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09
febbraio 2015
Sissi/L’intervista
Personaggi
LA VITA INTENSA DENTRO E FUORI IL CORPO
Cuore, stomaco, ossa e sessi come “case emotive”. Così nasce l’anatomia immaginaria dell’artista
Cuore, stomaco, ossa e sessi come “case emotive”. Così nasce l’anatomia immaginaria dell’artista
Sissi alla conquista di Bologna. Per la sua prima grande personale in città, inaugurata nei giorni di Arte Fiera, l’artista è protagonista di un esperimento espositivo diffuso, che ha portato le sue opere all’interno dei templi sacri della cultura bolognese, tra Palazzi rinascimentali, Musei Civici e Biblioteche storiche. E proprio Sissi ci conduce in questo viaggio alla scoperta della sua intimità creativa, che ha dato vita a un’arte “enciclopedica” divisa tra tavole anatomiche, archivi di pelli e di abiti, libri scientifici, lavori video e performance. Ecco, come lei racconta il suo lavoro.
Definire Manifesto Anatomico una semplice mostra è fare un torto a un progetto espositivo complesso e articolato, uno splendido omaggio che Bologna rende alla tua creatività. Come potremmo spiegare meglio questo circuito espositivo di cui sei protagonista?
«Manifesto Anatomico si presenta come una mappa corporea costruita per capire quello che siamo e dar voce ai fondamenti del nostro corpo, una mappa che collega cinque corpi/spazi espositivi: quattro musei/corpi più il mio».
Partiamo allora dal primo di questi corpi/spazi: il Museo di Palazzo Poggi, storica sede delle raccolte universitarie. Tra i mirabilia cinquecenteschi e le famose cere anatomiche, hai scelto di esporre qui Anatomia Parallela, un progetto che si divide in un libro d’artista (Anatomia Parallela I) e in un nucleo di sedici tavole (Anatomia Parallela II), accompagnato da una video-animazione intitolata Animatomie.
«Anatomia Parallela è un progetto che seguo da molto tempo. Possiamo definirlo come un vero e proprio trattato di anatomia emotiva e immaginaria, descritta scientificamente, che ho studiato e formulato negli anni, adattandola al mio corpo».
Quando hai iniziato a scriverlo?
«Ho incominciato nel 1999, come tesi di laurea durante gli anni dell’Accademia, e poi, piano piano, il testo si è evoluto fino a diventare un vero e proprio libro d’artista, che è Anatomia Parallela I. Uno proprio perché è il primo volume di altri che seguiranno, e che ho redatto in cinque edizioni, di cui una a breve sarà esposta anche al MAMbo. Anatomia I è dedicata agli organi cavi del nostro corpo, che io chiamo le nostre “case emotive”: cuore, stomaco, ossa e sessi. Queste sono gli appartamenti degli apparati organici, e sono strutturate da una continuità di organi e ossa. Il loro compito è quello di discutere della responsabilità della riproduzione, atto che può avvenire solo dopo che l’Uccello Semantico, grazie al piacere procuratogli da quegli strumenti particolari che sono le Lingue Semantiche, si rende disponibile alla fecondazione e alla coltivazione dello Zigobulbo, che cresce nutrito e protetto in quella base di piacere che è poi la Cavità Uterina. Nel secondo volume, Anatomia II, la mia attenzione si sposta dall’idea dell’interiorità del mondo organico a quella di superficie, della pelle e del rapporto con l’altro. Per il momento Anatomia II è ancora in fase di costruzione, e si compone delle sedici tavole esposte al Museo di Palazzo Poggi».
Se per Anatomia Parallela hai scelto una luogo “neutrale”, la Sala di Susanna, vuota e dedicata solo alle tue opere, volendo mantenere un rigore scientifico e non mescolando la tua scienza con le altre presenti a Palazzo Poggi, per la video-animazione Animatomie hai invece preferito la strada del dialogo con le ceroplastiche degli “Spellati” di Ercole Lelli (1702-1766), all’interno della Stanza di Notomia.
«Animatomie è un’animazione stop-motion di 3 minuti che ho realizzato nel 2013, in cui una serie di disegni illustra un ciclo di cinque lezioni sulla manipolazione del corpo attraverso gesti simbolici di vestimento e travestimento. Animatomie rappresenta l’interiorità che veste l’esteriorità, e racconta come grazie al nostro interno il corpo si veste di nuovo, influenzato a sua volta da ciò che lo circonda. La pelle è la nostra frontiera corporea, un bosco pieno di sinapsi che captano gli stili e trattengono gli impulsi».
