Categorie: Personaggi

SLOW FUTURE |

di - 8 Maggio 2008

Ne La forma del futuro hai inventato nuovi termini per designare oggetti di design, come gizmo (“gingillo”) o spime, seguendo l’intuizione che nuovi concetti richiedano un nuovo linguaggio. Secondo te, quali conseguenze avrà l’intero processo da te descritto sulla nostra percezione degli oggetti, degli oggetti di design e, in particolare, delle opere d’arte?
Le opere d’arte -o, piuttosto, le opere d’arte museali– sono pionieristiche nella transizione che ho descritto in quel libro, La forma del futuro. Ampie risorse informative sono dedicate ai pezzi da museo. Innanzitutto, possiedono un’autenticità documentata e archiviata, che certifica dove sono stati fatti, quando sono stati fatti, da chi, la loro composizione materiale ecc. Poi sono sottoposti a controlli dell’umidità, dell’illuminazione, sono circondati da sistemi di sicurezza, e sono dotati di un archivio dei restauri e dei cambiamenti subiti. Certo, la cura museale è costosa perché non è automatizzata. Ma se lo fosse, e le cure museali fossero tanto economiche da poter essere estese radicalmente a tutti gli oggetti, allora avremmo un mondo differente.

Come puoi definire la nuova materialità dell’arte digitale?

Ci sarà sempre qualche differenza tra il virtuale e il reale, ma più il tempo passa più noi ci abituiamo e ce ne preoccupiamo sempre meno. Per esempio, quando dico che ho comprato un libro d’arte su Amazon, dico che ho comprato proprio un libro d’arte su Amazon, non la sua immagine o i suoi dati. Ma naturalmente non possiedo quel libro fin quando il corriere non me lo porta. Se poi io rivendo quel libro su Amazon quando ho finito di leggerlo, posso dire di aver avuto un’esperienza artistica in cui la mia relazione con l’oggetto è stata principalmente digitale. Era reale e materiale solo durante il breve tempo della mia lettura. Ma probabilmente non dirò che ho fruito “una nuova digitalità dell’arte materiale”. È solo il modo in cui vivo. Perché collezionare e mettere sugli scaffali di casa i libri quando posso semplicemente “afferrarli” dalla rete? In modo simile, l’arte digitale non deve rimanere “dietro lo schermo”. Pensa al libro, al DVD, al souvenir, alla T-shirt, agli “ancillary collectibles” (come l’industria di Guerre stellari ama definire questa tipologia di oggetti): l’arte digitale non deve essere puramente digitale più di quanto i film non debbano essere puri film.

Ti sembra che il territorio dell’arte contemporanea si stia gradualmente fondendo con quello del design? O, al contrario, che l’arte si stia dissolvendo, lasciando i suoi aspetti fisici e materiali al design e ad altre industrie culturali?
Credo che questo problema della fusione tra territori sia universale in una società pesantemente interconnessa. Non è solo l’arte che diventa design (o viceversa). Anche la scienza diviene indistinta. Una volta c’era molto dibattito attorno alla “scienza pura” o alla “matematica pura”; esse erano avventure intellettuali all’interno di un regno culturale chiuso. Questo oggi non accade più. Abbiamo una cultura convergente in cui le barriere tra le varie discipline stanno scomparendo. È facile interpretare tutto questo come un processo di commercializzazione strisciante: l’arte diventa design, che è “arte commerciale”, mentre la scienza diventa “ricerca e sviluppo”, la serva dell’industria commerciale… Ma non si tratta solo del denaro. Se guardi nei posti giusti, puoi vedere il territorio dell’arte contemporanea fondersi con quello della scienza contemporanea. O puoi scoprire il “design critico”, che è design come intervention-art politica. O puoi semplicemente usare i motori di ricerca di Internet, che ti lanceranno ad alta velocità da una disciplina all’altra.

Come puoi sintetizzare l’interazione, futura e presente, tra arte e tecnologia?
L’arte può essere un laboratorio per l’adattamento sociale della tecnologia. La tecnologia fornisce l’hardware di cui l’arte si appropria. Un artista che vuole sintetizzare la tecnologia la dovrebbe trattare come una fonte di approvvigionamento per l’arte. Essa non è arte; i materiali forniti sono difficili da padroneggiare e molti di essi sono assurdamente costosi e francamente inutili. Ma una fonte di approvvigionamento è una cosa utile da avere vicino per un artista. Un tecnico dovrebbe trattare l’arte come una cura per la sua “workaholic naïveté“. Se non esci ogni tanto dal laboratorio e non fai respirare il tuo cervello, rischi di trasformarti a tua volta in un apparecchio.

