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Come si crea il colore sbagliato: intervista a Francesco Fossati
Arte contemporanea
L’attenzione alla natura, ai suoi processi oltre che alle sue forme, l’ecosostenibilità dei materiali, la sensibilizzazione collettiva ai temi della tutela e della salvaguardia ambientale, sono oramai tematiche ampiamente introdotte nella sperimentazione artistica contemporanea. Francesco Fossati (Lissone, 1985), artista tra i più interessanti della sua generazione, da tempo li ha adottati nella sua pratica artistica, operando con materiali naturali e focalizzando la sua attenzione sull’idea prima che sulla forma, sul processo oltre che sull’oggetto. Ultimo approdo della sua ricerca transmediale è la performance The wrong colours, messa in scena nell’ambito del progetto “From Discipline to Holobiont” a cura di Yiuxian Dong, Ko Yuhsin e Xiong Xiu, il 18 e 19 settembre 2020, a Parco Nord di Milano, contesto in cui Fossati ha già operato nel 2016.
La performance rientra in un più vasto lavoro iniziato lo scorso aprile, incentrato sull’indagine della pittura attraverso procedimenti extrapittorici: concettuali, performativi, installativi, relazionali. Attraverso la creazione di tre colori ad olio naturali (grigio cenere, grigio cenere tortora, e quello nato a Parco Nord, marrone Milano) l’artista da un lato ha coniugato arte e natura, dall’altro ha rivendicato la centralità del colore come mezzo non tanto per realizzare la pittura ma per studiarla, dando luogo ad un’azione partecipata in cui coinvolgere colleghi e pubblico. Abbiamo incontrato l’artista per farci raccontare nello specifico la sua ricerca.
Il tuo è un linguaggio transmediale, talvolta ossimorico, come quando realizzi delle sculture per parlare di pittura. Ritieni che la tua ricerca si espliciti meglio nel processo o nell’oggetto?
«La prima parte della mia produzione (da quando studiavo in accademia fino al 2015 circa) ha avuto come focus proprio la relazione e la contaminazione tra i linguaggi artistici. Anche se oggi la mia ricerca ha preso una strada diversa penso che il processo e l’oggetto nel mio lavoro abbiano sempre avuto pari importanza. Recentemente mi è capitato di esporre solo il processo, senza l’oggetto, ma non è una prerogativa».
Hai dichiarato “per me il significato dell’opera coincide con la forma”. Puoi chiarire meglio questo tuo pensiero?
«Quando creo un’opera cerco la coerenza tra l’idea alla base dell’opera, la sua immagine, materiali e processi di realizzazione. Mi riferisco ad esempio a Organic Pictures, una serie di opere su tela cominciata nel 2016 e tutt’ora in corso. Con questa serie ho voluto indagare la possibilità di creare delle opere con il minore impatto ambientale possibile, in grado di affrontare tematiche come il rapporto non-dominativo dell’uomo nei confronti della natura, l’antropocene e i cambiamenti climatici non solo nel soggetto delle opere, ma anche nelle pratiche e mezzi utilizzati per crearle. Produrre delle opere tenendo in considerazione ogni elemento delle quali sono costituite, della provenienza e tipologia dei materiali utilizzati.
Le opere sono prodotte esclusivamente con materiali di origine vegetale, tele di cotone biologico o lino, mentre i telai (se presenti) sono in legno di recupero o provenienti da aree di riforestazione. Le immagini vengono create con la tecnica dell’ecoprint che consente di trasferire su tela in maniera permanente i pigmenti contenuti in materiale vegetale come foglie, bacche, frutti, rami, radici ecc. Questi elementi inizialmente li coltivavo in maniera biologica e poi li utilizzavo nelle opere, successivamente ho iniziato a raccoglierli da piante spontanee o alimurgiche che si trovano vicino al mio studio o del luogo dove mi trovo a lavorare. Il mio ruolo come artista si limita nella disposizione in maniera regolare delle foglie e degli altri materiali sulle tele per poi stamparli. L’energia necessaria alla stampa proviene da fonti rinnovabili.
Il risultato sono delle immagini di derivazione geometrica composte dalle forme del materiale vegetale utilizzato. Il processo, per quanto strutturato, non consente di gestire completamente il risultato finale che può essere influenzato da moltissimi fattori, la stessa foglia può stampare colori e intensità diverse in base alle stagioni, e anche in contesti geografici diversi può dare esiti differenti, pertanto considero queste immagini il ritratto del contesto naturale che le ha generate. In occasione della mostra “Erbatinta”, a cura di Dario La Mendola, a Palermo, lo scorso novembre, ho avuto la possibilità di compensare le emissioni di CO2 dovute al trasporto delle opere e del mio viaggio tramite la piantumazione di tre alberi da frutto».