Dalla pelle al vestito il passo è breve. Al Museo Archeologico, infatti, esponi il tuo archivio tassonomico di pelli, abiti e materiali, i “Gispodelli” come li hai definiti.
«Gli stili captati e gli impulsi trattenuti dalla pelle cerco di catalogarli, per capire come qualsiasi movimento esterno sia trasformato e mutato dal nostro corpo. Gli stili e gli impulsi prendono una forma precisa e si trasformano in vestiti, classificati e catalogati in 20 famiglie immaginarie dotate di nomi propri e specifiche caratteristiche di riconoscimento. Nascono così gli abiti-sculture, gli abiti per tutti i giorni, gli abiti per le performance».
E proprio la tua performance all’Archiginnasio è stato uno degli eventi più seguiti di questa Arte Fiera. Una fila interminabile di persone ha cercato di assistere alla nuova tappa del tuo Anatomia Parallela Tour. Come nasce l’idea di un tour di lezioni di anatomia da portare in giro per l’Italia?
«Le mie performance sono un omaggio a Laura Bassi, scienziato bolognese del XVIII secolo, che è anche stata la prima donna a intraprendere una carriera accademia e scientifica in Europa e la prima donna al mondo a ottenere una cattedra universitaria. Anatomia Parallela tour è un vero e proprio ciclo di lezioni universitarie, che porto in giro nei teatri anatomici d’Italia, in cui espongo e argomento le mie teorie, proprio come Laura Bassi faceva a suo tempo».
Il tuo corpo e la sua anatomia, quindi, sono l’oggetto reale di tutta la tua ricerca scientifica/artistica?
«Mi piace immaginarmi come indagatrice e quindi come scienziata di un universo immaginifico che ha dato forma a una ricerca che esiste ed è da me ormai interiorizzata. Il mio vissuto, il mio essere rimasta orfana e l’aver dovuto fare tutto da sola nella mia vita, mi ha permesso di costruirmi un mondo tutto mio, un universo unico, la mia esperienza di vita che rivive poi in Anatomia Parallela. Nella sezione di Manifesto Anatomico intitolata Confronti e ospitata sempre all’interno dell’Archiginnasio, ho voluto proprio spiegare come nasce il mio lavoro di ricerca. Mi sono ispirata ai testi scientifici e alle tassonomie cinquecentesche, agli studi di Ulisse Aldrovandi, in particolar modo, che leggevo e studiavo da piccola. I suoi fossili, nella mia tassonomia diventano i “morsi del tempo”: cere, legni, oggetti, costruzioni – che in realtà poi sono tutti piccoli prototipi di lavori che eseguo dal 1999 a oggi – sono accostati nella stessa teca con i “limi pietrificati” descritti da Aldrovandi, seguendo il suo principio di catalogazione nei quattro mondi: minerale, vegetale, animale e quello artificiale, delle cose fatte dall’uomo».
Quello che hai costruito nel tempo e che ritroviamo in Manifesto Anatomico potremmo definirlo una sorta di archivio della creatività?
«L’idea dell’archivio per me è una cosa molto importante. L’archivio è un modo per stabilire un punto fermo nella mia ricerca, che di per sé è libera di fluire in aria come fosse un aquilone. Ecco, la mia pratica archivistica e catalogatoria rappresenta proprio questo punto fermo, queste radici salde nel terreno. Così anche la mia passione per lo scrivere. I libri sono una forma di catalogazione. La mia è una vera ossessione per lo scrivere, per raccontare, per fare libri. E non è solo il caso di Anatomia Parallela. A casa ho un’enciclopedia di libri, di diari, di fotografie, di disegni: elementi che mi costruiscono come delle vertebre, che mi costruiscono come dei mattoni per una casa, che nel loro insieme rappresentano la mia opera di vita. I miei diari, quelli li esporrò per ultimi, alla fine del percorso creativo, perché loro sono proprio tutto il mio immaginario».
Infine, Manifesto Anatomico continua all’interno delle Collezioni Comunali d’Arte in Palazzo d’Accursio con l’installazione Apparati di un discorso organico (2014) e il toccante Il naufrago: ondeggia ubriaco perdendo la testa (2012).
