Approdato al prestigioso Beck’s Futures dopo nemmeno un anno dalla laurea al Goldsmiths College, Bernd Behr è tra i giovanissimi da tenere d’occhio, non solo per l’inquietante trasparenza dei messaggi visivi trasmessi attraverso i suoi lavori in video ma anche per l’attenta elaborazione delle idee che sono il punto di partenza della sua ricerca. Nasce ad Amburgo, ma trascorre gran parte della sua infanzia tra l’Europa ed il Sudest Asiatico. Studia arte alla San Jose State University negli Stati Uniti, poi a Londra.
È allora il video la forma che trovi piú adatta alla tua ricerca? Fino a che punto e perché?
Il video è al centro della mia ricerca, ma i miei progetti spesso si estendono a disegno, installazione, fotografia. L’ambiente costruito ha un ruolo importante nel mio lavoro, soprattutto nel rapporto tra architettura e film. The Parallax View di Alan J. Pakula (1974) è uno splendido esempio di film che pone in primo piano l’architettura, trasferendo la mania di cospirazione nelle condizioni materiali in cui i caratteri sono
In molti dei tuoi lavori viene spesso adottata la ripetizione, e l’immobilità viene interrotta da cambiamenti minimi, quasi invisibili. Che ne pensi?
Penso al video non tanto come ad un’esperienza di durata, qualcosa con inizio e fine, ma piuttosto come un’immagine sempre attiva, ininterrotta. Le immagini in movimento delle telecamere a circuito chiuso e delle web-cams sono registrate nonostante gli eventi, per un pubblico inesistente o virtuale (a parte lo sguardo occasionale del personale di sorveglianza), destinate a finire in magazzino. Quando c’è un crimine o un disastro, come il recente terremoto in Giappone, la caduta del Concord o l’11 Settembre (riprese per caso da turisti), un breve segmento di questa continua realtà di immagini viene trasmesso al mondo intero, ripetuto centinaia di volte fino a quando la novità dell’evento/immagine non si disperde. Eppure quel frammento non è poi così diverso dal resto della ripresa. Evento e non-evento si fondono. I miei lavori in video sono basati su uno scenario architettonico ripreso con telecamera fissa in sequenza continua e su un evento che in qualche modo mina la materialità di quello scenario strutturato. La ripetizione non è che un modo per perpetuare qualunque vicenda si svolga: un gioco in superficie sul modo in cui situazioni ripetute disturbano l’ immagine piatta e la natura statica dello spazio rappresentato.
Sono sempre stato affascinato dal concetto di scarto, in quanto segna il confine tra “dentro” e “fuori”, è la condizione materiale del “di fuori”. È soprattutto dal processo del divenire scarto che sono attratto, perché consente un offuscamento dei confini. È il luogo per eccellenza del consumare energia, della spesa; implica un approccio con le masse (in architettura, in società) non piú attraverso i parametri di consumo e produttività, ma attraverso quelli di perdita e dispendio. In questo Georges Bataille influenza parte del mio lavoro.
Cosa hai imparato dall’esperienza di un premio così importante come Beck’s Futures?
Il fatto di presentare contemporaneamente e per la prima volta sei video in questa mostra mi ha consentito di studiare il dialogo che esiste tra i miei lavori ed il modo in cui i miei interessi si sono sviluppati nel corso degli ultimi due anni.
Come è andata nello specifico? Raccontaci dei tuoi video. Di che parlano?
Théàtre du Vide (2001) sta a se’, quasi un anello di congiunzione tra il resto della mostra e gli altri miei video. È stato girato nel luogo originario del Salto nel Vuoto di Yves Klein (1960) e mostra il sottoscritto mentre si arrampica su una colonnina di cemento, residuo della casa dalla quale Klein si gettó. Ogni volta che raggiungo la cima, il video si interrompe e riprende con un’altra sequenza in cui ripeto lo stesso atto, e così via, lasciando la mia azione in un limbo irrisolto tra il riattivare l’eroico gesto di Klein ed il negare il suo desiderio di superare il mondo materiale. Questo lavoro è legato alla mia formazione nella performance, ma mostra un crescente interesse nel contesto materiale in cui la performance si svolge.
Gli altri video mostrano scenari architettonici con aspetti performativi, ma senza la presenza umana. In Ectoplasmic (2002) una costruzione sembra rigettare i suoi elementi: volano telai di porte e finestre, mobili e tappeti, gettati da un qualche punto all’interno della costruzione. Siccome non si vedono figure umane, la costruzione assume il ruolo di attore e rappresenta il concetto di perpetuo dispendio. Pulse (2002), è stato preso da un documentario sui terremoti e mostra una costruzione colta in uno spasmo, delicatamente sconvolta mentre le sue finestre si curvano fino al punto di rottura.
links correlati
http://www.becksfutures.co.uk
http://www.southampton.gov.uk/art/exhibitions.htm
irene amore
intervista realizzata il 25 novembre 2003
bio
Bernd Behr nasce ad Amburgo, Germania, nel 1976.
Personali
2001, Fordham Gallery, Londra (curata da Joost Somerlinck); 2000, The Substation Gallery, Singapore (curata da Lee Weng Choy)
Principali Collettive
2003, Beck’s Futures, ICA Londra – CCA Glasgow – Southampton City Art Gallery; German Shorts, Goethe Institut, New York; Someplace Unreachable, IBID Projects, Londra; Charlie’s Place, Annely Juda Fine Art, Londra; 2002, We Want Out, Citylights Gallery, Melbourne; European Media Art Festival, Osnabrück; eBent’02, Centre for Contemporary Culture, Barcellona; The Way To Happiness, VTO Londra; 2001, Emergeandsee, Curzon Soho cinema, Londra
Bernd Behr è contattabile al desafinado@postmark.net
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