Categorie: Personaggi

Speciale Biennale/Parlano gli artisti del Padiglione Italia

di - 25 Marzo 2013
Francesco Arena è tra i quattordici artisti chiamati da Bartolomeo Pietromarchi nel progetto Vice Versa del Padiglione Italia per la 55ma Biennale d’Arte di Venezia. Nel suo lavoro la riflessione che spesso scaturisce dall’analisi di storia, origine e memoria – fatti, eventi, ricerche d’archivio o ricostruzioni storiche – si trasforma in materia scultorea che si predispone ad accogliere suggestioni e dispositivi interpretativi Poi la materia prende distanza dalla narrazione per costituirsi dentro una dimensione autonoma, in una rinnovata matrice plastica e simbolica.
Le parole con cui risponde alle domande di questa intervista, puntuali ma sintetiche, stanno in un rapporto di similitudine spontanea con il suo metodo di lavoro: asciutto e rigoroso, rispondente ad uno sguardo che taglia e riorganizza gli eventi per passi, anni, ore o giornate.

Vuoi raccontare qualcosa di te e delle esperienze più significative che hanno preceduto la tua chiamata per il Padiglione Italiano alla 55ma Biennale di Venezia?
«Sono nato nel 1978 in un paese della provincia di Brindisi, vivo in provincia di Bari in continuo movimento con mia moglie e mia figlia. Dal 2004 lavoro con la galleria Monitor di Roma, ho esposto in diversi musei e fondazioni italiane, Nomas Foundation di Roma, GAMeC di Bergamo, Castello di Rivoli, Triennale di Milano, Palazzo Riso di Palermo, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino; nel 2012 ho tenuto una mostra personale al Museion di Bolzano-Bozen, nel 2010 al De Vleeshal di Middelburg in Olanda e all’inizio di quest’anno al Frac Champagne-Ardenne di Reims in Francia, queste due ultime istituzioni ora producono un libro sul mio lavoro degli ultimi otto anni».
A proposito di monadismo familiare e professionale, dove sei ora e perché?
«In questo momento sono a New York grazie alla borsa di studio del dell’omonimo Premio. Sono arrivato l’1 dicembre e ripartirò il 31 marzo».

Cosa hai provato e pensato quando sei stato chiamato tra i 14 artisti per il Padiglione Italia?
«Ho pensato che fosse una bella cosa, il progetto di Bartolomeo Pietromarchi mi sembra interessante, lo spazio è molto intenso ed essere affiancato a un maestro come Fabio Mauri per me è un onore».
Hai già lavorato con Bartolomeo Pietromarchi e con Massimiliano Gioni?
«Pietromarchi in passato mi ha invitato a partecipare a diversi progetti, con Massimiliano Gioni non ho mai lavorato».
Quali sono le tue aspettative, quali ritieni possa essere l’esperienza, il valore e le conseguenze di questa tua partecipazione alla Biennale di Venezia?
«Partecipare al Padiglione offre a un artista una grande visibilità, tutti vanno a vedere la Biennale di Venezia, per esempio qui a New York c’è grande attesa per la mostra. Qualche settimana fa c’è stata la presentazione del Padiglione presso l’Istituto Italiano di Cultura: c’era moltissima gente, ponevano molte domande. Penso che ciò sia in parte dovuto anche alla nomina di Massimiliano Gioni a curatore della mostra della Biennale di Venezia. In questo momento sono concentrato sulla concretizzazione del mio progetto per il Padiglione, la mia aspettativa è quella di riuscire a realizzare ciò che ho pensato».


Come interpreti il progetto e la complessità delle chiamate per il Padiglione Italiano? Vedi un disegno, ritrovi un pensiero, senti delle similitudini o al contrario delle contrapposizioni?
«Mi sembra che il curatore del Padiglione abbia spiegato molto bene il perché delle scelte fatte, come gli artisti sono stati accostati, ritengo sia un pensiero lucido, necessario in questi anni di marasma che il Paese attraversa».
Entriamo nello specifico del progetto di Bartolomeo Pietromarchi che ti ha voluto accostare all’opera di Fabio Mauri. Che tipo di relazione ti aspetti o vorresti?
«Fabio Mauri, un artista fondamentale per l’arte italiana post seconda guerra. Una certa riflessione sulla memoria e i suoi meccanismi e sul rapporto tra l’individuo e la storia sono dei punti che avvicinano i nostri lavori pur nella rispettiva differenza».
Come potresti descrivere il tuo lavoro o meglio come definisci il tuo interesse e il centro del tuo lavoro?
«Mi definisco uno scultore perché il mio lavoro ha al centro una forma chiusa, un nocciolo, nel quale ciò che vedo e percepisco precipita collassando con altre fonti e suggestioni».


Hai già qualche idea rispetto al progetto per la Biennale? Vuoi raccontarne qualche spunto o suggestione?
«Il progetto per il Padiglione è pronto, in questo momento sono alle prese con il reperimento dei materiali. Venezia è una città che comporta particolari problematiche in fatto di logistica. Preferisco lasciare che l’opera si sveli a fine maggio ad apertura Biennale».
Materiali, allestimenti, contributi, rimborsi … È partito un progetto di crowdfunding per la realizzazione dei vostri progetti nel Padiglione italiano. Significa dunque che non avete a disposizione il budget che assicuri la produzione delle vostre opere o la realizzazione del Padiglione nella sua complessità, dall’allestimento al catalogo passando per la comunicazione, necessita di un ulteriore sforzo finanziario. Cosa ne pensi?
«C’è un budget, ma non è sufficiente a coprire tutte le spese. Comunque ogni artista ha un budget per la produzione dell’opera e in caso di produzioni con costi più elevati ci saranno degli aiuti esterni. Mi sembra che sia sempre stato così, nella Biennale ma anche a Documenta, anche nelle grandi mostre spesso le opere vengono prodotte dai supporter dell’artista – gallerie o collezionisti –  perciò la cosa non mi sorprende affatto. Se non fosse così sarebbe impossibile realizzare questi grandi eventi».
Ritieni dunque che le gallerie, dove possibile, debbano essere un aiuto per gli artisti chiamati? E nel caso di assenza di gallerie di riferimento?
«Ritengo che le gallerie debbano assolutamente sostenere i propri artisti, nel mio caso ho sempre avuto tutto il supporto possibile dalla galleria che mi rappresenta. Per coloro che non hanno una galleria ci sono altre modalità di supporto: una raccolta fondi, collezionisti, fondazioni. Nel mio caso lavoro sul budget della Biennale, la galleria e sponsor privati».
Sei a New York. Da questa tua seppur momentanea localizzazione come leggi il sistema dell’arte italiano?
«Mi sembra che ci siano segnali preoccupanti di un avanzato stato di pericolo nel quale versano alcune istituzioni la cui storia e valore culturale evidentemente non interessano ai referenti politici che dovrebbero occuparsene».
Cosa significa – se per te significa qualcosa –  essere oggi un artista italiano?
«Significa essere quello che sono con il mio modo di guardare il mondo, percepire quello che mi è attorno e rimandarlo fuori».
Come potresti descrivere il tuo rapporto con la storia?
«Naturalmente contraddittorio».

Laureata e specializzata in storia dell’arte, docente, critica e curatrice. Mi interessa leggere, guardare, scrivere e viaggiare, fare talent scout, ascoltare gli artisti che si raccontano, seguire progetti e mostre, visitare musei e spazi alternativi, intrecciare le discipline e le generazioni, raggiungere missions impossible. Fondo e dirigo Contemporary Locus.

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