«Apparati di un discorso organico sono tre strutture di ferro di dimensioni diverse che rappresentano tre idee di corpo differenti e in cui espongo ceramiche, tele dipinte e ricamate, abiti con prolungamenti scultorei e disegni di grandi dimensioni. L’intervento è pensato per rappresentare una sorta di piccolo museo di Anatomia Parallela, mettendo in scena degli oggetti con cui il mio concetto anatomico è affiorato nel tempo. Il naufrago ondeggia ubriaco perdendo la testa, è un lavoro che ho fatto nel 2012. Passeggiando sulla spiaggia, un giorno ho visto sul bagnasciuga un ammasso di legni, le cui forme erano state lavorate dalla mano artigiana delle acque. Nel mio immaginario, questi sono diventati come delle ossa, dei resti umani di un naufrago sconosciuto, di un corpo abbandonato e perduto che è tornato a me. Ho iniziato a vedere ai miei piedi un bacino, uno sterno, delle costole, delle falangi, delle falangette, un metacarpo. Non ho però ritrovato la testa. E quindi probabilmente perché questa forma-informe che ho ritrovato rappresenta l’istinto materico, l’inconscio, l’emotività, che si muove dentro di noi quando la andiamo a sollevare, come un po’ il fondo del mare con le correnti. Dopo anni, ho riconosciuto nel naufrago il corpo di mio padre che è tornato a me, nella sua dimensione emotiva, il perduto che diventa essere cosciente e riconoscibile».
Bologna ti celebra nel suo momento di maggiore visibilità per il mondo dell’arte. Che rapporto hai con la tua città?
«Nonostante io sia bolognese, qui non ho mai avuto una mostra personale. È la prima volta per me. Eppure Bologna entra nella mia opera in maniera decisiva. Come ho scritto in un recente articolo per il ‘Corriere della Sera’, per me entrare a Bologna equivale a diramarsi in due percorsi arteriosi porticati che ti portano fin alla sua vetta più alta, quella cima della città che è il santuario di San Luca. Entrare al suo interno, arrivare nel suo centro, nell’epiteliale tessuto del cuore che si dirama in diversi echi e sentimenti. Tutti i suoi luoghi assumono per me una forte valenza anatomica».
Cosa è rimasto oggi di quella giovane studentessa che ha perso il treno? Ci sono ancora le sue tracce nei tuoi lavori?
«A quei tempi, ero nella prima fase della mia nascita, ero un feto, una mappa materica di Totopotenti. Le cellule Totopotenti, sono le cellule all’inizio della loro evoluzione, che possono diventare qualsiasi cosa. Per questo creavo sempre dei nidi, degli anfratti, delle case, degli uteri dove mi inglobavo dentro, rifugi contestualizzati al design dei luoghi in cui mi trovavo: una volta un lampadario, una volta una ghiacciaia, una volta una foglia sul lago, una volta una scala. Vivevo quella fase che Renato Barilli ha poi definito della pratica dello “scooby-doo”. Poi il tempo passa, e con le gabbie metto fuori i denti, le ossa, quindi inizio a essere un po’ più vertebrato, come una farfalla esco dai nidi, che lascio e abbandono a ogni nuova trasformazione. Tutti noi ci lasciamo dietro le tracce delle nostre vite passate. Oggi, io sono fuori da quest’idea di corpo e lo posso raccontare agli altri con i miei libri e le mie lezioni, cosicché tutti possano sentire e sentirsi, possano imparare a conoscersi e a conoscere questo corpo emotivo che sta fuori da noi».
Ora Sissi è una creatura matura e pronta a insegnare al pubblico a sentire se stesso. Ma chi sono stati i maestri di Sissi?
«Ho già citato Barilli, che è stato uno dei miei maestri e che stimo tantissimo. Come stimo anche Cristina Francucci, che è stata la prima a chiamarmi Sissi. Allora ero poco più che una bambina di sedici anni che frequentava già l’Accademia di Belle Arti. Era inevitabile che ne divenissi un po’ la mascotte. Ho decisamente anticipato i tempi, forse ho finito troppo presto, e allora devo ringraziare anche Roberto Daolio che mi ha seguito, che mi ha fatto fare dei progetti a Parigi in Erasmus, le prime performance come Daniela ha perso il treno; e torniamo così agli anni in cui nasce la mia tesi Anatomia Parallela, di cui parliamo oggi, un percorso che per anni ho tenuto sotterraneo, come un fiume che scorreva, come una Circolatotopica Sanguipeta».
Quale sarà la tua futura evoluzione?
«La prossima volta vorrei unire tutto in un’unica opera. Vorrei creare un unico grande insieme in cui tutto verrà orchestrato da una voce, da un corpo-abito, una forma universale, una forma performativa che coinvolge tutti quanti i miei lavori. Potrebbe essere una bella sfida. Voce, corpo, abito, pelle, tela, disegno, parola, installazione, suono, danza tutto insieme».
Leonardo Regano