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Ritratto del Museo di Capodimonte, con il direttore Sylvain Bellenger
Personaggi
Dal Palazzotto Borbonico, sede degli uffici amministrativi, vedo il grande edificio della Reggia-Museo di Capodimonte, curatissimi larghi prati e curvi viali, comode panchine e la camionetta dell’esercito che è lì, giorno e notte, di guardia. Affidatario di questo patrimonio di arte e bellezza, con annesso Parco, è il direttore Sylvain Bellenger. È in pausa-pranzo e l’incontro è “da Luisa”, l’ottima trattoria-pizzeria di fronte alla Porta Grande. Generalmente affollata di clienti, oggi non c’è quasi nessuno. È un mercoledì, giorno di chiusura del museo, risorsa culturale ma evidentemente anche economica di tutto il territorio e oltre.
Dalla caparbia Normandia alla paziente Partenope
Di Napoli, a Bellenger, piace quasi tutto ma certo non la lentezza burocratica, le stupide scritte sui muri, i mozziconi gettati a terra, le strade sporche, il trasporto pubblico carente e l’incuria del verde, che lamenta più volte. È appena tornato, appunto, da una spedizione nel vicino Giardino della Regina, «era secco e pieno di sterpi; lo abbiamo trasformato», per un’iniziativa realizzata con gli Amici di Capodimonte, Green Care ed Euforbia, la società che cura con successo il Real Bosco. Ora siamo a un tavolo all’aperto e della gente che passa si ferma sorridendo a salutarlo.
Lui ama Napoli e il suo amore per la città è ricambiato dalla stima dei napoletani, che lo hanno anche insignito di diversi premi (Green Care, Concetta Barra, Masaniello…) e, lo scorso anno, hanno firmato con entusiasmo una petizione, per chiedere al Sindaco, Luigi De Magistris, di renderlo cittadino napoletano. Ma l’incartamento giace, ancora là, in un ufficio comunale. Quindi, per ora, Bellenger ha soltanto la cittadinanza francese. «Sono un francese-normanno», precisa, facendo riferimento al fatto che i Normanni vennero a Napoli già mille anni fa e, per primi, fondarono un Regno nel Sud, unendo la Sicilia e l’Italia Meridionale. Ragione per la quale qui ci sono tanti occhi azzurri e capigliature bionde.
Bellenger è nato a Valognes, una piccola città in Normandia vicina al mare, e racconta delle sue cavalcate lungo quelle spiagge che videro lo sbarco dei marines americani. Poi il suo trasferimento a Parigi, la laurea in filosofia alla Paris X Nanterre e la sua conversione alla Storia dell’Arte, alla Sorbonne, dove conquista il dottorato. Da qui, dopo un’esperienza ai musei di Montargis, il suo primo incarico importante: quello di Direttore e Conservatore, con l’annesso Museo, del Castello di Blois, dove, durante il Rinascimento, abitarono i Re di Francia.
Poi l’estero: dapprima l’Ohio, dove diventa Direttore e Conservatore in Capo al Cleveland Museum e, infine, Chicago, dove, prima di trasferirsi a Napoli, era Searle Chair Curator del Dipartimento di Pittura e Scultura Europee Medioevali e Moderne presso The Art Institution, uno dei più importanti musei statunitensi.
Un curriculum di tutto rispetto, arricchito da diversi altri incarichi, collaborazioni e rapporti, per mostre o simili, con istituzioni culturali e personaggi importanti, in città europee e americane. Confessa di essere un impaziente, «Vorrei che le cose si realizzassero sempre in fretta», mi dice. Ma in effetti è capace di grande pazienza, dalla madre insegnante aveva imparato le regole di un certo contegno, quando era un ragazzino irrequieto, curioso e caparbio. E, guardando alla sua attività, ci si accorge che è ancora così: un «capatosta».
I progetti al Museo di Capodimonte
Ma Sylvain Bellenger si adatta alle circostanze cogliendone le opportunità e, se non c’è stato Il Luglio Musicale, ecco il successo del Napoliteatrofestival, che ha rivelato Capodimonte come una location adattabile a ogni tipo di spettacolo. Così ha da tempo aperto alla tecnologia più avanzata e, durante il lockdown, ha largamente sperimentato le opportunità del web.
Sul modo di condurre un museo ha idee ben precise. E considera suo compito anche donare ai visitatori del museo il piacere dell’arte. Sylvain Bellenger parte dal fatto che, se l’arte figurativa è contemplazione, come affermava Schopenhauer, bisogna innanzitutto guardarla «almeno per un minuto», dice. E, in tal senso, sono state attivate delle efficaci iniziative, che riprenderanno appena possibile. Per concentrare l’attenzione del visitatore con il progetto “L’opera si racconta”, viene allestita, in una sala del museo, una sola opera d ‘arte, scelta tra le 47mila della collezione, e quindi affiancata da documenti, musiche e altro materiale documentario per illustrarne il contesto. Un’altra iniziativa è quella degli “Incontri sensibili”, per la quale vengono accostate due opere, eseguite in tempi diversi, che illustrano lo stesso argomento. Così, tempo fa, è stata accostata una Sant’Agata di Francesco Guarino (1611-1651) al pupazzo di un corpo femminile, senza testa, né braccia, né gambe, realizzato da Louise Bourgeois (1911-1998). Due opere con uno stesso tema: la violenza contro le donne.
L’arte è vita e storia. Della Storia, Bellenger dice di ammirare i Romani antichi, che furono capaci di organizzare Stati e imperi e di costruire opere pubbliche e acquedotti. Per queste si servirono delle strutture ad arco, apprese dalla Magna Graecia (il primo esempio in Italia è ad Elea, la patria di Parmenide). E usate in abbondanza a Napoli, questa città che si regge su volte arcuate e sembra si regga sul nulla. Perché Napoli ha partorito se stessa, costruendo edifici con la sua stessa terra, cosicché il suo suolo non è la superficie di una dura materia ma un’intercapedine tra mondi e tempi diversi.
Le prossime mostre e le collaborazioni
In quanto a capacità di organizzazione, Bellenger certo ne è ben provvisto e vi unisce una grande capacità creativa, come dimostra anche la mostra “Napoli Napoli di lava, porcellana e musica”, visibile a Capodimonte fino all’anno venturo. Tra poco, vi saranno aperte le mostre da tempo annunciate, ora soltanto posticipate, di Vincenzo Gemito e di Luca Giordano. E, a settembre, si aprirà, nel Real Bosco, la chiesetta di San Gennaro, opera di Ferdinando Sanfelice, che ospiterà le decorazioni ceramiche di Santiago Calatrava, del quale sono ancora visibili le opere nel museo e nel bosco. Vi saranno poi le mostre dei contemporanei Paolo La Motta, Emblema e Diego Cibelli. E, ancora, quelle di Hans von Mareés e di Edgar Degas.
A proposito di Degas, Bellenger racconta un episodio che pochi conoscono. Il pittore ha soggiornato a lungo a Napoli, a casa del nonno Hilaire de Gas, il quale, come dice la minuscola, era di famiglia nobile e, per di più, ricca. Per cui, per non essere ammazzato dalla Révolution, era scappato a Napoli, dove abitava un bel palazzo a piazza del Gesù che i napoletani tuttora chiamano “’O palazzo ddò gas”.
Mi piacerebbe stare ancora ad ascoltarlo. Ma dobbiamo salutarci. Lui deve andare a lavorare in ufficio e, la sera, dovrà trovarsi ai Vergini, per siglare un accordo per mettere in rete il Museo di Capodimonte, il Museo Archeologico e le Catacombe di San Gennaro.