In molte tue opere hai utilizzato materiali organici e sostenibili. Tu stesso ti definisci artista e coltivatore biologico. Ma quando, dove e come è nato questo tuo interesse per l’ecologia?
«Alcuni anni fa ho iniziato a coltivare un piccolo appezzamento di terra assieme ad alcuni amici e da allora è cambiata la mia sensibilità nei confronti della natura, ho iniziato a capire l’importanza del rispetto dell’ambiente. La pratica artistica e quella agricola però hanno avuto percorsi paralleli fino al 2015 quando per realizzare un’installazione permanente per Casa Testori ho incontrato e intervistato gli agricoltori di quello che oggi è il parco agricolo della Balossa (parte di Parco Nord Milano) i quali mi hanno raccontato vari episodi nei quali l’inquinamento atmosferico ha modificato i frutti delle coltivazioni arrivando fino a inquinare le terre. Questa esperienza è sicuramente quella che ha dato inizio ad un ripensamento della mia pratica d’artista in un’ottica nuova, di maggiore consapevolezza e attenzione nei confronti della natura, che negli anni successivi ha dato vita a molte mie opere».
La tua ultima opera in ordine di tempo è stata la performance The wrong colours per Parco Nord di Milano. Anche qui sembri riflettere sulla pittura (o meglio, su uno dei suoi principali mezzi, il colore) attraverso una pratica extrapittorica. Raccontaci nel dettaglio finalità e sviluppi del lavoro.
«Da alcuni anni ho iniziato a creare pigmenti e colori con sostanze naturali in maniera sperimentale e li utilizzo per realizzare dei dipinti. Nel mese di aprile ho prodotto una decina di tubetti di colore a olio utilizzando esclusivamente un pigmento ricavato dalla cenere e olio di semi di lino biologico. Non avendo necessità di tutto quel colore in quel momento ho deciso di condividerlo con altri artisti interessati a sperimentare con un colore grezzo, frutto di un processo indipendente di produzione. In maniera abbastanza inaspettata l’interesse nei confronti del colore è stato tanto, ben oltre i dieci tubetti disponibili, così ho deciso di produrre altri lotti e grazie all’aiuto di sei curatori Marta Cereda, Giacinto Di Pietrantonio, Dario La Mendola, Lorenzo Madaro, Rossella Moratto e Saverio Verini sono entrato in contatto con oltre settanta artisti di generazioni diverse ai quali ho spedito un tubetto di colore e in cambio ho chiesto di conoscere le loro impressioni sul “prodotto”.
Dei sei lotti attualmente realizzati tengo per me solo la quantità di colore che mi serve per dipingere e il tubetto numero 0 che è a tutti gli effetti un’opera d’arte. Il tubetto 0 del primo lotto prodotto è stato esposto nella mostra “Solstice: Create Art for Earth” curata dall’artista americana Judy Chicago alla Turner Carroll Gallery, mentre quello del terzo lotto si trova attualmente esposto presso Kunstalle Chiavari in un progetto espositivo di Giancarlo Norese e Paola Pietronave.
Per tornare alla tua domanda, per la mostra “From Discipline to Holobiont” presso Parco Nord Milano, con le curatrici Yiuxian Dong, Ko Yuhsin e Xiong Xiu abbiamo deciso di dare vita a un nuovo colore a olio: il “Marrone Milano” prodotto utilizzando come pigmento la terra del parco (e tutte quelle sostanze che si possono comunemente trovare nel primo strato del suolo come radici, foglie in decomposizione, microrganismi, sassi, ecc.). Abbiamo inoltre deciso, in relazione con il concept della mostra, che fosse adeguato esporre l’intero processo produttivo, dal completamento della trasformazione della terra in pigmento, passando per la creazione del colore, fino al confezionamento in tubetto.
Tutto il processo è stato interamente fatto a mano, esclusivamente con sostanze naturali. La performance della durata di sei ore ha portato alla produzione di 100 tubetti di colore a disposizione dei visitatori della mostra. Ho definito quest’opera un’azione olfattiva per via del forte odore della trementina utilizzata nella creazione dei colori, ma anche in riferimento al termine utilizzato da Marcel Duchamp per definire con disprezzo la pittura impressionista e delle avanguardie storiche».
A quali progetti stai lavorando?
«In questo momento sto lavorando a un nuovo colore che spero di riuscire a confezionare presto. Si tratta di un verde con una bassissima persistenza alla luce del sole, fatto con un’alga. Sto inoltre ultimando alcuni lavori della serie Organic Pictures che saranno esposti a Torino presso la Galleria Gagliardi e Domke in una mostra a cura di Lorenzo Madaro a inizio novembre. Infine a breve verrà inaugurata la sede dell’artoteca ecosostenibile che ho realizzato quest’estate assieme alla mia famiglia durante un periodo di residenza presso il Porto Museo di Tricase, in provincia di Lecce».