Che opinione hai dell’arte contemporanea? Essa influenza in qualche maniera il tuo lavoro di romanziere e di saggista?
Beh, ovviamente sono un appassionato di arte elettronica, arte digitale e net.art, perché questi sono gli artisti che incontro agli eventi di cultura digitale. Sono un critico, quindi leggo la critica d’arte. Sono anche un futurologo, perciò dedico molta attenzione all’arte storica e ai trend di lungo termine nel mondo dell’arte. Gli artisti non sono così inflessibilmente trendy come i designer, ma imparo lo stesso molte cose da loro. Considero uno come Damien Hirst una figura rilevante, non solo per quello che fa, ma per come la gente reagisce a quello che fa. Los Angeles ha una scena “pop surrealista” regionale che mi ha interessato per un lungo periodo. Inoltre, si può imparare moltissimo sul Giappone contemporaneo dalla scuola artistica Superflat.

La tua interessante idea di un'”Internet di cose” sembra perfettamente speculare a ciò che Chris Anderson ha definito “la coda lunga“, e sta avendo un impatto simile sul mondo culturale. In che modo questi nuovi sistemi complementari cambieranno la nostra percezione della realtà?

Il sintomo del cambiamento saranno le parole. Una percezione modificata della realtà richiede nuove parole che non erano presenti nella vecchia realtà. Queste parole non devono necessariamente durare a lungo. L’autostrada dell’informazione (“Information Superhighway“) è già defunta. Ho cominciato ad avvisare la gente che la parola “weblog” scomparirà presto. “Coda lunga” significa un fenomeno reale che riguarda il commercio quando lo scaffale non è più un limite fisico e i consumatori non hanno più barriere per entrare nel mercato.

Pensi che la disponibilità infinita e l’accesso immediato a oggetti, informazioni e prodotti culturali possa avere un impatto negativo sulla formazione di un gusto critico?
Questo è un argomento aristocratico, ma la risposta è sì. Se sei un aristocratico, è una cosa davvero negativa che ogni plebeo possa avere la sua fotografia e scattarla con la sua macchina, invece dei costosi quadri dipinti ad olio come uniche immagini pubbliche di te e dei tuoi ricchi amici. Praticamente ogni istantanea Polaroid era di “cattivo gusto” se comparata agli squisiti ritratti di John Singer Sargent, ma entrambe queste pratiche artistiche oggi sono morte. Il ritratto ad olio morì per la trasformazione politica, mentre la Polaroid è morta per una trasformazione tecnologica.

In che modo il mondo attuale realizza le idee anticipate dalla letteratura cyberpunk?
Ci sono migliaia di idee nella letteratura cyberpunk; alcune delle più interessanti e utili sono abbastanza vecchie e prese a prestito da altra gente. Non è sorprendente oggi scoprire che Internet ha molta importanza, e che la cultura è sempre più globalizzata. Ma nel 1983, era qualcosa di sconvolgente per alcuni. Sono sempre sorpreso dal numero di persone che incontro che mi dicono di aver letto il cyberpunk venticinque o trenta anni fa, e di aver fatto qualcosa di completamente diverso con le loro vite in seguito a quelle letture. Il cyberpunk non era poi granché nel predire il futuro, ma certa gente l’ha letto e ha immediatamente abbandonato il passato.

Pensi che, in questi ultimi anni, stiamo affrontando una grande trasformazione antropologica? Stiamo forse vivendo una vera rivoluzione in grado di cambiare le nostre vite, e non solo la nostra tecnologia o il sistema dell’informazione?
È facile dire cose di questo tipo, ma quest’anno, il 2008, non mi sembra poi un anno così rivoluzionario, trasformativo. Invece c’è il senso di un mondo impotente, ancien régime, che sta lentamente morendo. Ho visto alcune grandi trasformazioni: il 1968, il 1989. Un’altra non mi sorprenderebbe. Esse non sono mai solo tecniche, solo comunicative, solo antropologiche. Un cambiamento veramente grande non bussa alla tua porta, la sfonda. Non puoi dubitare neanche per un istante che stia accadendo.

Ne La forma del futuro hai proposto la definizione di “design fiction” per i tuoi romanzi recenti, come categoria separata dalla comune letteratura fantascientifica. Qual è l’interazione tra il tuo lavoro narrativo e quello non-narrativo? Qual è il soggetto del tuo prossimo saggio, e del tuo prossimo romanzo?
È una cosa che mi aiuta pensare a ciò che scrivo come “design fiction“. I lettori, gli editori, gli agenti non riconoscono la differenza. Perciò non direi si tratti di una “categoria separata”. Neanche il cyberpunk è una categoria separata; la gente che legge cyberpunk sa che è fantascienza, solo che c’è qualcosa di diverso, un’altra sensibilità. Lo stesso succede con la design fiction; è fiction con un pensiero design e valori design; è pop design, nel modo in cui la fantascienza è scienza pop. Il mio prossimo saggio uscirà su “Metropolis” (un magazine americano di design): parla del movimento Slow Food. Sto progettando un romanzo di fantascienza ambientato nell’Europa del futuro. Penso che tratterà di una rivoluzione. Non del tipo che fallisce, ma del tipo che vince.

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a cura di christian caliandro


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 49. Te l’eri perso? Abbonati!

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