagonista: da condirettore dal 1994 al 1997 del GAM e dei Musei Civici di Torino, a direttore dell’Accademia Albertina di Belle Arti, dal 2020 al 2023, e docente di storia e metodologia della critica d’Arte.
Per le sue pubblicazioni – per nominarne alcune – si pensi a Vocazione e progetto edito da Prinp nel 2015, che ripercorre la storia dell’estetica dalla Grecia ai nostri giorni; ai saggi in catalogo di Va pensiero. Arte italiana dal 1984 a 1996, del 1997, nelle edizioni Pozzo, o anche Un’altra storia, del 2011, EMB edizioni. E altre ancora, naturalmente. Ma il ricordo si sofferma sul lascito prezioso delle sue qualità umane, come l’esattezza e il rigore dell’esposizione, che mi hanno sempre colpito, col suo piglio e il modo di affrontare l’uditorio; e dal punto di vista metodologico, la necessità di inquadrare coerentemente le vicende delle generazioni di artisti da lui seguite, partendo sempre dal tessuto ampio del contesto culturale e storico, con riferimenti e collegamenti preziosi.
Non ultimo, mi piace ricordare il lato giocoso della personalità che nelle tante tavolate emergeva con ironia e allegrezza, come quando una volta a Parigi si era tutti impegnati nell’allestimento di una mostra. E inoltre, non posso dimenticare l’amore per il calcio, per il suo Bologna.
La passione per l’arte è cosa rara. Edoardo Di Mauro l’ha testimoniata con reale coerenza. Per noi artisti resta un punto di riferimento, come la sua capacità di vedere lontano, come si evince da questa intervista a Juliet del 1999: «Il progressivo sfaldamento di quella civiltà industriale hardware caratterizzante lo spirito della modernità, la crescente diffusione delle nuove tecnologie, portatrici di un innalzamento del livello di qualità della vita ha generato, come inevitabile riflesso, la messa in discussione di numerose identità professionali insieme a un anelito di futuro, ancora indefinito ma ben vivo e presente. Si è notevolmente incrementato il tempo libero a disposizione di ognuno e le potenzialità occupazionali rispetto ad attività creative, e anche l’arte è stata ampiamente investita da questo stato di cose. Negli anni ’80, ad amplificare l’onda lunga determinata da queste ineludibili cause epocali ci mise del suo “l’effetto Transavanguardia”, cioè, al di là delle motivazioni teoriche che portarono all’ascesa di quel gruppo e, più in generale, dell’intero fenomeno del “ritorno alla pittura”, l’erronea convinzione, imperversante con effetti talora grotteschi nella giovane generazione di allora, di come tutto sommato il successo fosse alla portata di tutti, purché abili strateghi venditori di se stessi. Tuttavia gli anni ’80, se paragonati all’oggi (1999), furono una scena ancora non troppo inflazionata. Inoltre si manifestarono una serie di rinnovati fermenti creativi in parte contraddittori ma anche densi di positività disinibitorie rispetto all’esprimersi del proprio personale livello di protagonismo creativo, atteggiamento che trovava riscontro parallelo nelle profonde mutazioni sociali sopra citate».
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